medaglia miracolosa la medaglia miracolosa a rue de bac madonna medaglia miracolosa

IL PURGATORIO NELLA RIVELAZIONE DEI SANTI

Visto: nulla osta alla stampa.

Torino 10 marzo 1946 Sac. Luigi Carnino, Rev. Del.

Imprimatur.

Can. Luigi Coccolo, Vic. Gen.

INTRODUZIONE

Natura e valore delle rivelazioni private (1): Per rivelazione intendiamo la manifestazione di ve­rità, prima sconosciute. Se la manifestazione ha Iddio per autore, si ha la rivelazione divina.

Quando la rivelazione divina è fatta per il bene del­la Chiesa Universale, si dice pubblica; quando è fatta per l'utilità particolare di coloro a cui è rivolta, si dice Privata.

Rivelazioni private vi furono in tutti i tempi: la Chiesa, approvandole, non intende obbligare i fedeli a crederle, ma soltanto permette che siano pubblicate ad istruzione e a edificazione dei fedeli, e l'assenso ri­chiesto non è atto di fede cattolica, ma di fede umana, fondata sul fatto che esse sono probabili e piamente credibili (Benedetto XIV, De -sere. Dei beat., 1. 11, e 32, n. 11).

Per la pubblicazione di rivelazioni private è richiesta l'approvazione dell'autorità. ecclesiastica.

Le rivelazioni private possono avvenire in tre modi diversi: con visioni, con locuzioni soprannaturali, con tocchi divini.

Le VISIONI sunti percezioni soprannaturali di oggetti che l'uomo non può vedere naturalmente, e sono di tre specie sensibili (od anche corporali od oculari - appa­rizioni -), allorchè i sensi percepiscono una cosa reale naturalmente invisibile all'uomo: è ciò che accadde ai tre bimbi, nativi di Aljustrel, Lucia, Francesco e Giacinta, il 13 maggio 1917, quando prima un lampo, poi un altro li spaventarono, e finalmente videro tutti e tre, sopra un elce, una misteriosa Signora, dallo sguardo radioso, avvolta in un lembo di luce;

immaginative, quando è nell'immaginazione che Iddio produce la voluta impressione, e ciò nella veglia o nel sonno. Così accadeva a S. M. Maddalena de' Pazzi e a S. Francesca Romana di vedere il Purga­torio nelle sue divisioni, nei tormenti riservati alle anime, nella durata dell'espiazione, ecc. ;

intellettuali, allorchè la mente percepisce verità spirituali senza forme sensibili. Così la Beata Angela da Foligno ebbe la visione dei misteri della Somma Bontà, della Somma Bellezza, della Somma Giustizia, dell'Amore di Dio, di Dio nella tenebra, in cui vide Iddio con tanta evidenza e pienezza come nonmai.

Le LOCUZIONI sono manifestazioni del pensiero divino inteso dai sensi esterni o dagli interni o diretta­mente dall'intelletto. Quando i bambini di Fatima videro per la prima volta la Vergine, le parole di lei furono udite solo da Lucia e da Giacinta. Francesco vide, ma non udì nulla, Giacinta udì nel medesimo modo le parole di Lucia e dell'Apparizione.

I TOCCHI divini sono deliziosi sentimenti spirituali impressi nella volontà da una specie di contatto divino e accompagnati da viva luce intellettuale. " Mentre un giorno - racconta la beata Angela da Foligno nelle sue Mirabili Visioni e Consolazioni - ero in contem­plazione della croce di legno e dell'altra che vi faceva su il disteso corpo di Gesù Cristo, e gli occhi miei materiali si colmavano di questa vista, a un tratto, nell'anima mia, sentii accendersi una fiamma d'amore così fervente da ridondare, come una fiumana di leti­zia, su tutte le membra del corpo mio: Vedevo allora e sentivo Gesù Cristo abbracciare l'anima mia con quel braccio che fu per primo inchiodato sulla Croce, e ne provavo una gioia luminosa di una mai provata dolcissima verità. Fu così che conobbi e compresi in qual modo, in questa nostra carne mortale, si fac­cia l'unione con l'eternità di Dio. Da questa letifican­te, inenarrabile visione, da questa gioia durevole e chiara di evidentissima luce, mi venne tanta assicu­razione, tanta certezza di me stessa e di Dio, che non solo non posso avere alcun dubbio sulla elevazione, sulle visioni e sulle parole di Dio, per grazia sua concessemi; ma mi meraviglio come abbia potuto al­tra volta dubitare di queste divine ispirazioni. E se tutto il mondo mi dicesse di essermi ingannata, riterrei tutto il mondo nell'errore e me sola nella verità » (Op. cit. trad. L. Fallacara; Firenze 1926, pag. 121). Si danno delle regole per conoscere se una rivela­zione viene veramente da Dio o è prodotta da cause umane o naturali, o preternaturali ma non divine.

Premettiamo che abitualmente Dio sceglie per le sue rivelazioni persone particolarmente inoltrate per le vie della vita interiore, e che quindi l'indagine sulle qualità soprannaturali della persona che dice di aver avuto rivelazioni è la prima da farsi. Segue l'esame delle qualità naturali. E' persona fisicamente sana o affetta da malattie specialmente nervose? Il suo al­bero genealogico ha precedenti che possano far dubi­tare di vizi, di debolezze, di tare mentali, facilmente ereditabili? Per ciò che riguarda le sue capacità in­tellettuali, è normale, è esaltata, è ipersensibile? E’ priva di pregiudizi, è soggetta a illusioni? Moralmenate, è persona a posto, vi sono nella sua vita pre­cedenti che poco la raccomandano? E' sincera, calma, spassionata? E' umile ed obbediente, specialmente col direttore di spirito? Quale è il suo carattere?

Nei confronti poi della materia delle rivelazioni, per giudicare se sono veramente da Dio, occorre esami­nare se sono conformi alla fede e ai buoni costumi. Leggendo, p. e., relazioni di sedute spiritiche, accade di incontrare con tutta facilità quanto vi ha di più contrario alle verità della fede e alla morale cristiana.

Anche dagli effetti che le rivelazioni producono, si può trarre argomento per giudicare del loro valore. Le apparizioni di Lourdes non potevano produrre frutti migliori; le manifestazioni di Montefalco hanno attratto l'attenzione di numerosi fedeli sul bisogno che le anime del Purgatorio hanno di preghiere, e dove le manifestazioni ebbero luogo è stata inaugurata una cappella per il suffragio, divenuta ormai centro ar­dentissimo di pietà per le povere penanti ».

Diciamo, in ultimo, che non è escluso che una rivelazione, dall'esame delle circostanze che l'accom­pagnarono, risulti vera nella sostanza, ma contenga errori in qualche particolare: è l'elemento umano che si unisce al divino. Può trattarsi di errori scientifici propri dell'epoca della rivelazione, di errori storici, di pregiudizi di una data scuola di mistica, di un dato direttore di spirito, di false interpretazioni, ecc. Quel che interessa è la rivelazione, la verità della sua so­stanza.

Quale fede dobbiamo prestare alle rivelazioni Priva­te? La fede che meritano i loro testimoni e le circostanze ché l'accompagnarono. Trattandosi di Santi, la loro testimonianza è raccomandata dalla loro stessa santità, tuttavia nessuno esclude che essi talvolta si siano potuti ingannare. Quando poi i Santi non sono che testimoni indiretti - ciò che ci accadrà d'incon­trare qualche volta nel corso del nostro lavoro - noi non riponiamo la nostra fiducia in loro, che possono benissimo essere stati ingannati, ma nei testimoni che hanno loro riferito intorno a determinate rivelazioni.

Ai giorni nostri la critica è assai più severa che nel passato nel giudicare sul valore delle rivelazioni. Be­nedetto XIV, nel libro sulle Canonizzazioni, dettò re­gole precise sul modo di condurre le indagini e di vagliare i fatti, che rivestono caratteri straordinari. La Chiesa rimane in un rigoroso e savio riserbo, finchè i fatti non sono minutamente accertati, aspetta lungo, tempo prima di pronunziarsi, e non impone mai ai fedeli di accettare indiscutibilmente quei fatti, che ella permette solo che siano pubblicati.

A noi è richiesto il medesimo riserbo: non dobbia­mo essere dei faciloni, pronti a credere a chiunque dice di aver sentito, di aver veduto... Tuttavia quando la Chiesa permette la pubblicazione di certe rivelazio­ni, persuadiamoci che esse offrono argomenti di cre­dibilità tali, che possiamo prestar sicuramente la no­stra fiducia a chi asserisce di essere stato favorito da Dio di manifestazioni straordinarie.

 

CAPITOLO I

« NOVISSIMA TUA!... »

Sorella Morte

Eccoci al letto di un cristiano morente: la Chiesa gli ha già impartito l'ultima benedizione; per l'ultima volta ha sentito riposar sul suo cuore il Cuore san­tissimo di Gesù nel Sacramento dell'amore. Quel Dio che si era fatto amico di lui - e di quale amicizia! - fin da quando con la prima Comunione era disceso nel suo petto, sapendolo infermo ha lasciato il suo tabernacolo pervenire a visitarlo, e fra le mani del suo ministro ha percorso, inosservato le vie della città, ov­vero, seguito da pochi fedeli, gli aspri sentieri della campagna; ha fatto il suo ingresso in quella stanza funerea, trasformata per un momento in santuario, si è posato su quelle labbra che il soffio della morte ag­ghiaccerà fra brevi istanti, ed in un mistico ed intenso colloquio con la sua anima gli ha lasciato intravedere i misteri della vita avvenire e gli splendori della eter­nità beata. Indi l'estrema Unzione, come ad atleta che debba prepararsi alla pugna.

Intorno a quel letto i parenti mormorano a bassa voce parole e preghiere e se ne allontanano solo per dare sfogo alle lacrime. L'orecchio del morente è già stato ripercosso dal formidabile appello: - Parti adunque, o anima cristiana!... - Ed ecco all'improv­viso un movimento convulso scorrere per quel corpo irrigidito, ed un singhìozzo soffocato por fine al ran­tolo dell'agonia: esso ha esalato l'estremo sospiro morto.

Si sollevano allora da ogni parte i gemiti e i lamenti della famiglia, che si appressa a colui che or non è altro che un cadavere; gli vengono chiusi que­gli occhi che non si apriranno mai più fino al giorno dell'universale giudizio; gli vengono conserte le mani in attitudine di preghiera, e molte volte, per nascon­dere ai viventi l'orrore della morte, vien posto un velo su quel volto sfigurato; quindi gli amici e i vicini si allontanano tessendo l'elogio del defunto. Finalmente tutto piomba nel silenzio.

Questo è l'aspetto esteriore del gran dramma della morte, che per quanto ci possa sgomentare, non è davvero il più importante. Noi abbiamo considerato il defunto disteso sul letto funebre con le mani con­giunte, col Crocifisso sul petto, nell'attitudine così ben descritta da Lamartine, in quei suoi mirabili versi.

Dai sacri ceri ormai l'ultima fiamma guizzava, e il prete mormorava il canto sì dolce della morte, a lamentevole nenia simile, che la donna mormora al pargolo assopito. Di speranze la sua fronte le tracce serba ancora, e sul suo volto di beltà soave un raggio spira; il labile dolore la sua grazia v'impresse, e la severa sua maestate vi scolpì la morte.

 

Il Giudizio

Tutto questo per ciò che riguarda il corpo. Doman­diamoci adesso che cosa è accaduto dell'anima im­mortale ed incorruttibile, che poco fa l'informava. E’ questa e la questione veramente interessante per noi in questo studio del Purgatorio.

La Fede c'insegna che l'anima nell'istante medesi­mo in cui si è svincolata dal corpo è comparsa da­vanti al suo Giudice, e tutte le rivelazioni dei Santi ci confermano la verità del giudizio particolare, im­mediato e inappellabile. E siccome su tale argomento ci si presentano rnolte importanti questioni, cerchia­mo qui di studiarle e risolverle per ordine.

Ciò che sopra ogni altra cosa attrarrà l'attenzione, e farà fissare lo sguardo dell'anima, quel primo sguar­do misuratore dell'eternità, sarà la persona del Giu­dice. Dalla Sacra Scrittura apprendiamo che questo Giudice non sarà altro che Cristo. S. Giovanni ci dice che il Padre non giudicherà nessuno, avendo riser­vato al Figlio ogni giudizio: Pater non iudicat quem­quam, omne iudicium dedit Filio (Jo., 5, 22-23). Negli ­Atti degli Apostoli leggiamo che Cristo è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti: Constitutus est a Deo iudex vivorum et mortuorum (Act., 10,, 42). Ermete nel suo libro De Pastore, S. Gregorio Magno: nei suoi scritti, come pure S. Giovanni Damasceno, S. Giovanni Climaco, e in tempi a noi più ­vicini S. Geltrude, S. Lutgarda, S. Francesca Roma­na, S. Teresa e tutte le anime sante, alle quali Iddio ha fatto la grazia di contemplare i misteri dell'altra vita, ci confermano con le loro rivelazioni questa ve­rità di fede.

I teologi fanno questione se l'umanità di Cristo si manifesti visibilmente ad ogni anima, e su questo punto sono molto discordi. Il Card. Bona, nel suo, trattato De discretione spirituum, si esprime così “Alla fine del mondo comparirà Gesù Cristo nel suo corpo e nella sua gloria, quando verrà a giudicare i vivi e i morti; non è certo però se egli apparirà a cia­scun uomo in forma visibile, come taluni scrissero: Non è neppure accertato in qual maniera nostro Si­gnore compirà questo giudizio particolare di ciascun uomo; questo solo si sa che avverrà in un momento, in un batter d'occhio. Ed è perciò che un'apparizio­ne, dirò così, intellettuale di questo Giudice sovrano basterà a compiere tale giudizio” (Op. cit., cap. 20).

- Da ciò risulta che il sapiente Cardinale esita di pro­nunziarsi, quantunque evidentemente propenda per la sentenza negativa. Non mancano tuttavia teologi di merito i quali ritengono che il divin Maestro si sveli a ciascuno nella verità della sua carne trasfigurata e gloriosa, ed avvalorano la loro opinione con ragioni molto plausibili. Tuttavia qualunque sia il modo col quale il divin Salvatore si rivela all'anima, è certo. che nel momento stesso in cui gli occhi del corpo, si chiudono alla luce di quaggiù, lo sguardo dell'anima s'illumina ed intuisce e contempla l'adorabile figura di Cristo, suo Giudice.

Tutto questo ci porta a domandare dove si faccia il giudizio. La risposta è facile: il giudizio si farà in quel luogo medesimo in cui l'anima si separa dal corpo. Che bisogno infatti avrebbe questa di andare lungi di là, a cercare il tribunale che la dovrà giudi­care? La terra è del Signore, dice la Scrittura; ed egli riempie il mondo con la sua presenza. Ciò che a noi impedisce di vederlo, limitati come siamo, sono le mura di questa prigione di carne, che ci circonda, ma nell'ora della morte il velo che ci nascondeva le invisibili realtà si squarcia, e l'anima si trova allora immediatamente sotto lo sguardo del Giudice: Quale istante e quale sgomento sarà mai quello! Avrà luogo allora quel tremendo giudizio, il cui solo pensiero faceva tremare gli anacoreti nelle spelonche dei deserti. Allora l'anima con un solo sguardo abbraccerà tutti e singoli i suoi atti, con tutte le circostanze che li ac­compagnarono, dovendo rendere stretto conto di tutto, persino di una parola inutile, sia pure obliata. Chi potrebbe credere a tanta rigorosa esattezza, se la stessa eterna Verità non ce lo avesse avvertito? Omne verbum otiosum quod locati fuerint homines, reddent de eo rationem in aie iudicii (Matth., 12, 36).

E in qual modo potrà l'anima abbracciar con un solo sguardo il complesso degli atti di tutta quanta la vita? Essa li vedrà nella intelligenza infinita di Dio, al raggio di quel sole di verità, che tutti glie li rischiarerà e che non glie ne lascierà sfuggire alcuno. Al lume di quella luce divina leggerà quel libro, dove tutto è notato, e che le sarà posto sotto lo sguardo.

Liber scriptus proferetur In quo totum continetur Unde mundus iudicetur.

Vi riscontrerà ciascuna delle sue azioni, con tutte le circostanze da cui furono accompagnate, e ne mo­dificarono più o meno la moralità.

Il Giudice chiederà stretto conto di tutto: Redde: rationem villicationis tuae, iam enim non poteris vil­licare (Luc., 16-2). Il tempo del merito e del demerito è passato, la prova è finita, irrevocabilmente fi­nita. - Redde rationem Rendete conto di tutti i vo­stri peccati: io ero là presente quando voi li commet­tevate; io tutto vidi, poichè nulla mi si poteva celare i peccati contro Dio, i peccati contro il prossimo, i peccati contro voi stessi, i peccati contro i doveri del vostro stato, contro i vostri obblighi particolari... –­ Oh! qual cumulo immenso di peccati, dal primo che commettemmo quando incominciò a rischiararsi il lu­me della ragione, fino all'ultimo che commetteremo forse anche sul nostro letto di morte, nel momento di comparire alla presenza del divin Giudice! S. Agosti­no, nelle sue immortali Confessioni, si accusa di colpe che dice di aver commesso in tenerissima età. Tantil­lus puer et tantus peccator! E perchè non dovrà escla­marsi col Profeta, che il numero delle nostre iniquità sorpassa di molto quello dei capelli del nostro capo? iniquitates meae multiplicatae sunt super capillos ca­pitis mei (Ps., 37, 4)­

- Redde rationem. Rendete conto del bene che avreste dovuto fare e che non avete fatto. - Un sa­cerdote trovavasi sul letto di morte, e il suo confessore cercava invano di eccitarlo alla confidenza in Dio, par­landogli del bene che aveva fatto durante la vita, e delle anime che si era studiato di salvare. – Ahimè! - gridava il morente, con voce accorata - perché non mi parlate del bene che io avrei dovuto fare, che potevo fare, e che non ho fatto? - Sì, al tribunale di Dio, contrariamente a quel che avviene qui in ter­ra, al reo si chiede conto anche di quel che non ha fatto di bene, e che pure avrebbe dovuto fare. Iddio porrà da un lato tutte le grazie concesse all'anima: il battesimo, l'istruzione cristiana, le confessioni, le co­munioni, i buoni pensieri, gli ammonimenti, tanta fa­cilità di compiere il bene; e porrà dall'altro lato le nostre opere, e guai allora a colui le cui opere non corrisponderanno alle grazie ricevute, poichè molto sarà domandato a chi molto fu dato.

Ci sarà chiesto conto perfino del bene che abbiamo fatto, ma che non abbiamo fatto così bene come avremmo dovuto. - Vediamo un po' queste pretese virtù, delle quali andavate tanto superbo durante la vita. Oh! quanta lega è mescolata a quest'oro! - I farisei facevano opere buone, ma siccome agivano uni­camente per piacere agli uomini e per acquistarsi fama di virtuosi, il Signore disse di loro: Receperunt mercedem suam... (Matth., 6, 2): hanno ricevuto la loro mercede. Quanti atti virtuosi nel loro oggetto, saranno parimenti degni di disprezzo innanzi a Dio, per­ché compiuti in circostanze cattive, con tiepidezza o per mera abitudine, o perchè fatti di contrattempo, o alla sfuggita, o accompagnati da pensieri di vana compiacenza.

Eppure ancora non è detto tutto. Che sono infatti quelle voci che salgono dall'abisso? Son le voci di coloro che furono un giorno scandalizzati; sono le grida del sangue. - Giustizia e vendetta - gridano i dannati dal fondo dell'inferno - giustizia e vendetta contro quel padre e quella madre, la cui negligenza ci ha lasciato crescere nel vizio e ci ha fatto piombare quaggiù; giustizia e vendetta contro quell'amico, che ci ha messo a parte dei suoi colpevoli piaceri e che perciò deve partecipare ai nostri supplizi; giustizia e, vendetta contro quel miserabile, i cui empi discorsi ci impedirono di convertirci e di salvarci; ah! per sua colpa siamo dannati alle pene di questo carcere perpetuo: e dovrà egli forse salite al cielo, mentre noi bruciamo quaggiù nelle fiamme eterne? - Ahimè! che risponderà allora quella povera anima a tali for­midabili accuse? E non ne avrà ella abbastanza del pesante fardello delle sue colpe, perchè debba cari­carsi di quelle degli altri?

Ecco delineato il giudizio di Dio, tal quale avverrà per ciascuno di noi; ed è questo che fece provare ai Santi angoscie estreme e praticar loro le più rigide pe­nitenze; le storie delle loro vite ridondano di rivela­zioni sul rigore dei giudizi di Dio.

Si legge nelle vite dei santi Padri che un religioso, per nome Stefano, venne trasportato in ispirito al tri­bunale di Dio. Era egli ridotto in agonia sul suo letto di morte, quando eccolo turbarsi improvvisamente e rispondere ad un interlocutore invisibile. I suoi fratelli di religione, che circondavano il letto, ascoltavano­con terrore queste sue risposte: - Fedi, è vero, tale azione, ma mi imposi poi tanti anni di digiuno. - Io - non nego quel tal fatto, ma l'ho pianto per tanti anni. Ancor questo è vero, ma in espiazione ho servito il mio prossimo, per tre anni continui. - Indi, dopo, un momento di silenzio, esclamò: Ah! su questo non ho nulla a rispondere; voi giustamente mi accusate, e non ho altro per mia difesa che raccomandarmi, alla misericordia infinita di Dio. - S. Giovanni Climaco, che riferisce questo fatto, di cui fu testimone oculare ci fa sapere che questo religioso aveva vissuto qua­rant'anni nel suo monastero, aveva il dono delle lingue e molti altri privilegi, avanzava di gran lunga gli altri monaci per la esemplarità della sua vita e pei rigori delle sue penitenze; e conchiude con queste pa­role: Me infelice! che cosa mai diverrò, e qual cosa potrò sperare io sì meschino, se il figlio del deserto e della penitenza trovasi privo di difesa dinanzi a poche colpe leggere? Egli che ha passato una lunga serie di anni fra le austerità e la solitudine, egli ar­ricchito da Dio di privilegi e di doni straordinari, ab­bandona questa vita lasciandoci nella incertezza della sua eterna salute!l...

Ma forse, dirà qualcuno per confortarsi, non si sarà trattato in questo caso che di una visione intellettuale, e i terrori di quel buon monaco sul giudizío di Dio si potrebbero ritenere come effetto della sua immagi­nazione riscaldata dalaa febbre. Ad ovviare a questa difficoltà riferirò la storia della venerabile Angela To­lomei, religiosa domenicana e sorella del beato Gio­vanni Battista Tolomei.

Era ella cresciuta di giorno in giorno in virtù, e per la sua fedeltà nel corrispondere alla grazia divina era giunta ad un alto grado di perfezione, quando si am­malò gravemente. Il suo fratello, ricco egli pure di meriti innanzi a Dio, non poté con tutte le sue fervo­rose preghiere ottenerne la guarigione; ricevette ella perciò, con commovente pietà, gli ultimi Sacramenti, e poco prima di spirare ebbe una visione, nella quale osservò il posto che le era riservato in Purgatorio, in punizione di alcuni difetti che non erasi abbastanza studiata di correggere durante la vita; in pari tempo le furono manifestati i diversi tormenti che le anime soffrono laggiù; quindi spirò raccomandandosi alle preghiere del suo santo fratello. Mentre il cadavere veniva trasportato alla sepoltura, il beato Giovanni Battista, appressandosi al feretro, ordinò alla sorella di alzarsi, ed ella, quasi risvegliandosi da un sonno profondo, ritornò con strepitoso miracolo in vita. Nel tempo che proseguì a vivere sulla terra, quell'anima santa raccontava sul giudizio di Dio tali cose da far fremere di terrore, ma ciò che più di tutto confermò la verità delle sue parole fu la vita che menò, poìchè spaventevoli erano le sue penitenze, avendo perfino inventato nuovi segreti, oltre alle comuni penitenze, per martoriare il suo corpo. Leggiamo che durante l'inverno era solita tuffarsi fino al collo in uno stagno gelato, ove rimaneva per lungo tempo recitando il sal­terio; talvolta bruciava di proposito le sue povere carni, finché il suo corpo diveniva oggetto di orrore e di pietà. E poichè di ciò veniva talvolta ripresa e biasimata, avida com'era di umiliazioni e di contra­rietà, non se la prendeva affatto, ed a coloro che la rimproveravano, rispondeva: - Oh! se conosceste il rigore dei giudizi di Dio, non parlereste così! E che è mai quel che io faccio in confronto dei tormenti ri­servati nell'altra vita alle infedeltà che qui in terra osiamo commettere verso il nostro Creatore? Che è mai, che è mai ciò che io faccio, mentre dovrei fare cento volte di più? - Dopo alcuni anni di così orri­bili penitenze, la serva di Dio fu chiamata dal celeste Sposo all'altra vita, vivo lasciando tra le sue conso­relle il ricordo di sè, delle sue parole e delle sue penitenze.

Ciò che è da osservare in questa storia è che non si tratta di un peccatore che muore in disgrazia di Dio, ma di una fervente religiosa, tutta dedita ai do­veri del suo stato, e che per alcune imperfezioni di nessuna gravità secondo il giudizio degli uomini, subì i rigori del giudizio di Dio. Ahimè! se i giusti sono trattati in tal guisa, che cosa accadrà di noi pecca­tori?

Sono dunque tremendi i giudizi divini! E pensare che ad ogni battito del nostro cuore si rinnova la grande scena: anime ed anime si presentano al trono di Sua Divina Maestà per essere giudicate! Se pen­sassimo a ciò saremmo presi da immensa compassio­ne, e pregheremmo con fervore per tanti infelici che stanno per comparire davanti al loro Giudice.. Ma purtroppo. non vi pensiamo e continuiamo a vivere come se tanti nostri fratelli non ci chiedessero il soccorso delle nostre preghiere. Un giorno saremo anche noi sul letto della nostra agonia e allora sarà spesa per noi la medesima moneta che noi spendemmo per gli altri, saremo pagati con la medesima indifferenza. Adottiamo la santa abitudine di pregare per gli agonizzanti, affinchè un giorno vi sia chi preghi per noi in quell'ora tremenda nella quale tanto ne avremo bisogno.

 

La difesa

A questo punto sorge spontanea la domanda se nel­l'ora del giudizio l'anima si trovi sola davanti al suo Giudice, ovvero gli spiriti celesti siano presenti a quel­l'atto. Non v'è dubbio che l'Angelo custode accompa­gni ed assista l'anima, sulla quale vegliò durante la vita, come non è escluso che anche il demonio si trovi presente a quell'atto. Nelle rivelazioni di Santa Brigida si legge di un soldato pio e caritatevole, ma tut­tavia non immune da colpe. L'anima di costui com­parve, dopo morto, al tribunale di Dio: era alla sua destra l'Angelo custode in qualità di avvocato, ed alla sinistra il demonio accusatore. Grazie alla devozione avuta per la Vergine, il soldato era morto in grazia di Dio, e a nulla valsero le accuse del maligno (Santa Brigida; Riv., libro Vi, cap. 35).

Una celebre visione, scolpita sulla tomba di S. Dionigi in Francia, ci mostra il re Dagoberto condotto dai demoni all'inferno e strappato dagli artigli dei medesimi dai Santi Martiri Dionisio e Maurizio, coa­diuvati dal glorioso pontefice San Martino. Verso codesti Santi Dagoberto aveva avuto infatti una parti­colare devozione ed in loro onore aveva costruito son­tuose basiliche.

Quanto all'intervento della Vergine, molte sono le rivelazioni avute dai Santi, e qui basterà riferire quanto racconta Sant'Alfonso de' Liguori nella Parafrasi della Salve Regina. Una santa religiosa, per nome Suor Caterina e S: Agostino, aveva la bella abitudine dì pregare per tutti i defunti da lei conosciuti su questa terra. Or nel suo paese viveva una donna di cattivi costumi, per nome Maria, i cui scandali erano tali che gli abitanti del vicinato, indignati dalla sua condotta, la caccia­rono dal paese. Ella si diede allora alla vita dei bo­schi, e dopo qualche mese morì senza assistenza e senza sacramenti. Il suo corpo fu trattato come quello di una bestia e sepolto in un campo, senza una pre­ghiera. Nessuno dubitava che quella vecchia pecca­trice, dopo una simile fine, fosse immediatamente per­duta, e per conseguenza nessuno pregava per lei, nep­pure Suor Caterina. Passarono così quattro anni, alla fine dei quali la pia religiosa vide un giorno un'ani­ma del Purgatorio, che gemendo le disse: - Quanto sono infelice, Suor Caterina! Voi che avete il pio co­stume di raccomandare al Signore tutti i conoscenti trapassati, per me sola non pregate. - E chi siete? - domandò la suora. - Io sono la povera Maria, che morì abbandonata nella grotta. – Come, voi siete salva? - Si, io sono salva per intercessione della Vergine, allorchè mi vidi presso a morire, sola e sen­za aiuti, considerando il numero e l'enormità dei miei peccati, mi rivolsi con fiducia alla Madre dì Dio, di­cendole: O mia Regina, voi che siete il rifugio dei peccatori e dei derelitti, vedete in questo momento il mio supremo abbandono e venite in mio aiuto; voi siete l'unica mia speranza, voi sola potete soccorrer­mi. La Vergine santissima esaudì le mie preghiere e mi ottenne la grazia di una perfetta contrizione, sic­chè morendo fui salva. Ma la divina Madre non li­mitò a questo le sue misericordie, poichè quando fui al divino giudizio, mi ottenne dal suo Figlio divino che il mio purgatorio fosse notevolmente abbreviato, e siccome la giustizia di Dio non può nulla cedere al suoi diritti, così volle che soffrissi in intensità quel che avrei dovuto soffrire di più in durata. In questo momento non ho più bisogno che di qualche Messa, e appena queste saranno celebrate, io verrò liberata dalle mie pene. Siate dunque pietosa verso di me fa­cendornele applicare, ed io vi prometto che quando sarò in cielo non cesserò di pregare Iddio e la Vergine Santa per voi. - Suor Caterina si affrettò a far cele­brare le Messe implorate da quell'anima, e pochi gior­ni dopo la vide salire al cielo e ringraziarla della sua carità.

Questi esempi da noi riportati sono, è vero; convin­centi, ma posti a riscontro con gli insegnamenti della teologia non si può fare a meno di sentirsi scemare quella fiducia, che sembrerebbe dovessero ispirare. È certo che la sorte eterna dell'uomo è irrevocabilmente fissata nel punto della sua morte, e chi credesse che le preghiere dei vivi e l'intercessione della Vergine e dei Santi possano ottenere la salvezza a colui che muo­re in peccato mortale, s'ingannerebbe. Bisogna perciò interpretare le visioni or ora riferite e quelle dello stesso genere, come una espressione simbolica delle grazie ottenute per intercessione dei Santi al peccatore moribondo per condurlo alla penitenza e alla salute.

 

La sentenza

Non bisogna poi figurarsi questo giudizio come se si svolgesse gradatamente, in un ordine successivo, come nei tribunali di questa terra. La imperfezione della intelligenza umana non può arrivare che passo passo e per una serie di investigazioni alla conoscenza della verità, ma alla luce divina le cose vanno ben diversamente. « Un batter d'occhio »: In ictu oculi e la causa sarà bell'ascoltata. Non vi sarà bisogno di testimoni; perchè il giudice stesso era presente allor­ché furono commesse le colpe; non vi sarà bisogno dell'interrogatorio, poichè un solo sguardo basterà al­l'anima per rivedere tutte e singole le azioni della sua vita, tutte le sue colpe e tutti i suoi meriti, tutto ciò che servirà a condannarla e ciò che varrà ad assol­verla; non vi sarà bisogno di difesa: sarebbe inutile ogni tentativo per commuovere la persona del Giudi­ce. La sentenza sarà in relazione dello stato dell'ani­ma giudicata: Iddio non si lascia commuovere come gli uomini, egli agisce in base alla sua infinita giu­stizia ed ai suoi eterni decreti, e come ad una data misura di meriti sarà attribuito un dato grado di glo­ria, così ad una data misura di colpe sarà assegnato un grado corrispondente di castigo, sicchè l'anima nel momento stesso che conoscerà il suo stato, cono­scerà pure la sua sentenza.

Questa sentenza sarà differente secondo i vari stati in cui si troveranno le anime in punto di morte: Per colui che muore in peccato mortale, Iddio pronunzierà la sentenza dei reprobi: - Va, maledetto, nel fuoco eterno preparato per satana e per gli angeli ribelli. Tu preferisti obbedire a lui sulla terra, va dunque, mise­rabile, a partecipare dei suoi supplizi nell'inferno. -

Mentre a colui che muore nello stato di grazia, e che non ha da subire alcuna espiazione per i falli pas­sati, sarà riservata la parola dell'amore e della beati­tudine: - Coraggio - gli dirà il Signore, coraggio, servo buono e fedele, fosti fedele nel poco, ed ora ti pongo in possesso di un bene molto più grande: vieni a gustare la gloria del tuo Signore. -

Finalmente coloro che morendo bensì nello stato di grazia, hanno ancora macchie di peccati veniali, o non hanno espiato abbastanza le colpe passate, con le pa­role dell'amore udiranno che l'ingresso al Paradiso è differito: - Povera anima; dirà il Signore, un giorno tu godrai della mia gloria, poichè sei cara al mio cuo­re; ma siccome non sei ancora perfettamente pura, va a purificarti nel fuoco espiatore; la durata dei tuoi pa­timenti sarà proporzionata al numero e alla gravità dei tuoi falli. -

 

Il numero degli eletti

A questo punto è necessario trattare brevemente in merito alla questione del numero degli eletti, questio­ne grave e interessante, che tanto da vicino ci tocca, che fu sempre discussa e sempre rimase insoluta. « E' una questione, scrive il Faber (Il Creatore e la creatura, Parte III, cap. II), ché è un segreto di Dio, un segreto del supremo Giudice, un segreto che l'Altissimo ha riservato tutto a se stesso, ma nella quale egli permette che ci addentriamo solo nella speranza di trovare qualche nuova traccia dello sconfinato amore di Dio ». Dopo tutte le nostre supposizioni, le nostre congetture, le nostre induzioni, la verità sarà sempre, come prima, nascosta in Dio.

Numerosi teologi di grande autorità sono del pa­rere che il numero dei reprobi superi quello degli elet­ti; altri teologi, pure di indiscussa autorità, ritengono il contrario. Cornelio a Lapide riferisce che la mag­gior parte dei teologi che vivevano a Roma ai suoi tempi, riguardando al rilassamento generale dei costu­mi nella loro epoca, sostenevano l'opinione più seve­ra. Mentre i teologi più recenti pare che propendano per l'interpretazione più benigna. Gli argomenti addotti sono solidi da ambo le parti, afferma il Billuard (De Cert. praed., disp. IX, art..7).

Le prove della Sacra Scrittura assicurano il trionfo completo e nella forma più esplicita della opinione più benigna. E i rigoristi, a dire il vero, par che su­dino abbastanza nel tentare di ritorcere queste prove in loro favore (Faber, Op. cit.).

A proposito delle parabole evangeliche addotte co­me prova da ambo le parti, il Bergier si esprime in questo modo: «Se le parabole del Vangelo si possono addurre come prove, noi dovremmo concludere che è la maggioranza e non la minoranza che si salva. Gesù Cristo paragona la separazione dei buoni dai cattivi; nel giudizio finale, alla separazione del buon grano dalla zizzania; ora in un campo ben coltivato la zizza­nia non è' mai più abbondante del grano. La paragona ancora alla scelta tra i pesci buoni e i pesci cattivi; ora qual mai pescatore fu mai tanto disgraziato da pescare più pesci cattivi che pesci buoni? Delle dieci vergini invitate alle nozze, cinque sono ammesse alla festa insieme allo Sposo. Nella parabola dei talenti, due servi sono premiati, uno solo è punito; in quella del festino, di tutti gli invitati uno solo è scacciato » (Bergier, Traíté de la vraie Religion; t. x, pag. 356).

Coloro che sostengono l'opinione più severa sembra che si lascino sopraffare dalla considerazione del male nel mondo e della giustizia divina nei suoi confronti, senza riflettere abbastanza

a) che gli uomini furono creati per un piano di sconfinata misericordia e di sapienza divina, il quale sembrerebbe destinato a fallire, qualora il numero de­gli eletti non superasse quello dei reprobi;

b) che per dare nuovo assetto ai disegni di Dio, sconvolti dal peccato, Iddio stesso non solo si è fatto uomo, ma ha lavato il mondo col suo Sangue prezio­so, ed è morto aprendo le braccia sulla croce e implorando il perdono del Padre perfino sui suoi crocifis­sori ;

e) che fiumi di grazie si riversano continuamente sugli uomini, dopo il sacrificio del Calvario, in tutte le epoche della loro vita, in tutti i luoghi;

d) che insieme a tanto male, che del resto colpi­sce la nostra fantasia assai più del bene, c'è tra gli uomini molto bene; ci si fermi a considerare anche soltanto il bene fatto in seno alla Chiesa, ove per la comunione dei Santi le opere buone tornano a van­taggio di tutti.;

e) che gli uomini, se hanno un inferno che li at­tende nella vita futura, qualora se ne rendano meri­tevoli, hanno altresì la loro fornace di fuoco in questa vita, ove, volenti o nolenti, pagano un tributo di espiazione alla inesorabile giustizia divina. Che tanto fuoco e tanto sangue abbiano uno scopo ristretto nel tempo, nessuno riuscirebbe mai a farcelo comprendere. Non è raro il caso in cui gli uomini fanno insieme il male e la penitenza;

f) che la responsabilità morale degli uomini più spesso che non si creda è assai limitata. Le azioni degli uomini sono spesso assai più perverse del cuore che le commette » (Faber). Fu scritto che nessuno è tanto santo e tanto perverso come la dottrina che pro­fessa. Gesú, che meglio di tutti conosceva il cuore degli uomini, dopo aver implorato il perdono di Dio sui suoi crocifissori, aggiungeva: Non enim sciunt quid faciunt (Luc., 23, 34). Non è raro il caso di rimanere sorpresi per l'ignoranza di persone che frequentano la chiesa e i sacramenti, immaginiamo ciò che deve essere di quelli che sono sempre stati lontani dalla chiesa o non hanno avvicinato i sacerdoti che in cir­costanze rarissime; e ciò senza loro colpa. Special­mente ai giorni nostri, questi ultimi sono moltissimi. E ammirabile lo zelo del Clero per penetrare nelle officine, nelle miniere, nei cantieri, nelle industrie, nonostante le gravi difficoltà... Un numero enorme di creature umane, senza colpa o quasi, vive completa­mente lontano dalla vita e dai problemi dello spirito.

Noi rimaniamo impressionati, ed a ragione, ma Iddio che tutto conosce, giudica molto diversamente da noi;

g) che oltre all'Inferno c'è un Purgatorio, accesa per gli uomini dalla divina giustizia.

Confortiamoci perciò con la visione dell'Apostolo, che, trasportato dalla potenza divina nel regno degli eletti, racconta di aver veduto una infinita moltitudine di beati, di tutte le genti e tribù e popoli e lingue, stanti dinanzi al trono e all'Agnello, vestiti di bianche stole, con palme nelle loro mani, cantanti: Salute al nostro Dio che siede sul trono, e all'Agnello (Apoc, 7, 9, 10).

Tuttavia la grande maggioranza di quelli che si sal­vano, si ferma in Purgatorio. Ciò è ammesso da tutti, dottori e mistici. Nella vita di S. Teresa leggiamo “Osserverò solo - è la Santa che parla - che di tante anime elette da me conosciute in vita, ne ho viste tre sole volare direttamente al cielo senza passare pel Purgatorio: quella del religioso di cui ho parlato nel di­scorso di questo libro, quella del venerabile Pietro d'Alcantara e quella del padre Domenicano rammen­tato più sopra (si tratta del P. Pietro Ybanez, uno dei suoi confessori). Quando si pensi al gran nu­mero di visioni che la Santa ebbe sul Purgatorio du­rante la sua vita, e alla quantità di anime sante che fiorivano allora nella Chiesa di Dio, questa testimo­nianza della Santa ci dispensa da ogni ulteriore ricerca. Ma c'è di più: noi vediamo che gli stessi Santi ca­nonizzati dalla Chiesa non vanno sempre esenti dalle pene del Purgatorio. Si legge nelle opere di S. Pier Damiani che San Severino, Arcivescovo di Colonia, quantunque fosse stato in vita pieno di zelo apostolico e adorno di straordinarie virtù, dovette tuttavia rima­nere per qualche tempo in quel luogo di pene.

La storia riferita da S. Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (Libro IV, cap. 40) circa il santo Diacono Pascasio è davvero, stranissima, poichè dopo la morte di costui, la sua dalmatica distesa sul feretro avendo operato molti miracoli, non c'era dubbio che egli si dovesse trovare tra i beati comprensori del cielo; ep­pure come rivelò egli stesso a S. Germano di Capua, gli rimaneva da fare una lunga espiazione in Purga­torio.

Dopo tutto questo chi potrebbe mai lusingarsi di sfuggire a quella pena? Approfittiamo almeno delle sofferenze della vita presente offrendole a Dio in espia­zione delle nostre colpe, onde voglia il Signore mise­ricordioso abbreviare il nostro soggiorno nel carcere tremendo del Purgatorio.

 

CAPITOLO II

ESISTENZA DEL PURGATORIO

La preghiera per i morti

Finora noi abbiamo supposto come ammessa da tutti l'esistenza del Purgatorio, ma siccome da molti non si crede purtroppo a questa verità, e i protestanti la considerano come una superstizione della Chiesa cattolica, bisogna fermarci alquanto sulle prove che stabiliscono questa verità, per trattare poi tutti i punti della dottrina cattolica riguardante il Purgatorio.

Noi partiamo dal principio a tutti evidente, che la preghiera per i defunti suppone il domma del Purgatorio. Infatti per i Santi del Paradiso non si prega, come non si può pregare per i dannati dell'Inferno, per quelli perchè non hanno bisogno e per questi perchè si trovano nella impossibilità di trar profitto dalle nostre preghiere. La preghiera per i morti sup­pone quindi uno stato intermedio fra la beatitudine del Cielo e la eterna disperazione dell'Inferno: stato di sofferenza, ma di sofferenza temporanea, durante la quale le anime tormentate possono ricevere sollievo dai suffragi dei vivi,

La preghiera per i morti suppone quindi l'esistenza del Purgatorio, e tale preghiera si è fatta in tutti i tempi e da tutti i popoli. Gli Ebrei conobbero tale preghiera, dal momento che vediamo Giuda Maccabeo fare una colletta per offrire sacrifici in memoria e a vantaggio dei soldati del suo esercito caduti combat­tendo. La sacra Scrittura, lungi dal biasimare questo atto, aggiunge nel riferirlo una riflessione opportuna Sancta ergo et salubris est cogitatio pro defunctis exo­rare, ut a peccatis solvantur (2 Mac., 12, 46)

A proposito del culto per i morti tra i popoli primi­tivi o pagani, abbiamo la storia e la letteratura che ne parlano. Si curò la sepoltura dei cadaveri, si offrirono sacrifici e si fecero ovunque preghiere, perchè le ani­me dei trapassati riposassero in pace. Ed è quanto si fa ancora oggi tra i popoli, ai quali non giunse ancora la luce del Vangelo.

Nella Chiesa poi i riti di suffragio risalgono ai tempi apostolici, come ne fan fede le antichissime liturgie, le quali prescrivevano che nel tempio, dopo essere stati letti sui sacri dittici i nomi delle persone viventi, con le quali v'era comunione di preghiera, si leggessero quelli dei defunti in modo particolare raccomandati; e il sacerdote, come del resto fa ai nostri giorni, rac­colto in orazione, invocava per i defunti locum refri­gerii, lucis et pacis. Tutte le liturgie antiche, senza eccezione, ci ricordano questo rito, il quale per le for­me con cui veniva fatto prese il nome di "preghiera sopra i dittici”- oratio super dyptichos.

Negli Atti di Santa Perpetua, scritti in gran parte dalla Santa medesima, è bellissimo il passo, che vogliamo citar per intero, nel quale si parla proprio della fede che avevano gli antichi cristiani nel Purgatorio. La Santa dopo aver parlato delle circostanze della sua cattura e dei primi giorni passati nel carcere in compagnia di altri confessori della fede, così prose­gue: «Mentre un giorno eravamo tutti in preghiera, mi venne sulle labbra il nome del mio Dinocrate, e ri­masi stupita di non essermi mai fino a quel punto ricordata di lui. Mi afflisse il dubbio della sua infe­licità e conobbi allora che ero degna di pregare per lui e che perciò bisognava pregassi. Incominciai quin­di a pregare fervorosamente, gemendo davanti a Dio e nella notte seguente ebbi questa visione.

«Vidi Dinocrate uscire da luoghi tenebrosi, dove molti altri stavano con lui. Egli era tutto arso e divo­rato dalla sete, sordido in volto, di aspetto pallido e con la faccia tuttora corrosa dall'ulcere di cui perì.

Questo Dinocrate era mio fratello secondo la carne, in età di sette anni morì di un cancro al volto, che lo rendeva oggetto di orrore a quanti lo guardavano. Per lui io avevo pregato. Sembravami dunque che una gran distanza corresse fra lui e me, in modo che fosse impossibile appressarci l'una all'altro. Vicino, a lui vidi un bacino pieno d'acqua, il cui orlo essendo più alto della persona del fanciullo, non poteva essendo Dino­crate in alcun modo essere raggiunto per quanti sforzi facesse, onde appressare le sue labbra a quell'acqua refrigerante. Oh! quanto mi addolorava quel suppli­zio. In questofrattempo io mi svegliai, e da tutto ciò conobbi che il mio fratello trovavisi in stato di pena, e sperai di poterlo sollevare. Incominciai dunque a pregare Dio giorno e notte con lacrime e con sospiri, perchè mi concedesse la grazia della sua liberazione, e continuai le preghiere finchè fummo trasferiti nella prigione del campo, per servire di pubblico spettacolo nella festa di Cesare Geta. Il giorno in cui fummo avvinti in catene per essere condotti alla festa, io ebbi un'altra visione, nella quale scorsi il medesimo luogo visto la prima volta, e Dinocrate col corpo mondo, ri­vestito di splendide vesti e senza neppure una lieve cicatrice nel posto dell'antica piaga. L'orlo del bacino si era abbassato fino ai fianchi del fanciullo, e presso di lui stava un'ampolla d'oro per attingere acqua. Ed essendosi Dinocrate avvicinato, incominciò a bere di quell'acqua, senza che essa scemasse, e quando ne fu sazio abbandonò tutto ilare il bacino per andare a giuocare, come è costume dei fanciulli di quella età. In quel mentre mi destai, e compresi da ciò che il mio fratello era ormai libero da ogni pena ». (Acta S. Perpetuae, apud Bolland. 7 Martii).

Si legge in Eusebio di Cesarea che Costantino diede ordine che il suo sepolcro sorgesse nella chiesa dei SS. Apostoli da lui fatta costruire a Costantinopoli, e ciò nella speranza d'esser messo a parte, dopo la sua morte, delle preghiere che sarebbero state fatte in quel luogo sacro, com'ebbe a dichiarare nel suo testamento.

Nel secolo V S. Agostino rende omaggio alla pietà di sua madre, S. Monica, con uno splendido passo delle sue Confessioni, che qui vogliamo citare, e che dimo­stra la fede ch'egli aveva nel Purgatorio, e quanto sperasse dalle preghiere fatte per la madre (S. Agostino, Conf., libro IX, cap. 9 segg.).

«Un giorno la mia diletta madre, assalita da im­provvisa debolezza, perdette i sensi: quando correm­mo ìn suo aiuto, essendo già ritornata in sè, guardò tutti noi che la circondavamo, riconobbe me e mio fra­tello e con voce piangente ci disse: - Dove ero io? - E poichè ci vedeva ìnerti e oppressi dal dolore, soggiunse: - Qui, o figli miei, lascierete vostra ma­dre. - Io non risposi, chè il pianto mi impediva di parlare, ma il fratello con parole di conforto le disse di sperare di ritornare nella terra dei padri suoi. Ella fissatolo con sguardo triste per mostrargli che aveva tutto compreso, volse gli occhi sopra di me, e mi dis­se: - Senti che cosa ha detto? - e poco dopo rivol­gendosi ad ambedue: - Voi comporrete questo corpo in quel luogo ove meglio vi piacerà; non ve ne pren­dete pensiero. L'unica preghiera che vi rivolgo è che dovunque vi troverete vi ricordiate di me nel Sacrifi­zio divino». A questo proposito S. Agostino fa queste belle riflessioni: «Ora che il primo dolore prodotto dall'affetto naturale è passato, io vi loderò, o Signore, in nome della vostra serva, ed altre lacrime spargerò dinanzi a voi, che non siano della carne, ma bensl dello spirito, lacrime che fluiscono spontanee dal ci­glio quando si pensi al pericolo nel quale si trovano le anime che peccarono in Adamo, poichè quantun­que la madre mia sia stata vivificata in Gesù Cristo e sia vissuta nella carne glorificando sempre il vostro santo Nome col fervore della sua fede e con la illibatezza dei suoi costumi, nondimeno io non ardisco affermare che dal giorno in cui voi, o mio Dio, la rige­neraste col santo Battesimo, non sia uscita dalle sue labbra alcuna parola contro i vostri comandamenti. Ma poichè voi non desiderate la ricerca dell'iniquità, nutro fiducia filiale che la madre mia abbia trovato misericordia davanti al vostro cospetto, e perciò, o Dio del mio cuore, io lascio da parte a bella posta le opere sante fatte dalla mia diletta genitrice, e delle quali mi consolo rendendo a voi grazie infinite, per domandarvi solo perdono dei suoi peccati. Esaudite­mi, ve ne scongiuro per le ferite sanguinose di Colui che mori per noi sul legno infame, e che ora assiso alla vostra destra intercede per gli uomini.

Lo so ch'ella fece sempre misericordia e rimise di tutto cuore i debiti ai suoi debitori; rimettete quindi ancora voi a lei i suoi, se qualcuno ne avesse contratto nei numerosi anni che trascorsero dal giorno in cui fu rigenerata col santo Battesimo, fino a quello del suo passaggio da questa vita. Perdonatela, perdona­tela, ve ne scongiuro, o Signore, e non entrate con lei in giudizio, poichè la vostra misericordia supera la vostra giustizia, le vostre parole sono veraci e promet­teste misericordia a chi avrà fatto misericordia. Questa misericordia io credo che voi l'abbiate già fatta, o mio Dio; ma tuttavia accettate l'omaggio delle mie lab­bra. Ricordatevi che nel momento del suo passaggio all'altra vita, la vostra serva non pensò a far rendere al suo corpo funebri onoranze con splendidi esequie - e con profumi preziosi, non domandò un sepolcro su­perbo, nè di essere trasportata in quello che aveva fatto costruire a Tagoste, sua patria, ma solo volle che noi ci fossimo ricordati di lei dinanzi ai vostri santi altari, nel mistero sublime al quale ogni giorno ella prese parte, poichè sapeva che in questo si di­spensa la Vittima immacolata, il sangue della quale ha annullato la sentenza fatale della nostra condanna.

«Ch'ella dunque, o Signore, riposi in pace presso le ossa del suo consorte, accanto a colui al quale ri­mase fedele nelle gioie della verginità e nelle tristezze della vedovanza, accanto a colui di cui erasi fatta ser­va per guadagnarlo a voi con la sua pazienza salu­tare. E voi, o mio Dio, ispirate ai vostri servi, che sono miei fratelli, ispirate ai miei figli spirituali, che sono miei maestri, poichè il mio cuore, la mia voce, i miei scritti sono al loro servizio, ispirate a tutti quelli che leggeranno queste mie parole di ricordarsi dinanzi ai vostri altari di Monica, vostra serva, e di Patrizio, suo sposo. Furono essi che mi introdussero nel mon­do; fate dunque che tutti coloro che vivono fra la luce ingannevole di questo secolo si ricordino piamente dei miei genitori, affinchè l'ultima preghiera di mia ma­dre morente sia esaudita anche più di quello che essa desiderava; e non abbia essa a ricevere soltanto il soc­corso delle mie preghiere, ma anche quello di molti altri ».

Ho voluto riferire quasi per disteso questa meravi­gliosa preghiera del santo Dottore a vantaggio della sua madre defunta, perchè quando si pensi alla san­tità di quella illustre matrona, che la Chiesa sollevò agli onori degli altari, quando si consideri che nel momento in cui il figlio scriveva erano trascorsi circa vent'anni dalla morte di lei, si scorgerà facilmente che cosa pensasse il grande Dottore della Chiesa latina sul Purgatorio e sulla severità della giustizia di Dio. S. Gregorio Magno coi suoi Dialoghi contribuì no­tevolmente a promuovere tra i cristiani la devozione verso le anime del Purgatorio. Il Padre Lefebvre era salito dire ché S. Gregorio Magno doveva essere amato ed onorato dai fedeli per molte ragioni, ma sopratutto perchè aveva esposto in maniera tanto chiara e com­movente la dottrina del Purgatorio, e credeva che se non avesse parlato con tanta eloquenza di quelle ani­me sante, la devozione nutrita verso di loro nei secoli posteriori sarebbe stata meno ardente, e quindi insie­me alla devozione verso le anime del Purgatorio in­culcava sempre nei fedeli sentimenti di riconoscenza verso il santo Dottore.

Nel sesto secolo si introduce l'uso dell'Ufficiatura dei Morti, e da allora in poi le testimonianze della tradizione si accumulano in modo che è impossibile citarle tutte.

Sul finire del decimo secolo nella Certosa di Cluny, per opera del santo abate Odilone ebbe origine la Commemorazione dei Morti, che da quel tempo si ce­lebra ogni anno dalla Chiesa cattolica il 2 novembre, giorno seguente a quello in cui si celebrano le gioie della Chiesa trionfante con la Festa di Tutti i Santi:

Due secoli più tardi il grande Alighieri, che va considerato come l'interprete e lo specchio del suo tempo, riassumendo nella sua magnifica epopea tutte le pie credenze dell'epoca, esponeva coi canti più sublimi e con le più commoventi ispirazioni le pene del Pur­gatorio.

Sappiamo d'altra parte quanta fosse nel medio evo la devozione verso i defunti. In alcune città quando scendevano le ombre della notte e ciascuno si ripo­sava dai lavori della giornata, si udiva per le strade la voce del banditore notturno, che in quel cupo si­lenzio andava ripetendo - O buoni fratelli che ve­gliate, pregate per i defunti. - Gli uomini dei nostri giorni, che aboliscono con tanta cura gli emblemi della morte, troverebbero certamente troppo lugubre un simile avvertimento, ma in quell'età di fede i popoli erano meno delicati. La Chiesa militante formava una sola famiglia con la Chiesa purgante: il ricordo dei poveri morti non turbava il sonno di nessuno; col pretesto della sensibilità non si cercava di farlo scom­parire dalla mente di coloro che i trapassati avevano amato. Ai nostri giorni tutto è cambiato. Il ricordo dei defunti spesso ci riesce importuno: rari i pellegri­naggi alle tombe, fievole la riconoscenza, pochi i suf­fragi. Si è tentato perfino di distruggere i corpi dei nostri trapassati, per impedire così le salutari lezioni che vengono dalle loro tombe: al rito cristiano della inumazione si vorrebbe sostituire quello pagano della cremazione.

Nel secolo decimoquinto il Concilio di Firenze si occupò lungamente della questione del Purgatorio. Non già che la Chiesa latina e la greca non si trovassero d'accordo circa l'esisteriza di codesto luogo di pena, ma la controversia era sorta sulla natura è sulla durata delle pene, e, come vedremo altrove, per non porre ostacolo alla desiderata unione della Chiesa greca alla latina, il Concilio si astenne dal pronunziarsi su questo punto.

Nel secolo seguente una voce blasfema si fece udire nella Chiesa, condannando per la prima volta la pre­ghiera per i defunti. Era la voce di Lutero, che voleva infrangere quei vincoli sacri, che ci uniscono ai fra­telli d'oltre tomba, soffocando la preghiera sulle lab­bra e la speranza nel cuore di coloro che rimpiangono dilette memorie. Non più Purgatorio, non più stato intermedio tra la beatitudine del Cielo e le pene eterne dell'Inferno; cose tutte contrarie, diceva l'eresiarca, ai sentimenti più santi, alle ispirazioni più commo­venti del cuore umano.

Per una felice incoerenza non pochi protestanti si riconobbero cattolici presso la tomba di persone a loro care, e malgrado i sofismi del loro spirito, uscì spon­tanea da quei petti la preghiera in suffragio dei morti. Tolte però queste eccezioni, è certo che il Protestan­tesimo non ammette la preghiera per le anime dei trapassati.

A codeste negazioni infondate, la Chiesa cattolica, vera madre delle anime, oppose, una splendida rea­zione, poichè dopo avere rivendicato solennemente nel Concilio di Trento l'antica fede sul Purgatorio, di­chiarando anatema chiunque negasse la sua esistenza e l'utilità dei suffragi pei morti (Sess. VI cap. 3o, Sess. XXII cap. 2, Sess. XXV decretum), essa promosse per ogni parte la formazione di pie Società con lo scopo di pregare per i defunti. Così vediamo a Roma Paolo V autorizzare. E incoraggiare la pia pratica di. comunicarsi in una domenica di ogni mese a suffragio dei defunti, e a Bruxelles stabilirsi una Congregazione il cui scopo è di pregare per la libe­razione delle anime del Purgatorio, poichè, dicono gli statuti di questa Congregazione, se vi sono nella Chiesa Ordini religiosi fondati col pio scopo di redimere gli schiavi, con più forte ragione devono esi­stere congregazioni e confratelli che si occupino non a liberare dai ceppi i corpi dei cristiani, ma a trarre le loro anime dalle pene del Purgatorio. Queste pie confraternite si moltiplicarono e diffusero per tutto il mondo cristiano, e dappertutto furono arricchite di privilegi e di numerose indulgenze dai Vescovi e dai Sommi Pontefici.

Pure ai nostri dì molto si prega per le anime sante del Purgatorio. La pratica dell'atto eroico a vantag­gio dei defunti, che nei tempi passati era in uso solo qua e là, quasi come eccezione, ai giorni nostri si è talmente generalizzata, che intiere comunità religiose hanno più volte rinunziato a tutto il merito delle loro opere buone per convertirlo a pro dei defunti, e in quasi tutte le parrocchie è invaso il pio costume di consacrare l'intero mese di Novembre a suffragare le anime del Purgatorio. Finalmente in questi ultimi anni si è formato un Ordine religioso con lo scopo di procurare per mezzo della preghiera e del sacrificio il sollievo di quelle povere anime.

Così il ricordo dei morti rimane, e rimane a dispetto della lotta ché si è fatto e si sta facendo a danno di quei cari, che, lasciandoci, sperarono nel nostro soc­corso, e non è un ricordo sterile, ma fatto di rimedi efficaci, di preghiere, di sacrifici, di opere buone, of-ferte alla giustizia divina, onde affretti il soggiorno beato della perpetua pace nella visione beatifica alle anime sante di coloro, che ci precedettero nel trava­glio della vita terrena.

 

Dov'è il Purgatorio?

Ecco tracciata a grandi tocchi la storia del culto dei morti; dal che risulta che le sentenze del Concilio di Trento, la Tradizione cattolica e le rivelazioni dei Santi sono concordi nello stabilire in modo irrefra­gabile la credenza del Purgatorio.

Ora si presenta l'altra questione importantissima del luogo ove il Purgatorio si trovi. La Chiesa non si è mai pronunziata su questo argomento, lasciando i teologi liberi nelle loro opinioni. Vedremo quello che pensano i mistici, c'intratterremo sulle rivelazioni dei Santi; intanto riportiamo una interessantissima pagi­na del prof. Chollet (I nostri defunti; P. II, cap. II).

« Fuor di dubbio il Purgatorio è luogo di prigionia e può dirsi pure che l'anima vi è in certo modo inca­tenata. Di fatti il Purgatorio è un castigo fatto di fuoco probabilmente materiale; ed ogni materia occu­pa dello spazio. Di più l'anima è preda di questo fuoco e vi è abbandonata per divina potenza nè può sfuggirne fino al momento della sua completa purifi­cazione. Tuttavia essa conserva dei contatti col mondo esteriore. Vedremo più tardi, che il fuoco della divina giustizia, sebbene terribile e materiale realtà, è for­nito di qualità che lo fanno ben differente da quello che consuma il legno arido o rende liquido il metallo

arroventato. Sopratutto è fenomeno che appartiene al di là, vale a dire ad un ordine materiale diverso da quello del nostro mondo sensibile. Al modo stesso che i corpi risuscitati, sia degli eletti che dei reprobi, sebbene corpi veri rivestiranno delle qualità assolutamente diverse da quelle della vita presente, così pure il fuoco che tormenterà questi ultimi possederà un carattere speciale. Chi impedisce d'altronde di conside­rare il fuoco del Purgatorio come una materia avente analogia nelle sue qualità spirituali con quelle dei corpi glorificati? E se così è, questo fuoco non po­trebbe avere come appunto i corpi glorificati, come il corpo eucaristico del Salvatore, una localizzazione di­versa da quella dei corpi terrestri?

«Oltre a ciò non è punto necessario supporre riu­nito in una sola massa ardente tutto il fuoco che tor­menta le anime; non v'è nessuna necessità di sostenere che il fuoco che purifica l'anima di Pietro abbia a trovarsi nel luogo stesso e insieme a quello che pu­ rifica l'anima di Paolo. Questo fuoco si apprende al­l'anima e la chiude fra le sue vampe; l'anima col suo senso misterioso è avviluppata dentro questo ardore; ma perché non potrebbe ella allo stesso tempo che vi è imprigionata raggiare al di fuori, e vedere intorno - a sè? Quel fuoco d'altronde non è assegnato, come pare, ad un luogo fisso. Aderente all'anima, la segue in ogni moto, l'invade tutta del suo misterioso ardore e con lei si trasferisce, a guisa di fornace accesa nel cuore, che il suo ardore diffonde in tutto l'organismo, circola nelle vene e nelle arterie, irraggia nei nervi e nei muscoli, in qualunque luogo divora la sua preda.

«Se così è, il Purgatorio parrebbe piuttosto uno stato che un luogo; e lo stato delle anime giuste ma non del tutto purificate, sarà simile alla condizione dolorosa dei figli che hanno offeso il padre e son privi per qualche tempo di vederne l'aspetto; al supplizio di cuori amanti, straziati dal rimorso delle offese che rammentano fatte al padre amato. Nello stesso modo sarà il castigo del fuoco. L'anima trascinerà seco il suo supplizio, come l'augellino ferito dal piombo mi­cidiale, porta seco infissa nel fianco la morte e corre l'aria con volo doloroso. Essa non avrà perduto perciò ogni contatto con questo mondo, come non l'ha per­duto col cielo ».

Ciò premesso, dato che, come si è accennato sopra, siamo in un campo assai libero, veniamo alle rivela­zioni dei Santi.

Santa Francesca Romana ci fa sapere che il Pur­gatorio, non è che uno scompartimento dell'Inferno, che secondo la Santa sarebbe diviso in quattro parti, la prima delle quali costituisce il vero e proprio in­ferno dei dannati, che trovasi al centro, mentre le altre parti costituirebbero il Purgatorio, il Limbo dei santi Padri, e il limbo dei fanciulli morti senza battesimo. La descrizione di Santa Francesca Romana è confor­me alla opinione di S. Tommaso, secondo il quale il fuoco del Purgatorio è tutto simile a quello dell'In­ferno.

Tuttavia non è escluso che la giustizia divina per­metta talvolta che le anime soddisfino alla pena dei loro falli nei luoghi stessi dove peccarono o vissero, o si rivelino comunque in determinati luoghi. Non mancano antiche rivelazioni narrate da S. Gregorio Magno (libr. 4 Dial. cap. 40 e 55) e da S. Pier Da­miani negli scritti intorno ai miracoli del suo tempo. Noi riferiremo quanto riporta Mons. Alfredo Vitali, nel suo volumetto Il Mese di Novembre a propo­sito di un'apparizione di questo genere.

«Era una fredda sera di Novembre del 1894 e il sacerdote D. Fabiano Battaglini in sulle due ore di notte; dopo le funzioni di chiesa, faceva ritorno alla sua abitazione sul colle Palatina.

Da più anni egli si occupava dell'Oratorio Notturno nella chiesa di S. Lorenzo in Fonte sulla via Urbana, ove nel Novembre si celebrava il devoto esercizio del Mese dei Defunti.

« Per fare ritorno alla sua casa il buon sacerdote doveva percorrere la via del Colosseo e poi volgere a destra e percorrere la breve stradicciola che mette sul­l'area del Tempio di Venere e Roma, alle spalle della Chiesa di S. Maria Nuova o S. Francesca Romana. In quell'epoca, al termine della stradicciola, per entra­re nell'area del tempio, si doveva attraversare uno stretto passaggio tra due bassi muriccioli, uno dei quali, quello di destra, si prolungava a fianco di un sentiero sassoso che, dolcemente salendo, portava ad un orto, che ancora esiste, di prospetto al Monastero di S. Maria Nuova. Costeggiava questo muricciolo una fila di colonne spezzate ed abbattute, quelle che ora formano riparo lungo il ciglio della platea del tempio, di prospetto al Colosseo ed alla via Sacra. Un custode notturno doveva vigilare, girando, quella zo­na solitaria e pericolosa; quindi non era infrequente caso che D. Fabiano trovasse seduto sopra uno dei due muriccioli l'uomo, cui toccava il turno di servizio.

« Il buon sacerdote, conosciuto da tutto il personale addetto agli scavi del Palatino, soleva talora intratte­nersi per breve tempo con il custode, scambiare con lui una parola ed offrirgli una presa di tabacco.­

- Buona sera, D. Fabià - era il consueto saluto d'ogni incontro.

- Buona sera - la risposta di quella buona pasta d'uomo, semplice e gioviale.

« Era dunque una sera di Novembre del 1894 e Don. Fabiano se ne tornava in casa questa volta in compa­gnia di un suo conoscente, un buon vecchio, impie­gato dell'Ufficio Scavi. Giunti entrambi al passaggio tra i due muriccioli, trovarono il custode, che col suo bastone, seduto, passava le sue ore di guardia. Lo sa­lutarono e, scambiando qualche parola, si allontana­rono alquanto, poi si fermarono, perchè lo sguardo di tutti fu richiamato da una figura bianco vestita, che con passo lento, il capo chino e i capelli disciolti lun­go le spalle, discendeva dal sentiero che costeggiava l'orto, di cui si è fatto cenno.

« Tutti silenziosi osservavano con attenzione, com­presi da una certa meraviglia, la strana figura. Sem­brava una donna, ma la fioca cuce del lontano fanale non ne lasciava discernere i lineamenti. Essa passò poco discosta dai tre, silenziosa, e s'incamminò len-tamente, come fosse stanca, alla volta delle colonne, distese lungo il muricciolo; e quando fu presso la se­conda, a breve distanza dai suoi osservatori, alzò in alto le braccia, accompagnandole con un moto del capo all'indietro e gridando con accento lungo, dolo­roso, straziante: « quanto soffro! » si abbandonò pe­santemente sulla colonna.

« A quel grido accorsero i tre, e: « Buona donna » dissero tosto, « che cosa avete ? »... Ma quale fu la loro sorpresa nel non vedere più alcuno!...

« La visione era sparita... Il custode allora disse che altre volte aveva veduto aggirarsi quei fantasma per quei luoghi, senza porvi mente e senza essere richia­mato all'attenzione da cenno o dà parola alcuna.

« In tutti rimase la persuasione trattarsi di una ap­parizione di anima del Purgatorio, e perciò, tanto il sacerdote che i due secolari si affrettarono a suffra­garla con Messe ed altre opere espiatorie.

« Questo fu narrato allo scrivente dal medesimo sa­cerdote, D. Fabiano Battaglini » (Op. cit., pag. 5 1 segg.).

Alcune volte, specialmente per quelli che muoiono di morte violenta, sembra che compiasi l'espiazione nel luogo stesso ove furono uccisi. Le leggende di tutti i grandi campi di battaglia e di tutti i luoghi nei quali il delitto ha fatto scorrere sangue umano, ci par­lano di pianti e di grida ascoltate durante la notte ed imploranti preghiere e suffragi.

Per quanto vogliasi gridare alla superstizione, non mi par possibile escludere tutti i fatti di questo genere, che si trovano raccontati nelle storie, tanto più che buon numero di essi son riferiti da autori seri ed imparziali. Tritemio, nella sua Cronaca (anno 1058), racconta il fatto di numerosi soldati che comparivano ad aldini religiosi sul campo di battaglia dove erano periti, per implorare suffragi; e in un'opera più re­cente, La vita del P. Giuseppe Anchieta, sopranno­minato, per il suo zelo, l'Apostolo del Brasile, si parla d'infelici assassinati che comparivano sulla sponda del lago nel quale erano stati gettati i loro cadaveri, per ottenere suffragi da un santo religioso dimorante in quei dintorni.

Altre volte infine la giustizia divina assegna a certe anime un luogo speciale di espiazione, senza che vi sia altra ragione tranne quella della volontà di Dio, la quale così permette per ammaestramento dei vivi o per procurare ai defunti quei suffragi dei quali hanno più bisogno. Per questo motivo, secondo la testimo­nianza di S. Gregorio Magno, il diacono Pascasio avrebbe fatto il suo purgatorio nei bagni di Capua, dove fu visto dal santo Vescovo Germano occupato a compiere gli uffici più vili finchè non fosse finito il tempo della sua espiazione. (Dialoghi, libro IV, cap. 40).

Con San Tommaso concluderemo dunque che in quanto al luogo del Purgatorio nulla è espressamente determinato nella Scrittura, ma che nondimeno è pro­babile e conforme al sentimento dei Santi ed a molte rivelazioni, che questo luogo sia duplice; il primo vi­cinissimo all'Inferno, di modo che il fuoco che in questo tormenta i dannati, in quello purifica i giusti; il secondo esistente quasi in forza di una specie di eccezione o dispensa, ed è per questo che noi leggiamo essere state punite delle anime in differenti luoghi, sia per ammonimento dei vivi, sia per sollievo dei morti, ai quali così riesce più facile implorare i nostri suf­fragi e veder diminuite le loro pene (III parte in suppl. De Purgatorio, art. 2).

 

CAPITOLO III

LE PENE DEI, PURGATORIO E IL LORO RIGORE

Pena del danno e pena del senso

Dopo, la divina sentenza, supposto che l'anima sia condannata al Purgatorio, il desiderio di purificazione invade l'anima stessa, che nella pena che le è riservata vede la via che la condurrà più presto in Paradiso. S. Caterina da Genova, nel suo meraviglioso Trattato del Purgatorio, dice che l'anima corre a precipitarsi in Purgatorio, tanto è grande l'orrore che concepisce dei suoi falli dinanzi alla purezza e alla santità di Dio e tanto è impaziente di purificarsi dalle sue sozzure. Ecco le parole della Santa: «Siccome lo spirito mondo e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, essendo stato creato a questo fine; così l'anima in peccato, altro luogo non trova adatto, salvo l'Inferno, avendole ordinato Iddio quel luogo per fine suo: perciò in quell'istante in cui lo spirito e separato dal corpo, l'anima corre verso l'ordinato suo luogo, senz'altra guida che la natura del peccato, quando l'anima parte dal corpo in peccato mortale. E se l'anima non trovasse in quel punto quell'ordinazione (procedente dalla giustizia di Dio) rimarrebbe in un maggiore inferno; perciò non tro­vando luogo conveniente, nè di meno male per lei, per l'ordinazione di Dio vi si getta dentro, come nel suo proprio luogo.

« Così a proposito del Purgatorio, l'anima separata dal corpo, non trovandosi in quella purezza nella qua­le fu creata, e vedendo in sè l'impedimento che non le può essere levato se non per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri e se non trovas­se questa ordinazione, atta a levarle quell'impaccio, in quell'istante in lei si genererebbe un vero inferno, vedendo di non potere accostarsi (per l'impedimento) al suo fine, che è Dio, il quale le è tanto a cuore, che in comparazione al Purgatorio è da stimarsi nulla, benchè, come si è detto, sia simile all'Inferno (cap- 7)».

Le rivelazioni dei Santi confermano quanto dice S. Caterina da Genova. Leggiamo in S. Geltrude come una religiosa del suo monastero, nota per le sue austere virtù, essendo morta ancor giovane con senti­menti di edificante pietà, si manifestasse alla Santa, mentre questa stava pregando per lei. La defunta fu vista innanzi al trono dell'Altissimo circondata da una brillante aureola e ricoperta di ricche vesti tuttavia sembrava triste in volto e pensierosa, e teneva gli oc­chi bassi quasi si vergognasse di comparire innanzi a Dio. Sorpresa Geltrude, domandò al divino Sposo delle vergini la causa di quella tristezza e di quel ti­more, e lo pregò di invitare quella sua sposa presso a lui. Allora Gesù, fatto cerino a quella buona religiosa di avvicinarsi, le sorrideva con amore; ma ella sempre più turbata ed esitante, dopo aver fatto un grande inchino alla Maestà di Dio, si allontanò. San­ta Geltrude, più che mai stupita, rivolgendosi diretta­mente a quell"anima, le disse: - Figlia mia, perché egiti e ti allontani, mentre il Salvatore t'invita? Hai sempre desiderato questa suprema felicità durante la vita terrena, ed ora che sei chiamata a goderne, te ne rimani così fredda e impassibile? Non vedi forse che il buon Gesù ti aspetta? - Ma quell'anima rispose - Ah! madre mia, io non sono ancora degna di com­parire innanzi all'Agnello immacolato, poiché mi re­stano ancora alcune macchie da purificare. Per potersi avvicinare al Sole di Giustizia bisogna essere più puri della luce stessa ed io non ho ancora questa perfetta purezza che egli brama di contemplare nei suoi Santi. Anche se le porte del cielo fossero spalancate dinanzi a me e da me sola dipendesse il varcarle, non oserei giammai di farlo prima di essere intieramente purifi­cata dalle più piccole colpe; mi sembrerebbe che il coro delle Vergini, che seguono di continuo l'Agnello divino, mi dovesse scacciare lontano da lui per non esserne degna. - Ma come può esser ciò che mi dici, rispose la Santa, se io ti vedo, o mia figlia, circon­data di luce e di gloria? - Quanto voi vedete, rispose quella, non è che la frangia delle vesti sublimi del­l'immortalità. Ben altra cosa è il vedere Iddio, il vi­vere in lui e possederlo per sempre! Per conseguire però questa grazia è necessario che l'anima non abbia in sè la più piccola macchia. di colpa.­

Così, dopo il giudizio, si inizia la purificazione, hanno inizio le pene. E quali pene! Vicino alla bara di un nostro caro, che le sofferenze hanno consumato, ci confortiamo ordinariamente dicendo: - Almeno ha finito di patire!... - Oh! finissero veramente, col fi­nire della vita presente, le nostre pene! Il corpo cessa di soffrire, ma le sofferenze dell'anima possono conti­nuare, possono accrescersi, e continuano e crescono generalmente.

Inifatti secondo quello che insegnano i Dottori, i patimenti del Purgatorio non solo son riservati a quasi tutte le creature umane, ma per la loro intensità nep­pure sono da paragonarsi ai patimenti della vita pre­sente. Secondo S. Tommaso, il quale del resto non fa che riferire l'unanime insegnamento dei Padri, le pene del Purgatorio in nulla differiscono dalle pene dell'In­ferno, eccetto che nella durata. Altrettanto asseriscono i mistici. Ecco quel che leggiamo in S. Caterina da Genova

«Le anime purganti provano un tal tormento, che lingua umana non può riferire, nè alcuna intelligenza darne la più piccola nozione, a meno che Iddio non lo facesse conoscere per grazia speciale (Tratt. del Purg., cap. 2).

V'è nel Purgatorio, come nell'Inferno, doppia pe­na, quella del danno, che consiste nella privazione di Dio, e quella del senso. La pena del danno è senza paragone più grande, ed è tanto più intensa in quan­tochè quelle anime vivendo nell'amicizia di Dio; sen­tono più forte il bisogno di unirsi a lui » (Id.).

La Chiesa non si è mai pronunziata sulla natura della pena del senso. Nel Concilio di Firenze fu lungamente dibattuta anche questa questione fra i Greci e i Latini, ma per non porre ostacolo alla desiderata unione delle due Chiese, nulla venne deciso. Però sic­come tutti i teologi insegnano che questa pena è quella del fuoco, come pei dannati, sarebbe temerità allontanarsi da tale opinione. Secondo S. Gregorio Magno, S. Agostino e S. Tommaso, questo fuoco è sostan­zialmente uguale a quello dell'Inferno: la differenza consiste solo nella durata.

Agli insegnamenti dei Padri e dei Teologi, fanno eco gli insegnamenti dei Mistici e le rivelazioni dei Santi. Nella storia del Padre Stanislao Choscoa, do­menicano, leggiamo il fatto seguente (Brovius, Hist.Hist, de, Pologne, année 1590).

Un giorno, mentre questo santo religioso pregava per i defunti, vide un'anima tutta divorata dalle fiamme, alla quale avendo egli domandato se quel fuoco fosse più penetrante di quello della terra: - Ahimè!, rispose gridando la misera, tutto il fuoco della terra paragonato a quello del Purgatorio è come un soffio d'aria freschissima. -. E come ciò è possibile? sog­giunse il religioso. Bramerei farne la prova a condi­zione che ciò giovasse a farmi scontare una parte delle pene che dovrò un giorno soffrire in Purgatorio. - Nessun mortale, replicò allora quell'anima, potrebbe sopportare la minima parte di quel fuoco senza mo­rirne all'istante tuttavia se tu, vuoi convincertene, stendi la mano: - Il padre, senza sgomentarsi, porse la mano, sulla quale il defunto avendo fatto cadere una goccia del suo sudore, o almeno di un liquido che sembrava tale, ecco all'improvviso il religioso emettere grida acutissime e cadere in terra tramortito, tanto era grande lo spasimo che provava. Accorsero i suoi confratelli, i quali prodigarono al poveretto tutte le cure, finchè non ottennero che ritornasse in sè. Allora egli pieno di terrore raccontò lo spaven­toso avvenimento, di cui egli era stato testimone e vit­tima, conchiudendo il suo discorso con queste parole – Ah! fratelli miei, se ognuno di noi conoscesse il rigore dei divini castighi, non peccherebbe giammai facciamo penitenza in questa vita, per non doverla poi fare nell'altra, perché terribili sono quelle pene; com­battiamo i nostri difetti, e correggiamoli, e special­mente guardiamoci dai piccoli falli, poichè il Giudice divino ne tiene stretto conto. La maestà divina è tanto santa che non può soffrire nei suoi eletti la minima macchia. - Dopo di che si pose in letto, ove visse per lo spazio di un anno in mezzo ad incredibili sof­ferenze prodottegli dall'ardore della piaga che gli si era formata sulla mano. Prima di spirare esortò nuo­vamente i suoi confratelli a ricordarsi dei rigori della divina giustizia, e quindi morì nel bacio del Signore. Lo storico soggiunge che questo esempio terribile ria­nimò il fervore in tutti i monasteri, e che i religiosi si eccitavano a vicenda nel servizio di Dio, affine d'essere salvi da così atroci supplizi.

Un fatto quasi uguale avvenne alla beata Caterina da Racconigi (Diario Domenicano, Vita della Beata, 4 Sett.).

Una sera, mentre ella assalita dalla febbre stava co­ricata in letto si mise a pensare agli ardori del Pur­gatorio, e secondo la sua abitudine, rapita di lì a poco in estasi, fu condotta da nostro Signore in quel luogo di pena.

Mentre osservava con terrore quegli ardenti bracieri e quelle fiamme divoratrici, in mezzo alle quali son trattenute le anime che hanno ancora da espiare qual­che fallo, udì una voce che le disse: - Caterina, af­finchè tu con maggior fervore possa procurare la libe­razione di queste anime, sperimenterai per un istante nel tuo corpo le loro sofferenze. - In questo mentre una favilla di quel fuoco andò a colpirla nella guan­cia sinistra: le consorelle che si trovavano vicino a lei per curarla videro benissimo questo fatto, e nel tempo stesso osservarono con orrore che il viso di lei si gon­fiò in maniera spaventosa, mantenendosi poi per più giorni in quello stato. La Beata raccontava alle sue sorelle che tutti i patimenti da lei sofferti fino a quel momento (ed erano stati molti), erano nulla a para­gone di quello che le faceva soffrire quella scintilla. Fino a quel giorno erasi sempre occupata in modo tutto speciale di sollevare le anime purganti, ma d'al­lora in poi raddoppiò il fervore e l'austerità per acce­lerare la loro liberazione, poichè sapeva omai per espe­rienza il gran bisogno che quelle hanno d'essere sot­tratte ai loro supplizi.

Racconteremo ora quanto accadde a Sancio virtuo­sissimo re di Spagna, com'è riferito da Giovanni Va­squez. (Cronica, an. 940)

Questo principe, fervente cristiano, morì avvelenato da uno de' suoi vassalli. Dopo la sua morte la con­sorte Guda non cessava di pregare e di far pregare pel riposo di quell'anima: fece celebrare un numero immenso di Messe, e per non separarsi da quelle care spoglie, prese il velo nel monastero di Castiglia, dove era stato sepolto il corpo del consorte. Indi a qualche tempo mentre un sabato ella stava pregando con gran fervore la SS. Vergine per la liberazione del defunto, le apparve costui, ma oh Dio! in qual misero stato! Era vestito in gramaglia, e per cintura portava doppio giro di catene arroventate, e rivolgendosì a Guda, le dìsse: - Ti ringrazio delle preghiere che fai per me e delle Messe che facesti celebrare in mio suffragio, ma prosegui, te ne prego, in quest'opera caritatevole. Se tu sapessi quanto io soffro faresti certamente assai di più, e il tuo zelo nel sollevare me, che tanto amasti sulla terra e che non hai cessato di amare, aumente­rebbe d'assai. Per le viscere della divina misericordia soccorrimi, o Guda, soccorrimi, poichè queste fiamme mi divorano! - La pia Regina incominciò allora a raddoppiare preghiere, digiuni e buone opere affin di sollevare quell'anima si duramente martoriata. Per quaranta giorni non cessò di piangere a calde lacrime per ispegnere le fiamme che divoravano il suo povero marito; fece dispensare larghe elemosine ai poveri a nome del defunto, fece celebrare un gran numero di Messe, e a tal fine donò al monastero splendidi arredi. Passati i quaranta giorni le apparve nuovamente il Re, ma libero dalle catene di fuoco, e invece di gra­maglia, ricoperto di un manto candidassimo, nel quale Guda riconobbe con sorpresa quello da lei donato alla chiesa del monastero, e che scomparso all'improvviso - dalla sacristia, si credette involato dai ladri. - Ecco, le disse il Re; grazie a te, io son libero e non ho più nulla a soffrire; sii benedetta per sempre! Persevera nei tuoi pii esercizi, e medita spesso sul rigore delle pene dell'altra vita e sulle gioie del Paradiso, dove io vado ad aspettarti. - A tali detti la Regina, piena di gioia, volle tendere le braccia verso il defunto con­sorte, ma questo disparve lasciando in mano di lei il mantello, che ella rese alla chiesa cui lo aveva donato la prima volta.

Assai interessante il fatto seguente, che leggiamo nella vita di S. Nicola da Tolentino. Un sabato, di notte, mentre il Santo dormiva, vide in sogno una povera anima del Purgatorio, che lo supplicò di ce­lebrare nella mattina seguente il divin Sacrificio per lei e per molte altre anime che soffrivano in Purgato­rio. Il Santo, avendo riconosciuto la voce di chi gli parlava, senza potersi tuttavia ricordare a quale per­sona a lui nota appartenesse, domandò allo spirito chi - fosse. - Io sono il tuo defunto amico Fra Pellegrino da Osimo, che purtroppo sarei andato dannato senza il soccorso della divina misericordia; mi trovo in luogo di pena; ho bisogno del tuo aiuto, ed anche a nome di molte altre anime infelici vengo a supplicarti di voler celebrare per noi domani la santa Messa, dalla quale attendiamo la liberazione, o almeno un gran sol­lievo dalle nostre pene. - Voglia il Signore appli­carti i meriti del suo Sangue prezioso, rispose il San­to, ma in quanto a me, non posso soccorrerti domani col suffragio che mi domandi, perchè essendo offician­te di settimana, siccome domani è giorno di festa, non potrei celebrare all'altare del coro la Messa dei defun ti. – Deh! vieni, vieni almeno con me, gridò allora il defunto con lacrime e sìnghiozzi, te ne scongiuro per amor di Dio, vieni a contemplare le nostre soffe­renze, e non sarai più sì crudele da negarmi il favore che ti domando: so che il tuo cuore è troppo buono perchè tu possa più oltre lasciarci in tante pene. ­Parve allora al Santo di essere trasportato in Purga­torio, dove vide una vasta pianura, nella quale una moltitudine di anime di tutte le età e condizioni erano tormentate con vari ed atroci supplizi. E qui biso­gnerebbe la penna dell'immortale Alighieri, del can­tore sublime dell'Inferno e del Purgatorio per riferire i tormenti indicibili da cui vide il Santo afflitte quelle povere anime, e forse l'immaginazione stessa di Dante impallidirebbe dinanzi a tanto spettacolo di dolore. Non ci proveremo quindi a farlo, ma diremo solo che quegli spiriti penanti imploravano in coro coi gesti e colla voce gemente l'aiuto di san Nicola, al quale Fra Pellegrino disse: - Ecco, come vedi, la situazione di quelli ché mi hanno a te inviato: essendo tu caro al Signore, confidiamo che nulla rifiuterà egli all'obla­zione del santo Sacrificio compiuta dalle tue mani, e siamo sicuri che la divina misericordia ci libererà. - Sparita in tal modo l'apparizione, il Santo non potè frenare le lacrime alla considerazione di sì straziante spettacolo, e postosi in preghiera per tutto il resto della notte, appena albeggiato corse a trovare il priore per raccontargli l'accaduto. Questi, penetrato dalla descrizione di quelle pene, lo dispensò non solo per quel giorno, ma per l'intera settimana dall'ufficio di ebdomadario, onde potesse durante quel tempo offrire il divin Sacrificio a sollievo di quelle povere anime. Il Santo in quel giorno e per tutta la settimana celebrò la Messa con straordinario fervore, dedicandosi inol­tre giorno e notte alla pratica delle virtù e delle peni­tenze più austere, prolungando le sue veglie e le sue orazioni, digiunando a pane ed acqua, martoriando il suo corpo con discipline e portando una catena di fer­ro strettamente serrata ai fianchi. Al termine di quei sette giorni, il Santo ebbe la consolazione di vedersi nuovamente comparire Fra Pellegrino, non più in mezzo a quelle orribili torture, ma ricoperto di una veste candidissima e circondato di splendori celesti, in mezzo ai quali gioivano molte altre anime bene­dette, che tutte salutarono il Santo, chiamandolo loro liberatore, e cantando mentre salivano al cielo: Sal­vasti nos de af fligentibus nos, et odientes nos confu­disti! (Ps. 43, 7)

Un altro fatto assai impressionante si legge nelle cronache domenicane a proposito del fuoco del Pur­gatorio (v. Ferdinando di Castiglia, Storia di S. Do­menico, 2a parte, libro I, cap. a3).

A Zamora, città del regno di Leon in Spagna, vi­veva in un convento di Domenicani un buon religio­so, legato in santa amicizia ad un Francescano, uomo anch'egli di esimia virtù. Un giorno in cui i due frati s'intrattenevano fra loro di cose spirituali, si promi­sero scambievolmente che il primo che fosse morto sarebbe apparso all'altro, se cosa Dio fosse piaciuto, per informarlo della sarte toccatagli nell'altro mondo. Morì per primo il Francescano, e, fedele alla sua pro­messa, apparve un giorno al religioso Domenicano mentre stava preparando il refettorio, e - dopo averlo salutato con straordinaria benevolenza, gli disse di essere bensì salvo, ma che gli rimaneva ancora molto da soffrire per una infinità di piccoli falli, dei quali non si era emendato durante la vita. Poi soggiunse: - Niente v'è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene. - E perchè l'amico ne avesse una prova, il defunto stese la destra sulla tavola del refettorio, dove l'impronta rimase così profonda, quasi vi aves­sero applicato sopra un ferro rovente. Quella tavola si conservò a Zamora fino al termine del ‘700, epoca nel­la quale le rivoluzioni politiche la fecero sparire in­sieme con tanti altri ricordi di pietà dei quali abbon­dava l'Europa.

 

«Usque ad novissimum quadrantem!»

Ma forse, dirà qualcuno, supplizi così atroci saranno riservati ai grandi peccatori o a coloro che avendo accumulato quaggiù in terra colpe su colpe, si convertono solo in punto di morte senza far penitenza dei loro falli. Purtroppo non è così: i fatti sopra narrati e quelli che stiamo per raccontare dimostrano proprio il contrario, che saranno cioè puniti anche i falli leg­geri, anche le mancanze che crediamo trascurabili e nelle quali cadiamo tanto spesso e tanto volentieri, il­ludendoci di non doverne pagare poi pena alcuna nell'altra vita.

Si legge nella vita della ven. Agnese di Gesù, reli­giosa domenicana, che per più di un anno sottopose il suo corpo ad asprissime penitenze, ed innalzò a Dio molte e ferventi preghiere pel defunto padre del suo confessore. Quest'anima le appariva sovente implo­rando i suffragi di lei, e un giorno avendole toccata una spalla con la mano, ebbe a soffrirci per più di sei ore gli ardori intollerabili del Purgatorio: finalmente il defunto fu liberato dopo tredici mesi da quelle tor­ture. Sopra di che gli autori delle memorie sulla vita della madre Agnese fanno osservare il rigore dei di­vini giudizi; poichè il defunto avea santamente vis­suto nel secolo, era un confessore della fede, essendo stato perseguitato dai protestanti di Nimes, i quali si erano impadroniti de' suoi beni, l'aveano gettato in prigione e vessata con ogni sorta di angherie; prima di morire aveva sopportato con pazienza esemplare una lunga e dolorosa malattia; eppure nonostante tanti meriti acquistati, nonostante i digiuni, le pre­ghiere, le discipline della caritatevole Agnese, nono­stante le numerose Messe celebrate dal figlio suo, ei restò più di un anno in mezzo a quelle torture spa­ventose.

Ma udite un esempio ancor più meraviglioso. Allorchè questa stessa madre Agnese era priora del suo monastero, una delle religiose per nome suor Ange­lica, venuta a morte, il dì seguente, a quello in cui era spirata il confessore della comunità ordinò alla superiora che si recasse a pregare sulla tomba di lei. Vi andò ella infatti, e trovandosi là inginocchiata tutta sola e nel cupo della notte, fu assalita da un su­bitaneo timore, insinuatole forse dal demonio, che voleva distorla da quel caritatevole officio. Abituata però com'era alle sue astuzie, si tenne salda ed offrì a Dio quello spavento in espiazione per la defunta, rappresentandogli come non fosse curiosità ma obbe­dienza che la induceva ad interessarsi dello stato di quell'anima, e poichè era a lui piaciuto di farla cu­stode in vita di quella povera pecorella, fosse naturale ch'ella trepidasse per lei dopo la morte. Ed ecco ve­nirle innanzi la morta in abito da religiosa, emettendo dal capo come una fiamma ardente, il cui calore bru­ciava quasi il viso della priora, alla quale suor Ange­lica con grande umiltà domandò perdono dei dispia­ceri causatile durante la vita, ringraziandola dell'af­fettuosa assistenza che le avea prodigata nell'ultima malattia. La madre Agnese, da parte sua, tutta con­fusa, domandava perdono alla suora, pretendendo nel­la sua umiltà di non averle prestato tutte quelle cure, alle quali sarebbe stata tenuta nella sua carica di su­periora. Ma suor Angelica seguitava a ringraziarla e ad attestarle la sua riconoscenza, perchè in vita le aveva spesso inculcate quelle parole del Vangelo: «Maledetto colui che compie con negligenza l'opera di Dio». La spronava in pari tempo ad eccitare le suore a servir Dio con sollecitudine e ad amarlo con tutto il cuore, e soggiunse: - Se si potesse arrivare a comprendere quanto son grandi i tormenti del Pur­gatorio, si starebbe sempre all'erta per cercare di evi­tarli. -­

Tutti sanno quanto grande fosse il fervore delle prime compagne di S. Teresa, di quelle anime elette, che ella si era associate per la riforma del Carmelo. Eppure malgrado la loro santità e le loro eroiche pe­nitenze, quasi tutte dovettero provare le pene del Purgatorio. Ecco quanto racconta a tal proposito la Santa stessa (Vita S. Teresa, scritta da lei stessa, cap. 30).« Una religiosa di questo monastero, gran serva di Dio, essendo morta appena da due giorni e recitan­dosi per lei in coro l'Ufficio dei defunti, mentre una suora leggeva una lezione ed io ero in piedi per dire il versetto, alla metà della lezione vidi l'anima della suddetta uscire dal fondo della terra e salire al cielo. « Nello stesso monastero moriva, in età di diciotto o venti anni circa, un'altra religiosa vero modello di fervore e di virtù, la cui vita era stata una serie non interrotta di patimenti e di dolori sofferti con ammirabile pazienza. Io non dubitavo che sarebbe libera dalle fiamme del Purgatorio; eppure, mentre circa quattro ore dopo la sua morte recitavo l'Ufficio, vidi parimenti la sua anima uscir dalla terra e salire al cielo ».

Dalla vita della beata Stefanina Quinzana togliamo un esempio, che avvalora quanto stiamo asserendo. Una religiosa domenicana, chiamata Suor Paola, era morta a Mantova dopo una lunga vita menata nell'e­sercizio delle più eroiche virtù. Il cadavere di lei, portato in chiesa, era stato posto in mezzo al coro, e mentre, secondo il rito ecclesiastico, ne veniva fatta l'assoluzione, la beata Stefanina Quinzana, che era legata da stretta amicizia alla defunta, inginocchia­tasi presso la bara, si pose a raccomandare a Dio con tutto il fervore dell'anima la compianta amica. Quan­d'ecco questa all'improvviso lasciar cadere il croci­fisso che teneva fra le mani, tendere la sinistra, ed afferrando con questa la mano destra della beata, stringerla con tanta forza, da non poterla più svinco­lare. Per più di un'ora quelle due mani restarono così serrate, durante il qual tempo Suor Stefanina sentiva in fondo al suo cuore una voce inarticolata, che dice­va: - Soccorretemi, sorella mia, soccorretemi negli spaventosi supplizi che mi tormentano. Oh! se sape­ste la rabbia dei nostri nemici invisibili nell'ora della morte, e la severità del Giudice che esige il nostro amore, che esamina le nostre più indifferenti opera­zioni, e l'espiazione da farsi prima di giungere alla ricampensa! Se sapeste come bisogna esser puri per ottenere la corona immortale! Pregate molto per me, sorella mia; ponetevi mediatrice fra la giustizia di Dio e i falli di me meschina; pregate, pregate e fate pe­nitenza per me che non posso più aiutarmi. - Tutta la comunità rimase stupita a quel fatto, quantunque nessuno intendesse i lamenti della defunta; finalmente intervenne il superiore che in virtù di santa obbedien­za comandò a suor Paola di lasciare Stefanina. Ub­bidì subito la defunta, e la sua mano ripiombò inani­mata sul feretro. - La storia della Beata riferisce che ella fu fedele alla preghiera dell'amica, e si diè ad ogni sorta di penitenze e di opere soddisfattorie, fin­chè una nuova rivelazione le fece conoscere che suor Paola era stata finalmente liberata da quei tormenti ed ammessa alla gloria eterna.

Vorremmo che le anime pie restassero colpite da questi esempi e ne approfittassero per emendarsi, con­siderando che quelle piccole imperfezioni, quei difetti di ogni giorno, di cui si accusano sì spesso al santo tribunale della penitenza, senz'averne però quasi mai una sufficiente contrizione, trovano nell'altra vita una rigorosa espiazione. Il fatto seguente valga ad affer­mare quanto andiamo dicendo.

Cornelia Lampognana fu una santa matrona che visse a Milano, ad imitazione di Santa Francesca Ro­mana, nella professione perfetta dei tre stati di ver­gine, di sposa e di vedova. Essendo strettamente in santa amicizia con una religiosa del terz'Ordine di san Domenico, un giorno in cui s'intrattenevano delle co­se dell'altra vita, si promisero scambievolmente che se così fosse piaciuto a Dio, la prima di loro che morisse, apparirebbe all'altra. Dopo cinque anni Cornelia pas­sò da questa vita, e in capo a tre giorni si presentò alla sua compagna, mentre era in cella inginocchiata ai piedi del crocifisso. Stupita a tal vista, la religiosa esclamò: - O Cornelia, Cornelia mia, come sono fe­lice di rivederti! Dove ti trovi tu dunque? Certo sarai già nel seno di Dio, che servisti in questa vita con tanto zelo ed amore! – Ahimè! Ancora no, rispose l'altra. Vedi come sono diversi i giudizi di Dio da quelli degli uomini! Io sono in luogo di pena e vi dovrò restare ancora per qualche tempo in espiazione dei falli della mia vita, che avrebbe potuto essere più fedele e più fervente. - Prendendo poi per mano la sua amica, soggiunse: - Vieni con me, e ti farò ve­dere cose meravigliose. - E postosi in cammino, ar­rivarono in un vasto campo tutto ripieno di bellissime viti, sulle cui foglie erano impressi dei caratteri. - Leggi - disse Cornelia alÍ'amica. Si chinò allora la suora e con grandissima sorpresa avendo letto su quel­le foglie i propri difetti ed imperfezioni quotidiane, domandò attonita che cosa volesse ciò significare. Nulla di strano, sorella mia - rispose la defunta non hai forse letto spesse volte quelle parole pronun­ziate da nostro Signore nell'ultima cena: «Io sono la vite e voi i tralci»? Ogni nostra azione buona o cat­tiva è una foglia di questa mistica vigna; per entrare ­in cielo è necessario che le foglie del male siano di­strutte e consumate dal fuoco: ma, consolati, sorella mia, poichè guardando ben da vicino, vedrai che poco ti resta a distruggere, avendo tu fedelmente perseve­rato nelle tue promesse verginali, e servito con zelo il tuo buon maestro. Sono è vero ancor numerose le tue mancanze, ma non tanto quanto le mie che percorsi sulla terra stati sì differenti e te ne voglio far con­vinta. - E avanzandosi di pochi passi si trovarono di nuovo in una località ripiena di viti serpeggianti e intrecciantesi da tutte le parti, in maniera che le fo­glie ricoprivano il suolo; ed appressandosi ansiosa­mente la suora per vedere che cosa fosse scritto su queste: - Fermati, le disse l'amica: il mio divin Salvatore non permette che tu conosca fin d'ora le offese che io gli feci, e vuol risparmiarmi tanta vergogna. Leggi soltanto quel che troverai scritto sulle foglie che vedi vicine a te. - Allora ella posando lo sguardo su quelle che le erano più dappresso, vide registrate tutte le mancanze commesse dalla defunta nel luogo santo, le irriverenze, le distrazioni, i discorsi inutili fatti in chiesa. - O mio Gesù, gridò allora la religiosa, che s'avrà da fare per rimediare a tanti falli? Come mai dopo le tue confessioni e comunioni sì frequenti, dopo le indulgenze da te guadagnate ti resta ancor tanto da espiare? - Giusto è quanto dici, o sorella, ma sappi che per la mia tiepidezza e per l'abitudine presavi, io non trassi tutto quel frutto che avrei dovuto dalle mie comunioni e confessioni, e quanto alle indulgenze avendone guadagnate pochissime, tre o quattro al più, a motivo delle mie abituali distrazioni e della man­canza di fervore, bisogna che faccia ora quella peni­tenza che non feci quando pur mi sarebbe riuscito si facile. -

Ragionerebbe quindi da insensato colui che dicesse di non pregare per un defunto, perchè visse e morì da santo. Quante anime deploreranno amaramente in Purgatorio questi giudizi troppo favorevoli sulla loro sorte di oltretomba. Noi abbiamo visto che S. Ago­stino aveva tutt'altra idea del rigore dei divini giudi­zi, dal momento che dopo venti anni pregava tutti i giorni e scongiurava i suoi lettori pel riposo dell'ani­ma della sua santa madre Monica. A proposito dell'eccessiva facilità di giudicar santi alcuni defunti, ri­portiamo un esempio tratto dalla Cronaca dei Frati Minori. (Parte II, libro IV, cap. 7).

Nel convento dei Frati Minori di Parigi, essendo morto un santo religioso, che per la sua eminente pie­tà veniva soprannominato l'Angelico, uno de' suoi confratelli, dottore in teologia e uomo di molte virtù omise di celebrare le tre Messe solite a dirsi dai reli­gìosi alla morte di ciascun confratello, sembrandogli di far quasi ingiuria alla misericordia e giustizia di Dio pregando per la salvezza di un uomo sì santo e che, secondo lui, doveva già trovarsi elevato al più alto grado di gloria. Ma ecco che in capo a pochi giorni, mentr'egli stava passeggiando assorto in me­ditazione per un viale del giardino, gli apparve il de­funto tutto circondato di fiamme, gridando con voce lamentevole: - Caro maestro, ve ne scongiuro, ab­biate pietà di me e soccorretemi. - E qual bisogno avete de' miei poveri aiuti, o anima santa? rispose il religioso. – Ahimè! Ahimè! Io sono ancor trattenuto nel fuoco del Purgatorio, in attesa delle tre Messe che voi avreste dovuto celebrare per me. Se aveste esat­tamente soddisfatto all'obbligo che le nostre costitu­zioni c'impongono, a quest'ora sarei già nella celeste Gerusalemme. - E poichè il religioso allegava per iscusa la vita santa ch'egli aveva menato, le preghie­re, le penitenze, l'esattezza scrupolosa da lui usata nell'osservanza della regola e tante altre sublimi vir­tù, il defunto esclamò: - Ahimè! Ahimè! Nessuno crede, nessuno comprende con quanta severità Iddio giudica e punisce le sue creature. L'infinita purezza di lui scopre difetti in tutte le nostre azioni. Se i cieli medesimi non vanno esenti da imperfezioni davanti ai suoi occhi purissimi, come l'uomo, creatura tanto miserabile, potrà comparire davanti a lui? Occorre rendere conto a Dio fino all'ultimo centesimo, usque ad novissimum quadrantem. Se con tutta la scienza che possedete, voi aveste compreso un po' meglio la santità infinita di Dio, oh! non mi avreste trattato con tanto rigore! - E ciò detto scomparve. Affretta­tosi il buon religioso a celebrare le tre Messe doman­date, nel terzo giorno gli apparve di nuova quell'a­nima benedetta per ringraziarlo e per annunziargli che, finite le pene, se ne andava a ricevere la ricom­pensa delle sue virtù.

Da tutto questo dobbiamo concludere che purtrop­po non si pensa abbastanza ai rigori del Purgatorio e alla santità di Colui che non tollera la più lieve mac­chia nei suoi Santi. Se si meditassero un po' più spes­so queste verità si eviterebbero con maggior cura quei falli leggeri, di cui facciamo si poco conto, e si pre­gherebbe con più fervore per quelle povere anime martoriate, che mentre viviamo ci sarebbe tanto facile soccorrere.

 

CAPITOLO IV

I PECCATI E LE LORO PENE

Una visione di S. M. Maddalena de' Pazzi Se dalle considerazioni generali fin qui esposte sul rigore delle pene del Purgatorio, noi passiamo ad esaminare particolarmente le pene proprie a ciascun peccato, non potremo aver guida migliore delle rive­lazioni di santa Maria Maddalena de' Pazzi, la quale fra tutte le Sante canonizzate dalla Chiesa è quella che, dopo santa Francesca Romana, ci ha lasciato la descrizione più minuziosa, e per così dire, la più esatta topografia del Purgatorio. Una sera mentr'ella insieme con alcune suore passeggiava nel giardino del monastero, fu all'improvviso rapita in estasi ed intesa gridare più volte: - Sì ne farò il giro, sì ne farò il giro. - Colle quali parole voleva acconsentire all'in­vito che dal suo Angelo custode le veniva fatto di vi­sitare il Purgatorio. Così le sue consorelle la videro con ammirazione e terrore intraprendere quel doloroso viaggio di cui, cessata poi l'estasi, scrisse una splen­dida narrazione: - Per due ore continue fu veduta girare intorno al vasto giardino del monastero ferman­dosi con attenzione a considerare quanto probabilmen­te le veniva mostrato dall'Angelo, spesso torcendosi le mani dalla commiserazione e divenendo pallidissi­ma in viso. Inoltravasi colla persona curva verso terra e come schiacciata sotto un pesantissimo fardello, dan­do sì manifesti segni di orrore, che solo a guardarla faceva paura. Le consorelle la seguivano ascoltando con pia avidità le esclamazioni di terrore o di compassione che le sfuggivano di tratto in tratto. Talora si sentiva gridare: - Oh che pena! Misericordia, mio Dio, misericordia! Sangue prezioso del mio Salvato­re, scendete su queste anime e liberatele dai loro spa­simi. Povere anime quanto soffrite! eppure vi vedo ilari e contente fra i vostri tormenti! Eppure vi è an­cora chi soffre di più! - Una volta esclamò: - Come vorrei non rimirar da vicino quelle povere tormenta­te! - Nondimeno dovette obbedire e discendere eziandio in altri abissi. Ma dopo aver fatto alcuni passi eccola fermarsi ad un tratto spaventata e tre­mante e mandando alte grida esclamare: - Come! Sacerdoti e religiosi in questo luogo sì orribile! Ah! mio Dio, mio Dio, come li veggo tormentati! - E l'orrore e il tremito che agitava il suo corpo dava a conoscere l'intensità delle sofferenze che in quel momento contemplava.

Uscita dal carcere dei sacerdoti traversò luoghi me­no lugubri ed andò in quello delle anime semplici, dei bambini e di coloro, le cui colpe sono attenuate dall'ignoranza. Là non v'era che ghiaccio e fuoco, e le anime passavano alternativamente dall'uno all'altro. Ivi la Santa riconoscendo l'anima del suo fratello morto poco prima, fu intesa gridare: - Povera ani­ma del fratello mio, quanto soffri! eppure te ne con­soli: bruci eppur sei contenta, perchè sai che queste pene sono strada alla felicità. - Fatti altri passi an­cora, fece capire che stava contemplando anime assai più infelici, e gridò: - Ahimè quanto è orribile que­sto luogo! Come e pieno di schifosi demoni e di incredibili tormenti! Chi sono mai, o mio Dio, questi infelici tormentati? Oh! come li vedo trafitti da punte d'aghi acutissimi e quasi fatti a brani! - Allora le fu risposto che quelle erano le anime di coloro che in vita avevano cercato di piacere agli altri ed avevano tal­volta peccato di ipocrisia. Ancora più innanzi vide una turba spinta verso un dato luogo e quasi schiac­ciata sotto un enorme peso, e capì per rivelazione che quelle erano le anime impazienti e disobbedienti. Men­tre le guardava, faceva gesti svariatissimi, ora chinando il capo fino a terra, ora fissando l'occhio atter­rito su qualche punto, ora sospirando con atteggia­mienti di profonda compassione.

Dopo un pò di tempo sembrò anche più afflitta, ed emise un grido di spavento: entrava allora nella car­cere dei bugiardi. Dopo averla attentamente osserva­ta, disse ad alta voce che i bugiardi stanno in un luogo vicinissimo all'Inferno, che grandi sono le loro pene e che nella loro bocca viene versato piombo fuso, mentre stanno immersi in uno stagno ghiacciato, così che bruciano e gelano al tempo stesso.

Arrivata poi alla prigione di coloro che peccarono per troppa fragilità, gridò: - Ahimè! m'ingannai credendovi insieme a coloro che peccarono per igno­ranza, giacchè vi vedo bruciare in un fuoco assai più ardente. - Più lontano riconobbe gli avari che si li­quefanno come il piombo nella fornace. Quindi passò tra coloro che sono debitori alla divina giustizia per i peccati d'impudicizia, perdonati, ma non abbastan­za espiati in vita. La loro prigione era talmente sudi­cia e fetente, che solo a vederla da lungi chiudeva il cuore. La Santa passò oltre senza dire parola, ma alla fine del suo doloroso pellegrinaggio fu intesa grida­re: - Ditemi, o mio Signore Gesù, quale sia stata la vostra sublime intenzione nello svelarmi pene così or­ribili. Forse per appagare il mio desiderio di sapere dove fosse l'anima del mio fratello, o per spingermi a pregare di più per le anime del Purgatorio?... No ora comprendo: voi avete voluto così, onde conoscessi meglio la vostra immacolata purezza!

Dal carcere degli impudici, la Santa passò a quello degli ambiziosi e superbi, i quali soffrono acerbamen­te in mezzo a foltissime tenebre. - Miseri, disse, co­storo, che per aver voluto elevarsi sugli altri, sono ora condannati a vivere in tanta oscurità! - Vide poi le anime di quelli che, ingrati verso Dio e duri di cuore, non hanno mai conosciuto cosa volesse dire amare il loro Creatore, Redentore e Padre. Costoro sono immersi in un lago di piombo fuso, in pena di aver fatto rimanere sterili con la loro ingratitudine le sorgenti della grazia.

Finalmente in un'ultima prigione le furono mostra­te quelle anime che pur non avendo avuto in vita al­cun vizio particolare, si macchiarono di tanti piccoli falli, ed osservò che per pena dovevano subire tutti i castighi propri ai vizi stessi, ma in piccola propor­zione.

Dopo due ore di sì penoso e duro pellegrinaggio, la Santa ritornò in sè, ma in tale stato di debolezza e di prostrazione morale, che le occorsero parecchi giorni per rimettersi dall'impressione del terribile spettacolo che aveva avuto sott'occhi.

Tali particolarità sul Purgatorio, che troviamo nella vita di S. M. Maddalena de' Pazzi, le ritroviamo nelle rivelazioni di molti altri Santi, che con le anime pur­ganti ebbero particolare relazione.

Nella vita di S. Bernardino da Siena (Bollandisti, Vita S. Bernardini Sen., 20 Maji, in Supplemento) si legge il fatto seguente.

Un giovanetto, morto all'età di undici anni, men­tre gli si facevano i funerali, per la preghiera di San Bernardino si scosse come da un sonno profondo e postosi a raccontare quel che aveva veduto nell'altra vita, descrisse con straziante precisione i tormenti dei dannati nell'Inferno, raccontò quindi le gioie ineffa­bili dei beati in Paradiso e le pene delle povere anime del Purgatorio. A proposito di queste ultime, descris­se le precise particolarità che si trovano nelle rivela­zioni di quei Santi, i quali, come S. M. Maddalena de' Pazzi, S. Francesca Romana o la venerabile Ma­ria Francesca del Sacramento, ebbero particolarmente a cuore la causa delle anime purganti.

Nella vita del P. Nicola Zucchi della Compagnia di Gesù troviamo raccontato quanto segue.

Un cavaliere desiderava in matrimonio una nobile fanciulla romana, la quale dietro consiglio del P. Zuc­chi, suo confessore; aveva fatto voto a Dio della sua verginità, ed osava importunarla con le sue sollecita­zioni persino nel santo asilo dove ella aveva ricove­rato la sua innocenza. Un giorno il P. Zucchi, incon­tratolo per una strada di Roma, lo rimproverò aspra­mente per l'indegnità della sua condotta, minaccian­dolo di tutto il rigore dei castighi divini, ma inutil­mente. Quindici giorni dopo il cavaliere morì, e dopo qualche tempo la novizia s'intese un giorno tirar per le vesti, e udì una voce chele disse: - Venga al par­latorio. - Ella vi andò, e veduto un uomo che ivi passeggiava, gli chiese ansiosamente chi fosse, cosa fosse venuto a fare a quell'ora, e che cosa volesse da lei. Allora quegli, senza nulla rispondere, le si fermò davanti, sicchè essa ben lo riconobbe per quel cava­liere suo amante. A questo punto costui, aperto il mantello in cui era avvolto, le fece vedere delle catene di ferro, delle quali alcune gli pendevano dal collo, altre gli stringevano i polsi, ed altre le gambe sotto le ginoc­chia: castigo ben meritato da chi aveva voluto incate­nare una sposa di Cristo con amore profano. Quindi il cavaliere disse con voce lugubre: - Pregate per me - e disparve.

 

Pene particolari

Adesso entriamo ancora più addentro nelle partico­larità di tante sofferenze, e non contenti di questo, per dir così, panorama generale delle pene del Purgatorio, audíamo nelle rivelazioni dei Santi le pene speciali inflitte dalla gìustizia di Dio a quei falli, che la maestà sua ha più particolarmente in orrore.

Fra codeste mancanze Iddio punisce molto severa­mente la vanità. Citeremo qui due esempi che vor­remmo facessero rinsavire tanta frivola gioventù che consuma il tempo in acconciarsi ed abbellirsi per pia­cere in questa vita, accumulandosi tormenti inauditi per l'altra. Il primo è tratto dalle rivelazioni di santa Brigida (lib. VI, capo 52), la quale, in una delle estasi che le discoprirono il Purgatorio, osservò fra le altre una fanciulla di alto lignaggio, che le fece conoscere quanto penasse in espiazione dei suoi peccati di va­nità. Quel capo, che con tanta cura aveva coltivato, era divorato all'interno e all'esterno da fiamme cocen­tissime; quelle spalle e quelle braccia, che tante volte aveva amato di portar denudate, erano strette da ca­tena di ferro rovente; i piedi si agili nella danza erano avvinghiati e morsi da vipere, che li insozzavano colla loro bava immonda; tutte le membra, che in vita, era solita di sopracaricare di monili, di gioie, di perle, di fiori; erano torturate da spaventevoli pene. E andava gridando: - Madre mia, madre mia, quanto sei col­pevole verso di me! La tua soverchia indulgenza, peg­giore dll'odio più atroce che tu avessi potuto portarmi, mi ha fatto precipitare ìn queste orribili pene! Tu mi conducevi alle feste, ai balli, agli spettacoli, a tutte le riunioni mondane che sono la rovina dell'anima e per le quali ora soffro miseramente, e quantunque tal­volta mi consigliassi preghiere ed atti di virtù, questi si trovaron sempre superati e quasi perduti per i sol­lazzi e le compiacenze che io mi prendeva nella vita.

Nondimeno rendo grazie infinite al mio Dio perchè non permise la mia eterna dannazione. Prima di mo­rire, presa da pentimento, mi confessai, e quantunque lo facessi in considerazione delle pene che mi pote­vano essere riservate nel l'altro mondo, e quindi la mia confessione non fosse valida, nel momento però d'en­trare in agonia mi ricordai della dolorosa passione del Salvatore, e potei così formare un atto di vera contri­zione, promettendo, se ne avessi avuto tempo, di ri­parare colla penitenza alle mie colpe. - Lo storico soggiunge che la Santa avendo raccontato l'appari­zione ad una cugina della defunta, l'impressione da questa riportata fu tale, che rinunziato alle vane lusin­ghe del secolo, si rinchiuse in un monastero di auste­rissima penitenza, dove santamente visse e morì.

Il secondo esempio è tratto dalla vita della beata Maria Villani, scritta dal padre Maschi (lib. II, capo 5). - Mentre un giorno questa serva di Dio pregava per le anime del Purgatorio, fu condotta in ispirito nel luogo delle lor pene, e fra tutte quelle infelici sof­ferenti ne vide una tormentata più delle altre da orri­bili fiamme che da cima a pie' ravvolgendola, la con­sumavano continuamente. Interrogata dalla Serva di Dio sul perchè di tanto soffrire, e se avesse mai un momento di tregua fra quelle sofferenze, rispose: -­ Già da molto tempo mi trovo qui a scontare severa­mente, le mie vanità passate e il lusso scandaloso in cui vissi, ma fino ad ora non ottenni mai il benché minimo sollievo, avendo il Signore permesso nella sua giustizia che io fossi completamente dimenticata dai miei parenti, dai miei figlie dai miei amici, perché quando ero in vita, tutta dedita alle vanità del mondo, alle feste e ai piaceri, assai di rado pensavo a Dio e ai doveri del mio stato. Così ora Iddio permette che sia dimenticata da tutti. - E ciò detto disparve.

L'altro grave peccato che Iddio odia e punisce or­ribilmente è lo scandalo. « Maledetto colui per cui viene lo scandalo» disse il Maestro. « Se il tuo occhio ti scandalizza cavatelo e gettalo via da te; è meglio entrare nella vita eterna con un solo occhio, o con un sol piede, che andare all'Inferno con ambedue ».

Un pittore di fama e buon cristiano; essendosi la­sciato trascinare per qualche tempo dal cattivo esem­pio, aveva dipinto dei quadri sconci. Se ne era poi pentito e si era dato esclusivamente alla pittura sacra. L'ultimo suo lavoro fu un bellissimo dipinto in un Convento di Carmelitani Scalzi; terminato il quale, essendo stato colto da mortale, malattia, chiese in gra­zia al priore di essere sepolto nella chiesa del conven­to, lasciando alla comunità il prezzo assai alto della sua opera col patto che dai religiosi fossero celebrate altrettante Messe in suo suffragio. Era morto da po­chi giorni nel bacio del Signore, quando un frate ri­masto in coro dopo mattutino, se lo vide comparire tutto piangente e dibattendosi fra le fiamme. Sbalor­dito a tal vista, gli domandò se fosse veramente egli il buon pittore morto, poco prima, e perché lo vedesse ridotto in sì misero stato. - Allorchè resi l'anima a Dio, rispose il defunto, mi trovai al suo divin tribu­nale circondato da molte persone, le quali deponevano a mio svantaggio, perchè eccitate in vita a malvagi pensieri ad impuri desideri da un quadro osceno da me dipinto, erano state condannate al Purgatorio; ma quel che più mi atterrì si fu il vederne uscire altre dall'Inferno, gridando, che poiché io ero stato causa della loro eterna rovina, era giusto che subissi lo stes­so loro castigo. Per buona sorte accorsero dal cielo molti Santi a prender le mie difese, dimostrando il divin Giudice come quello fosse stato un lavoro di mia gioventù inesperta, compensato da tanti altri che ave­vano servito di edificazione a moltissime anime. Fui salvo allora dalla pena eterna, ma condannato bensì a soffrire tra queste fiamme, finchè quella maledetta pittura sia bruciata e non possa più dare scandalo ad alcuno. Vi prego adunque, mio buon Padre, di recar­vi dal proprietario del quadro, e dirgli in quale stato io mi trovi per aver ceduto alle sue premure, suppli­candolo da parte mia a disfarsi di quella pittura, get­tandola immediatamente alle fiamme. Che se rifiutas­se, guai a lui! In prova di quanto dico e in punizione del suo delitto annunziategli poi che fra, poco perderà i suoi due figli, e qualora mancasse di ubbidire agli ordini divini, egli stesso perirà di morte prematura. - Il possessore del quadro, sapute tali cose, tosto lo bruciò; tuttavia in meno di un mese vide morire i due suoi figli, per il quale castigo fu preso da tanto dolore, che passa il resto della sua vita nel far peni­tenza del fallo commesso coll'ordinare e conservare quella pittura scandalosa. (Vedi: Rossignoli, Meravi­glie del Purgatorio, lib. IV, cap. 9).

Altra colpa alla quale Dio riserba severa punizione sono i discorsi vani. Si quis in verbo non offendit, hic perfectus est vir (Iac. 3, z), disse l'apostolo S. Giacomo e ben a ragione, poichè la lingua è fomite di ini­quità. Senza parlare delle bestemmie, dei propositi licenziosi, delle maldicenze e calunnie, chi non ha da rimproverarsi tante e poi tante di quelle parole vane e leggere, delle quali il divin Maestro ha detto che ci domanderà conto nel giorno del giudizio? L'esempio che qui sotto riferiamo dovrebbe far riflettere quei fa­ceti, maldicenti per professione, i quali occupano il posto d'onore nelle conversazioni mondane e son sem­pre pronti a far ridere gli altri a spese del prossimo.

L'abate Durando, priore di un monastero di bene­dettini, indi Vescovo di Tolosa; era uomo di rara pie­tà, di singolare mortificazione e pieno di zelo pel suo spirituale avanzamento; però amava troppo lo scherzo e non sapeva frenare abbastanza la lingua. Fin da quando era semplice monaco, il suo abate Ugo lo ave­va parecchie volte ammonito, predicendogli che se non si fosse emendato di questo difetto ne avrebbe avuto a soffrire molto in Purgatorio, ma egli non die­de troppo ascolto a questo avviso e proseguì anche da vescovo a dire facezie e scherzi in abbondanza. Dopo morto però si vide quanto fosse giusta la pre­dizione dell'abate Ugo, poichè apparso Durando ad un religioso suo amico lo pregò vivamente d'interce­dere per lui, che trovavasi martoriato in Purgatorio da strazi acutissími a cagione dell'intemperanza usata nel parlare a carico altrui. Radunatisi allora tutti quei monaci, si stabilì che l'intera comunità avrebbe osser­vato per otto giorni un rigoroso silenzio in suffragio di quell'anima penante. Ma ecco in capo a questo tempo comparire di nuovo il defunto e lamentarsi, perchè uno dei monaci essendo venuto meno alla pro­messa del silenzio, era riuscito sterile per la sua libe­razione il frutto di quel suffragio. Si ripeté allora dal­la comunità la pia mortificazione, la quale, essendo stata osservata fedelmente da tutti, meritò al defunto vescovo Durando la liberazione dalle pene del Purga­torio.

Quanto al peccato della menzogna, abbiamo già ve­duto dalla rivelazione di S. Maria Maddalena de' Pazzi come sia punito in modo singolarmente terribi­le, poiché Iddio, eterna Verità, ha in orrore la bugìa. In molte apparizioni noi vediamo le povere anime raccomandarci di astenerci dalla menzogna, e dichia­rare che all'altro mondo quelle che da taluni si con­siderano come cose da poco o semplici esagerazioni sono severamente punite.

Raccomandano parimente quelle anime sante di astenersi dal fare i voti alla leggeaa e quando siano fatti, di osservarli scrupolosamente, poiché la giusti­zia di Dio è inesorabile. Sul qual proposito voglio qui raccontare il seguente fatto, tratto dalla vita del ve­nerabile Dionigi Cartusiano. - Questo santo religio­so stava assistendo un novizio moribondo, il quale parecchi anni prima avendo fatto voto di recitare per due volte l'intero Salterio e non avendo poi adem­piuto mai la sua promessa, si trovava molto perplesso sul letto di morte, paventando la severità dei divini giudizi. Allora Dionigi per incoraggiarlo e consolarlo in quei momenti supremi, gli promise che avrebbe soddisfatto a quell'obbligo in vece sua, ma, così forse permettendo la giustizia di Dio, dopo la morte del novizio il buon Padre dimenticò anch'egli la promes­sa, mentre intanto quello sventurato era trattenuto fra le fiamme del Purgatorio. Un giorno finalmente aven­dogli Iddio concesso di comparire a Dionigi per ri­cordargli l'impegno preso, il defunto mostrandosegli tutto mesto e addolorato, pronunziò sospirando queste due parole: - Pietà, pietà! - Stupito e desolato al­lora della sua dimenticanza, il buon Padre voleva spiegare a quell'anima la causa di tanto oblìo, ma il defunto con voce supplichevole gridò: - Ohimè! se voi soffriste la millesima parte de' miei tormenti non ammettereste scusa di sorta, anche se in apparenza legittima, e in quest'istante medesimo soddisfereste all'obbligo contratto in mio nome dinanzi a Dio. - E così dicendo scomparve.

Bisognerebbe che gli uomini del mondo, la cui vita molle e sensuale non è altro che una catena continua di peccati, pensassero per qualche momento alla pe­nitenza che dovranno fare nell'altra vita, prescinden­do dal grave pericolo di dannazione al quale espon­gono la loro anima. La venerabile suor Francesca di Pamplona, celebre per le sue visioni sul Purgatorio, vide una volta un uomo di mondo, il quale del resto era stato un buon cristiano, condannato a penare lun­ghi anni in Purgatorio, per aver desiderato troppo i comodi della vita. La causa di così gravi e lunghe pene è che in mezzo ad una vita dissipata e mondana è impossibile non commettere una gran moltitudine di difetti, i quali non venendo cancellati dalla peniten­za, accumulano un debito enorme davanti al tribu­nale di Dio, e così quello che avremmo potuto scontare facilmente in questa vita con qualche mortifica­zione o penitenza od opera buona, bisognerà pagare nell'altra vita inevitabilmente con un lungo Purgatorio.

Lo scrupolo non è un peccato di per sè, ma siccome disgraziatamente ne fa commettere molti alle anime per il troppo attaccamento alla propria volontà e per l'or­goglio di cui è quasi sempre figlio, perciò è punito da Dio molto severamente. La suddetta suor France­sca da Pamplona vide molte anime straordinariamen­te scrupolose essere tormentate in Purgatorio da dub­bi, da oscurità e da incertezze.

La tiepidezza ha pure la sua punizione in Purga­torio. Santa Maria Maddalena de' Pazzi, mentre un giorno pregava dinanzi al santissimo Sacramento, vi­de uscir di sotterra l'anima d'una religiosa, la quale avendo avuto l'unico difetto di omettere talvolta la comunione nei giorni stabiliti dalla regola, era coperta in punizione da un manto di fuoco, di sotto al quale mostravasi una veste candidissima, ed osservò che avvicinandosi all'altare con gran rispetto fece una profonda genuflessione passando dinanzi al santo ta­bernacolo; e la rimase un'ora in adorazione. Madda­lena conobbe poi per rivelazione che quell'anima, in pena della sua tiepidezza nel ricevere la santa Euca­ristia, era condannata a venire ogni giorno ad ado­rare la sacra Ostia con quel mantello di fuoco, per compensare così le sue passate freddezze; e che la veste bianca che la difendeva in parte da quel tor­mento significava la ricompensa dovuta alla sua per­fetta verginità. Continuò per vario tempo quell'anima in tale quotidiana adorazione, finchè le preghiere della Santa, unite alla propria espiazione, la condus­sero in Paradiso.

Più rigorosamente fu punito un ecclesiastico, per mancanza per ben più grave. (Vedi Michele Alix, Hortus pasto-rum, trait. VI, capo 2). Trovandosi egli in punto di morte, o sia perchè non volesse ricono­scere la propria posizione per quell'illusione troppo comune nei sacerdoti, abituati a veder morire, o sia perchè si trovasse sotto il dominio di quel fatale pre­giudizio che fa paventare a tanti malati gli ultimi Sacramenti, tanto tardò e temporeggiò che se ne morì senza i conforti della Chiesa. Mentre veniva condotto alla sepoltura, il misero sacerdote, aprendo gli occhi, fece intendere chiaramente queste parole: - In puni­zione del ritardo da me frapposto nel ricevere la gra­zia dell'estremo lavacro, mi trovo condannato a lunghi anni di Purgatorio. Se avessi ricevuto l'Olio San­to, come era mio dovere, io sarei scampato alla morte in grazia della virtù propria di questo Sacramento di ridare talvolta al malato la salute temporale, e così avrei avuto tempo di far penitenza, mentre ora sto soffrendo acerbi tormenti. - Ciò detto, richiudendo gli occhi, lasciò i presenti nella più grande costerna­zione.

A coloro poi, la cui vita intera trascorse abitual­mente in peccato mortale, e che differiscono la con­versione al punto di morte, sono riservate pene, delle quali il seguente esempio può dare appena una lan­guida idea.

Il barone Giovanni Sturton, nobile inglese, quantunque cattolico in fondo al cuore, per conservare le sue cariche a corte e per sfuggire alle ire del Re, as­sisteva regolarmente al servizio divino protestante, e apparentemente adempiva a tutti gli obblighi del culto anglicano. Teneva però nascosto in casa sua un prete cattolico a rischio dei più gravi pericoli, lusin­gandosi di potersi servire del suo ministero per ricon­ciliarsi con Dio in punto di morte. Colpito però da morte improvvisa, non ebbe tempo di mandare ad effetto il voto della sua tardiva conversione; nondi­meno la divina misericordia, tenendo conto di quanto egli aveva fatto per la Chiesa perseguitata nel suo paese, gli aveva concesso la grazia della perfetta con­trizione, e quindi la salvezza eterna, condannandolo però a pagare ben cara in Purgatorio la sua colpevole negligenza.

Molti anni passarono dal giorno della sua morte, durante i quali la vedova di lui tornata a seconde nozze ebbe due figlie: una di esse, testimonio ocu­lare del fatto, racconta quanto segue: - Un giorno mia madre pregò il P. Corneille della Compagnia di Gesù, uomo di molti meriti e che più tardi morì mar­tire della fede, di celebrare la Messa pel riposo del­l'anima del suo primo marito Giovanni Sturton: accettò egli l'invito, e mentre era all'altare, fra la con­sacrazione e il memento, restò lungo tempo assorto in orazione: finita poi la Messa, fece un'esortazione, nella quale raccontò: d'avere avuto in quel tratto di tempo ia seguente visione: Stendevasi dinanzi a lui un'im­mensa foresta in fiamme, in mezzo alla quale si di­vincolava il povero barone, emettendo grida compassionevoli, piangendo ed accusandosi della vita colpevole che aveva menata nel mondo e alla corte, e dopo aver fatta la confessione dettagliata delle sue colpe l'infelice aveva terminato con quelle parole che la Scrittura pone in bocca di Giobbe: Pietà, pietà almeno voi che mi siete amici, poichè la mano del Si­gnore si è aggravata sopra di me. Il P. Corneille nel raccontare queste cose piangeva a calde lacrime, e tutta la famiglia nostra e tutti i parenti in numero di ottanta persone piangevano pure, quando scorgemmo sul muro al quale era addossato l'altare, un bagliore simile al riflesso di carboni ardenti. - Tale è il rac­conto di Lady Arundell, che ognuno può leggere nella storia d'Inghilterra del Daniel.

I peccati poi che Dio sembra punire con rigore implacabile nell'altra vita sono quelli contro la giu­stizia e contro la carità. Quanto ai primi, pare che Iddio si attenga veramente all'assioma teologico: Non remittitur peccatum nisi restituatur ablatum:. - Non si rimette il peccato, se non si restituisce la cosa rubata. -

Un ricco signore, essendo morto senza porre in ordine le sue cose, comparve dopo qualche tempo al P. Agostino d'Espinoza, della Compagnia di Gesù, la cui santa vita era tutta dedicata a suffragare le anime del Purgatorio. - Mi riconoscete? - domandò il defunto. - Senza dubbio - rispose il Padre e - ben mi ricordo di avervi amministrato il Sacramento della Penitenza pochi giorni avanti della vostra mor­te. - Proprio così continuò il defunto - e perciò ho avuto dal Cielo la grazia di venirvi a trovare e a supplicarvi di rendermi propizia la divina clemenza con le vostre preghiere, e di più a chiedervi di porre in esecuzione certe opere necessarie alla mia libera­zione dal Purgatorio. Pertanto vi prego a compia cervi di venire ora con me per un breve viaggio. - Ottenuta licenza dal Superiore del Convento e chiesto ai confratelli che pregassero per lui, il P. Agostino seguì il defunto, dal quale fu condotto sopra un ponte discosto non molto dalla città. Qui il defunto pregò il Padre di fermarsi ed attendere, chè egli sarebbe corso a prendere alcune cose necessarie e avrebbe fatto sollecitamente ritorno. Quando il defunto tornò, por­tava tra le mani una grande borsa, piena di denaro, parte del quale trasse fuori, dicendo: - Padre, pie­gate per favore una falda dei vostro mantello e rice­vete questo denaro, chè l'altro lo porterò con me fino alla vostra camera, e là ve lo consegnerò. - Giunti che furono, il morto gli consegnò il resto dei denari, e, porgendogli una carta scritta, gli disse: - Da que­sto scritto scorgerete a chi ho da restituire e quanto. Impiegherete ciò che rimane in opere di suffragio per la mia anima. - Ciò detto disparve. Il P. Agostino fece diligente ricerca dei creditori, ai quali puntual­mente, e con grande loro meraviglia soddisfece ogni debito, ricevendo essi quei denari come inviati dal cielo. Il resto del denaro poi fu applicato in celebrazioni di Messe, in elemosine e in distribuzioni ai po­veri. Passati otto giornì, ecco nuovamente comparire al P. Agostino il defunto, per ringraziarlo dell'opera prestata a suo favore e per annunziargli la sua libe­razione dalle pene del Purgatorio.

Nella vita di S. Margherita da Cortona (Bolland., 22 Febbr.) si legge di due mercanti, passati all'altra vita lasciando impegni di giustizia non soddisfatti, i quali, per grazia di Dio, comparvero alla Santa chie­dendole che avvertisse i loro parenti di soddisfare per loro, poichè altrimenti non sarebbero passati alla glo­ria degli eletti.

Quando poi la restituzione riesce assolutamente im­possibile, trova Iddio, nei segreti della sua Giustizia, i mezzi per supplirvi. “Giusto è Iddio, e giusti sono i suoi giudizi e i suoi disegni” e senza numero sono le vie attraverso alle quali salva le anime.

Un giorno in cui S. Margherita Maria Alacoque stava pregando per due personaggi molto illustri e potenti in questo mondo, le fu rivelato che uno di essi era condannato per molti anni in Purgatorio, e che tutte le preghiere e le Messe numerosissime, che si celebravano in suo suffragio, venivano applicate dalla giustizia di Dio ad alcune famiglie, che da detto personaggio erano state rovinate o danneggiate per mancanza di carità e di giustizia, e siccome a quei disgraziati non erano rimasti mezzi per far celebrare Messe dopo morte, il Signore vi suppliva in questo modo. (Vita della Santa. Lettera della M. Greyfie sua Superiora).'

Quanto alle mancanze contro la carità, Iddio usa rigore estremo sopratutto quando son commesse da anime a lui consacrate; e la ragione è chiara. Dio: è amore, come dice san Giovanni, e quindi non v'è cosa che più gli dispiaccia quanto le inimicizie, i ran­cori, le maldicenze, i giudizi temerari e tutti que' falli contro la carità, che purtroppo si riscontrano spesso nelle persone più pie e di più esemplare con­dotta. - Nella vita della Santa Margherita si legge che due religiose, per le quali ella pregava dopo la loro morte, le furono mostrate giacenti nel carcere del Purgatorio, una di esse soffrendo pene incomparabil­mente più atroci di quelle dell'altra. Per la qual cosa ne ascriveva a colpa sopratutto quei difetti contrari alla carità reciproca e a quella santa amicizia che deve regnare nelle comunità religiose, ed alla quale avendo ella contravvenuto, erasi meritata, fra le altre puni­zioni, quella di non usufruire dei suffragi che la co­inunità faceva ed offriva a Dio per lei, ricevendo unico sollievo nei suoi mali dalle preghiere di tre o quattro persone della stessa comunità, per le quali ella vi­vendo aveva avuto meno stima ed affezione (Vita della Santa - Lettera della M. Greyfie).

Ecco dunque, secondo le più autentiche rivelazioni, i diversi castighi inflitti dalla divina Giustizia ai di­versi peccati. Domandiamoci adesso quale sarebbe il nostro posto in Purgatorio - ammesso di meritarci solo il Purgatorio - e procuriamo di non cadervi.

 

CAPITOLO V

PURGATORIO DI DESIDERIO

Sete di Dio

Abbiamo veduto quali sarebbero secondo le rivela­zioni di S. Maria Maddalena de' Pazzi le suddivisioni del Purgatorio; aggiungiamo ora dei particolari, che apprendiamo da una celebre visione di S. Francesca Romana (Bolland. Vita S. Franciscae, 9 Martii). Se­condo questa Santa dunque il Purgatorio risulta di tre parti distinte: nella regione superiore stanno le anime che soffrono la sola pena del danno o al più qualche pena mite e di poca durata; nella regione media, ove la Santa vide scritto la parola Purgatorio, soffrono le anime che commisero colpe leggere; final­mente in fondo all'abisso e precisamente in vicinanza dell'Inferno v'è la terza regione, ossia il Purgatorio inferiore, tutto ripieno di un fuoco chiaro e penetran­te, diverso da duello dell'Inferno, che è oscuro e te­nebroso. Questa terza regione si divide a sua volta in tre scompartimenti, ove le pene vanno gradata­mente aumentando, e sono riservati ai secolari il primo, ai chierici non ordinati in sacris il secondo, e il terzo ai sacerdoti e ai vescovi: Citi multum datum est, multum quaeretur ab eo (Luc., 12-48).

Che vi sia un Purgatorio superiore in cui le anime non soggiacciono a pene sensibili è confermato da molte rivelazioni anche dai Santi. Fu la Vergine SS. a rivelare a S. Brigida che esiste un Purgatorio spi­rituale, detto Purgatorio di desiderio, nel quale son trattenute alcune anime, che sebbene immuni da ogni peccato, nel tempo però della loro vita mortale non hanno sospirato abbastanza verso il loro Creatore. Altrettanto leggiamo presso altri Santi.

Nella vita di S. Maria Maddalena de' Pazzi si legge che una delle sue consorelle per nome Maria Benedet­ta Vittoria, religiosa di molte virtù, che le morì tra le braccia, mentre era in agonia fu vista dalla Serva di Dio aspettata da una moltitudine di angeli di aspet­to ilare e sereno che dovevano condurla nella celeste Gerusalemme, e nel momento poi in cui spirò vide quell'anima eletta sotto forma di colomba dalla testa dorata volare fra quegli spiriti celesti e quindi spa­rire. Tre ore dopo vegliando vicino al cadavere in compagnia d'un'altra suora per nome Pacifica di To­vaglia, questa interruppe le preghiere per domandare alla Santa dove si trovasse in quel momento la loro consorella, se in Paradiso o in Purgatorio. Nè in questo nè in quello, rispose la Santa. La suora stupì a tal risposta, e quasi se ne scandalizzò, ma poco dopo recitando con Maddalena l'Ufficio de' morti, essen­dole accaduto alla fine di un salmo di recitare il Glo­ria Patri invece del Requiem, ed avendo voluto riprendersi, la Santa le disse che bene avea detto, poi­ché non occorreva più implorare per quell'anima l'e­terno riposo. Suor Pacifica quantunque non arrivasse a comprendere il senso di quest'assicurazione, non osò interrompere la compagna. - La mattina del giorno dopo celebrandosi la Messa per la defunta, nel momento del Sanctus Maddalena fu rapita in estasi, nel­la quale il Signore le fece vedere quell'anima benedetta in mezzo alla gloria eterna. La sua fronte aveva una stella d'oro, segno di ricompensa alla sua ar­dente carità; le sue dita erano cariche di anelli pre­ziosi, e la corona che portava sul capo era pìù ricca di quella di un'altra religiosa di gran perfezione, morta poco tempo prima. Questa differenza proveniva dal gran desiderio di soffrire per Iddio, che Maria Bene­detta avea avuto in vita. Di più per la gran carità con cui avea sempre trattato il prossimo e le sue conso­relle godeva in cielo del singolar favore di accostare la sua bocca a quella del divin Salvatore e di berne a lunghi sorsi una bevanda deliziosissima. Il che ve­dendo, Maddalena si pose a felicitarla della sua sorte; indi chiese al Signore perchò appena morta invece di ammetterla immediatamente alla sua divina pre­senza, l'avesse trattenuta (com'era accaduto difatti) per cìnque ore non in Purgatorio, ma in un luogo par­ticolare, dove pur non soffrendo alcuna pena sensi­bile, era rimasta priva della vista di lui. I1 Signore le rispose che questa suora nella sua ultima malattia essendosi troppo compiaciuta delle premure e dei di­sturbi che si davano le consorelle nell'assisterla, aveva per qualche tempo interrotto quell'unione abituale e perfetta che aveva con Dio, e per ciò era stata in tal maniera punita.

La stessa Santa vide un'altra volta una religiosa della sua comunità, morta di recente, brillare di cele­ste chiarezza in tutto il corpo, fuori che nelle mani, a cagione di certe imperfezioni da lei avute contraria­mente al voto di povertà. Ma dopo pochi istanti le mani pure le s'irradiarono, ed entrò in pieno pos­sesso della gloria eterna.

Il P. Francesco Gonzaga, francescano e poi vesco­vo di Mantova, racconta un fatto consimile nel suo libro sull'origine della religione Serafica (Parte IV, N. VII).

Frà Giovanni de Via, religioso di molte virtù, cad­de malato e morì in un convento delle isole Canarie. Il suo infermiere, che si chiamava frate Ascerisio, anch'egli molto avanzato nella perfezione, stava un giorno pregando pel riposo di quell'anima, quando all'improvviso si vide comparire davanti un religioso del suo Ordine, circondato da raggi luminosi, che riempirono la cella di una dolce chiarezza; il frate fuori di sè dalla gioia non lo riconobbe in quel mo­mento, e non osò domandargli il nome; ma essendogli riapparso una seconda e poi una terza volta, fat­tosi finalmente coraggio, gli chiese, in nome di Dio, chi fosse e perché venisse. Io sono, rispose allora il defunto, l'anima di fra Giovanni de Via, e vengo a ringraziarti sinceramente per le preghiere che innalzi al Signore in mio suffragio e ad annunziarti che, gra­zie alla misericordia divina, io mi trovo in luogo di salvazione, fra i predestinati alla gloria; del che ti siano prova questi raggi che partono dal mio corpo. Tuttavia siccome non sono stato ancora giudicato de­gno di contemplare faccia a faccia il mio Dio, per­ché durante la mia vita dimenticai colpevolmente di recitare alcuni Uffici pei defunti, a' quali io era tenuto in forza della regola, ti scongiuro in nome dell'ami­cizia che mi hai sempre portato, anzi in nome dell'a­more che nutri per Gesù, di fare in modo che questi Uffici siano recitati in mia vece colla maggior solle­citudine, affinchè io possa quanto prima godere la vista del mio Signore. Frà Ascensio corse a raccon­tare l'accaduto al Guardiano, il quale ordinò che fos­sero immediatamente recitati gli Uffici. Ciò fatto, com­parve di nuovo l'anima di frà Giovanni, circondata di luce assai pù brillante, annunziando di essere en­trata in possesso della completa felicità.

S. Geltrude nelle sue rivelazioni racconta che una pia religiosa, morta nel fior dell'età e nel bacio del Signore dopo una vita passata in continua adorazione verso il SS. Sacramento, le apparve appena morta tutta sfolgorante di luce celeste, inginocchiata davanti al divino Maestro, che faceva partire dalle sue piaghe gloriose cinque raggi infiammati, che andavano a toc­car dolcemente i cinque sensi della pia suora. Ciononostante, sembrando la fronte di questa come offusca­ta da una nube di tristezza profonda, S. Geltrude, piena di meraviglia, domandò al Signore come mai, mentre egli favoriva la sua serva in modo tanto spe­ciale, questa sembrava che non godesse di una gioia perfetta. - Fino ad ora, rispose Gesù, quest'anima fu giudicata degna di contemplar solamente la mia Umanità glorificata e le mie cinque piaghe in conside­razione della sua devozione verso il Mistero Eucari­stico, ma non può essere ammessa alla visione beatifi­ca a cagione di alcune macchie leggerissime da lei contratte nella pratica della regola. - E poichè la Santa intercedeva per lei, nostro Signore le fece conoscere che senza numerosi suffragi quell'anima non avrebbe potuto così presto terminar la sua pena, esi­gendo così la giustizia divina; il che era tanto ben compreso dalla defunta, che fece segno a Geltrude di non voler essere liberata prima di aver soddisfatto in­teramente al suo debito; per la qual cosa il Signore, in segno di particolare benevolenza, le stese la mano sul capo e la benedisse.

Finiremo col raccontare la storia di un'anima, che dovette lungamente aspettare il giorno in cui finisse per lei la dura prova della privazione di Dio, e la citeremo per disteso affin di far conoscere i sentimenti interni dai quali sono animate quelle infelici. Possa­no i loro ardori di carità riscaldare il nostro cuore di ghiaccio, che nel tempo di questo misero esilio non sa comprendere che cosa sia aver fame e sete insa­ziabile di Dio.

Il giorno di tutti i Santi una giovane di rara pietà e modestia vide comparirsi dinanzi l'anima d'una dama di sua conoscenza, morta poco tempo prima, la quale le fece conoscere com'ella soffrisse bensì la sola pena della privazione di Dio, ma che questa pri­vazione era per lei così intensa, che le procurava un tormento intollerabile. In tale stato le si fece vedere più volte e quasi sempre in chiesa, poichè non potendo contemplar Dio faccia a faccia nel cielo, cer­cava di trovar compenso contemplandolo almeno sotto le specie eucaristiche. Sarebbe impossibile riferire a parole con che slancio di adorazione e con che umile rispetto rimanesse quell'anima davanti alla sacra Ostia. Quando assisteva al divin Sacrificio, nel momen­to dell'elevazione il suo volto si illuminava in tal mo­do, che si sarebbe detta un serafino; del che stupita la giovinetta, dichiarava di non aver mai visto spetta­colo più bello. Ogni volta che questa si comunicava, l'anima della matrona l'accompagnava alla sacra mensa e rimaneva poi accanto a lei per tutto il tempo del ringraziamento, quasi volesse partecipare alla sua felicità e godere anch'essa della presenza di Gesù. Le compariva ordinariamente vestita di bianco e con un lungo rosario in mano, in segno della sua divozione verso la Regina del cielo. Un giorno la pia fanciulla insieme con altre compagne, dopo aver decorato pia­mente l'altare della Vergine, s'inginocchiò con loro e propose che baciando i piedi della statua, tutte l'abbracciassero due volte, una per loro stesse, l'altra per­la defunta amica. Il che fatto, ecco venir questa tutta ilare e festosa à ringraziarla con indicibile affetto: che anzi in quel giorno le confidò come avendo una volta fatto voto di far celebrare tre Messe all'altare della SS.. Vergine e non avendo poi potuto adempierlo, questo debito sacro non soddisfatto aumentava la sua pena, e poichcè la pregò di adempierlo in vece sua, - cosa che la fanciulla fece subito - le apparve di nuovo tutta giuliva per ringraziarla, e in ricom­pensa della sua carità la consigliò a non far voti giammai, senza essere decisa a compierli all'istante, poichè la giustizia di Dio su questo punto è inesora­bile. - L'esortava poi sempre ad una tenera divozio­ne verso la Vergine, e specialmente al ricordo dei do­lori da lei sofferti sul Calvario, e le inculcava di sa­lutarne l'effigie colle tre invocazoni delle Litanie, Mater admirabilis, Consotairix af fictorum, Regina Sanctorum omnium; e diceva che più vivo è il no­stro amore in vita verso questa buona Madre, e più efficace sarà la sua assistenza nel finale giudizio. - La consigliava pure ad una gran carità e compas­sione verso le povere anime del Purgatorio, per le quali voleva che offrisse tutte le sue preghiere, pe­nitenze e buone opere. - Un giorno in cui la pia giovinetta, docile a' suoi consigli, recitava colle brac­cia aperte cinque Pater ed Ave pei defunti, quell'a­nima accorse a sostenerle le braccia già stanche e ad aiutarla nella sua preghiera. - Un altro giorno men­tre in chiesa le parlava, avendo inteso suonare il campanello dell'elevazione, corse tosto all'altare dove si celebrava il divin Sacrificio, e colla faccia a terra si pose ad adorare nostro Signore con profondo ri­spetto. Ogni volta che avesse pronunziato o inteso pronunziare i santi nomi di Gesù e di Maria, ella chinava il capo con angelico raccoglimento. - Pas­savano però in tal modo giorni e mesi, e malgrado i suoi ardenti desiderii e le preghiere dell'amica, quell'anima santa non veniva ammessa ancora alla contemplazione immediata di Dio. Finalmente il tre dicembre, festa di S. Francesco Saverio, la giovinetta dovendo andare a comunicarsi nella chiesa dei Padri Gesuiti, invitò la defunta a seguirla e questa, fedele all'invito, l'accompagnò alla sacra mensa e rimase vi­cino a lei per tutto il tempo del ringraziamento che fu molto lungo, dopo del quale affettuosamente rin­graziandola, le annunziò che la sua prova era finita. L'otto dicembre, festa dell'Immacolata Concezione, le riapparve un'altra volta, ma sfolgorante già di tal luce che l'amica non poteva fissare su di lei lo sguar­do. Finalmente il 10 dicembre, mentre si celebrava la santa Messa, la vide, fra splendori assai più intensi e sublimi, avvicinarsi all'altare genuflettendo, e dopo averla ringraziata un'ultima volta delle preghiere da lei fatte, salire al cielo in compagnia del suo Angelo custode.

È dunque provata dalle rivelazioni dei Santi e da­gli esempi riferiti l'esistenza di un Purgatorio supe­riore, o, se vogliamo, di un luogo intermedio fra il Paradiso e il Purgatorio propriamente detto, dove le anime compiono la loro purificazione immuni da tor­menti, ma accese dal desiderio di raggiungere Dio.

Sembra inoltre confermato come le anime purganti passino dalle regioni inferiori alle superiori man ma­no che va compiendosi la loro purificazione. E' celebre a questo proposito. l'interessantissima apparizione av­venuta dal settembre al dicembre 1871 nel monastero delle Redentoriste a Malines nel Belgio.

Il padre di una religiosa di quel convento, certa suor Maria Serafina, al secolo Angela Aubepin, es­sendo passato di questa vita, apparve per lo spazio di tre mesi consecutivi alla figlia per chiederle suf­fragi. Durante il primo mese, le compariva tutto circondatto di fiamme, gridando: - Pietà, figlia mia, abbi pietà di tuo padre! - Guarda, le disse un gior­no, questa cisterna di fuoco in cui sono immerso! Siamo qui a soffrire in parecchie centinaia! Oh! se si conoscesse che cosa sia il Purgatorio, si farebbe di tutto per evitarlo e per soccorrere le povere anime che vi son racchiuse. - Spesso poi in mezzo alle fiam­me da cui era ravvolto, gridava: - Ho sete, ho sete! - Dal 14 ottobre in poi il povero defunto, quantun­que tormentato sempre da atroci patimenti, parve che non fosse più circondato da fiamme; senza dubbio egli era passato nella regione media del Purgatorio. Durante questo periodo disse un giorno alla figlia che i teologi non esagerano affatto, insegnando che i tormenti patiti dai martiri sono inferiori a quelli delle anime del Purgatorio; e avendogli nella vigilia d'O­gnissanti domandato la religiosa, dietro comando del confessore, su quale argomento sarebbe stato meglio che questi avesse predicato nel giorno della festa se­guente, rispose: - Ahimè! gli uomini non sanno o non credono abbastanza che il fuoco del Purgatorio è simile a quello dell'Inferno; se potesse ogni mor­tale fare una visita sola in quel carcere, non si com­metterebbe più un sol peccato veniale, tanto è punito rigorosamente! - Il giorno 30 novembre la religiosa intese che il padre con un doloroso sospiro pronun­ziava queste parole: - Mi pare un'eternità che son qui, la mia pena più grande in questo momento è una sete di Dio che mi divora e un desiderio irrefre­nabile di possederlo; ed ogni volta che mi slancio verso di lui mi sento sempre respinto nell'abisso, poichè la mia pena non è ancora compiuta. - Dal che è da dedurre che fosse già passato nel Purgatorio superiore; tanto più che il 5 dicembre si manifestò tutto splendido attraverso un'aureola di tristezza. Dal 5 al 12 dicembre non apparve più, ma dal 12 al 15 si mo­strò sempre più splendente. Finalmente durante la Messa della mezzanotte e precisamente nell'intermez­zo dell'elevazíone, apparve il defunto per l'ultima volta, circondato di luce e di beatitudine, dicendo a sua figlia: - Il tempo dell'espiazione è compiuto, ed io vengo a ringraziare te e l'intera comunità delle preghiere e dei suffragi fatti per l'anima mia. Pre­gherò in cielo per tutte voi, e per te, mia cara figlia, impetrerò una sottomissione perfetta alla divina vo­lontà e la grazia di entrare in cielo senza passare per le pene del Purgatorio. - Queste furono le sue ulti­me parole; la religiosa potè appena vedere il volto del padre suo, tanto era immerso nella divina luce.

 

CAPITOLO VI

IL PURGATORIO DELLE PERSONE CONSACRATE A DIO

«Cui multum datum est...»

Nei precedenti capitoli si è visto come Iddio nella sua eterna giustizia punisca le anime in relazione alle grazie delle quali hanno abusato; è quindi naturale che le persone a lui consacrate abbiano a subire dopo morte tormenti gravissimi, proporzionati alla subli­mità della loro vocazione. Secondo S. Francesca Ro­mana il carcere dei chierici aspiranti al sacerdozio, dei religiosi e delle religiose, si trova nella regione infe­riore del Purgatorio, al disotto di quello dei laici che commisero gravi colpe; i sacerdoti poi stanno spro­fondati ancor più in basso e proprio sul confine del­l'Inferno, in punizione di non aver sufficientemente corrisposto colla loro condotta alla sublime dignità che rivestivano in vita e alla conoscenza maggiore dei loro doveri, della quale erano capaci a preferenza de­gli altri. Quantunque riuniti in un medesimo luogo, ciascun di loro è punito secondo il numero e la gran­dezza delle colpe commesse, e secondo il posto che occupò nella Chiesa di Dio. Alla stessa stregua si misura la durata della pena. - Queste rivelazioni di S. Francesca Romana ci sono confermate da molte altre visioni particolari. Diceva un'anima del Purga­torio ad una pia religiosa del Belgio: - Figliuola mia, vivi da santa, poichè il Purgatorio riservato alle religiose è terribile. - Vincenzo di Beauvais nel libro settimo del suo Speculum historicum racconta che ad un monaco Benedettino, mentre era moribondo, fu mostrato il Purgatorio dei religiosi, nel quale vide alcuni di questi ravvolti da fiamme divoratrici che pe­netravano nelle loro carni come acuti dardi; altri di­stesi sopra graticole ardenti, che facevano spavento a vedersi, ed altri in vari modi martoriati, e il suo An­gelo custode gli disse: - Quelli che tu vedi in preda a tanti strazi sono religiosi appartenenti a tutti gli Ordini, e che sebbene non abbiano commesso mai gravi falli, si resero però colpevoli di molte piccole negligenze, che stanno ora severamente espiando prima di essere ammessi alla divina presenza. - Santa Margherita Maria Alacoque, mentre pregava una volta per tre persone morte di recente, due delle quali reli­giose, la terza secolare, fu chiesto familiarmente da Nostro Signore: - Quale delle tre vuoi tu che io lasci libera? - Signore, rispose la santa, degnatevi voi stesso di fare questa scelta a seconda di ciò che torni maggiormente a vostra gloria e piacimento. - Allora nostro Signore liberò il defunto secolare, dicendo che a lui ispiravano minor compassione i religiosi, ai quali egli dona tanti maggiori mezzi di meritare il Paradiso e di espiare i loro peccati in questa vita colla perfetta osservanza delle loro regole.

Abbiamo già appreso da S. Francesca Romana che i semplici chierici, i religiosi e le religiose, quantun­que trattati con più rigore dei laici, sono però tor­mentati meno dei sacerdoti. I falli poi che in questi maggiormente punisce la divina Giustizia sono so­pratutto quelli che provengono da tiepidezza nel di­vino servizio. - Al quale proposito riporteremo qui un fatto importantissimo che si legge nella vita della ven. madre Agnese di Langeac.

Mentre questa un giorno stava in coro pregando, le apparve una religiosa a lei sconosciuta, col volto mesto e abbattuto e in quella foggia di vestito che di notte sogliono adoperare le religiose, e mentre atten­tamente la guardava, udì una voce che le disse: - ­Colei che ti sta presente è la suora d'Altavilla (tale era il nome d'una monaca del Puy morta dieci anni innanzi). In quel mesto atteggiamento la defunta non pronunziava parola, ma abbastanza dava a vedere quanto bisogno avesse d'esser soccorsa. La M. Agne­se si pose allora fervorosamente a pregare per lei, pro­seguendo, per più di tre settimane, durante le quali la povera defunta, sempre penante, apparivele ad ogni momento e in ogni luogo, specialmente dopo la comunione e l'orazione comune. La buona religiosa avendo creduto suo dovere di darne avviso al con­fessore, questi stimò di farne consapevoli le monache di S. Caterina del Puy, alle quali aveva appartenuto la religiosa defunta; ma siccome la M. Agnese diceva che avrebbero preso il racconto per un sogno, si decise di non farne parola ad alcuno, ma che invece essa avrebbe fatto straordinari suffragi e ferventi pre­ghiere per quell'anima. Tuttavia continuando la de­funta le sue apparizioni come se i suffragi a nulla giovassero, la M. Agnese incominciò a temer forte­mente di esser vittima d'un'illusione; ma dal suo An­gelo custode fu assicurata trattarsi veramente di un'a­nima del Purgatorio, la quale così soffriva per la sua tiepidezza nel divino servizio. Dopo quest'apparizio­ne dell'Angelo cessarono quelle della defunta, dimo­dochè non si potè mai sapere quant'altro tempo sia ella dovuta restare in quel luogo di pene.

Dalla vita della stessa Venerabile, scritta dal Lan­tages, desumiamo quest'altro racconto. - Essendo morta una religiosa di Langeac, chiamata suor Serafi­ca, il confessore ordinò alla M. Agnese di supplicare Iddio affinchè le facesse conoscere lo stato di quel­l'anima. Ubbidì ella difatti, e umiliata al Signore la sua domanda ed offertasi vittima a lui in luogo della religiosa, sentì tosto un grande ardore invaderle tutto il corpo; da ciò comprese che la povera suora sof­friva il fuoco del Purgatorio, e infatti essendo stata poi essa trasportata laggiù in ispirito, la riconobbe fra molte anime, che bruciavano in quelle fiamme, ed intese che con voce lamentevole le chiedeva soccorso. Le apparve poi la defunta un'altra volta per doman­darle la benedizione, che subito la M. Agnese le im­partì. Otto giorni dopo, la pia superiora dopo la co­munione essendo scesa in coro a prostrarsi sul sepolcero della defunta, e con gemiti e lacrime domandando allo Sposo divino che liberasse quella figlia dalle fiamme che la tormentavano, sentì una voce che le rispose: - Continua, continua a pregare, poichè non è ancora giunto il tempo della liberazione di Serafica. - Due giorni dopo però, mentre la M. Agnese assi­steva alla Messa, vide al momento della elevazione che quell'anima saliva al cielo con estremo gaudio e letizia.

Si è parlato precedentemente di una religiosa della Visitazione, la quale apparve a S. M. Maria Alaco­que per stimolarla a pregare per lei, onde fosse libe­rata dalle pene che soffriva; ebbene, questa povera suora si lamentava sopratutto della troppa facilità con la quale in vita si era fatta dispensare dalla osservan­za della regola e dagli esercizi comuni, e deplorava vivamente le soverchie cure che aveva posto nel pro­curarsi comodi e sollievi, soggiungendo che se non fosse stata la Vergine Santissima, ella sarebbe andata irrevocabilmente perduta. Un'altra religiosa apparsa quasi contemporaneamente alla Santa non chiedeva alcun sollievo fra i suoi tormenti; meravigliandosi S. M. Maria Alacoque di ciò, le fu risposto che alla defunta non era permesso chiedere preghiere in pu­nizione di non aver corrisposto in vita alle disposi­zioni che Dio le aveva dato per il puro patire, mentre invece aveva cercato con troppa cura il suo benessere e prosperità temporale.

Voglia Iddio che questi esempi producano una sa­lutare impressione su quelle anime religiose, le quali, dopo essersi dedicate a lui, languiscono nel suo santo servizio resistendo alle ispirazioni della sua grazia e menando una vita tiepida e oziosa. Riferiamo ancora qualche esempio, che ci dimostri con quanta severità siano punite da Dio le mancanze contro i voti di po­vertà e di obbedienza. Del voto di castità non par­liamo, poiché coloro che non temono di macchiare sacrilegamente il loro corpo dopo di averlo donato allo Sposo Divino, non hanno posto al Purgatorio, ma molto più giù.

Dagli Annali dei Padri Cappuccini togliamo il rac­conto seguente. Frate Antonio Corso, celebre per il suo zelo nella penitenza, mortificava continuamente il suo corpo più di quanto la regola non prescrivesse. Per molti anni portò giorno e notte sulla nuda carne un cilizio pungentissimo; per nutrimento non prende­va che poco pane, ed acqua per bere. Negli ultimi anni della sua vita limitò a tre volte alla settimana questo misero pasto e raddoppiò le sue preghiere e le sue penitenze. Nella Settimana Santa si disciplinava per cinque ore di seguito, dandosi colpi di cilizio nu­merosissimi. Or bene, chi non avrebbe creduto che quell'anima sarebbe scampata senz'altro alle pene del Purgatorio? Invece la sorte fu ben diversa. Dopo la morte apparve un giorno il defunto all'infermiere del convento, al quale svelò il suo stato con queste parole: - Grazie alla misericordia divina io sono salvo, quan­tunque per un peccato commesso contro la santa po­vertà, tanto raccomandata dal nostro serafico Padre, meritassi l'Inferno. La Vergine Santa mi ha ottenuto la liberazione, ed ora sono condannato soltanto ad espiare il mio peccato in Purgatorio, poichè Iddio non tollera macchia alcuna nelle anime che vanno presso di lui. -

S. Maria Maddalena de' Pazzi racconta di una re­ligiosa trattenuta per alcuni giorni in Purgatorio per mancanze che a noi sembrerebbero leggerissime, co­me quella di aver fatto senza necessità certi lavoretti da donna in giorni festivi o di aver portato troppa affezione ai suoi parenti. La pena sarebbe stata an­cora più dura se non l'avessero resa accetta a Dio la sua fedeltà nell'osservanza della regola, la sua purità di intenzione e la sua carità verso le consorelle.

A proposito poi delle mancanze di carità dei reli­giosi, nella vita di S. Luigi Bertrando si legge come essendosi il Santo trattenuto una notte dopo mattu­tino in coro a pregare, vide comparirsi un religioso, circondato di fiamme, che gettandosi ai suoi piedi lo supplicò di volergli perdonare una parola ingiuriosa, che vivendo aveva pronunziato contro di lui molti anni innanzi, e solo per la quale diceva di essere con­dannato da Dio in Purgatorio; implorava quindi da lui per carità una Messa sola, che sarebbe bastata a liberarlo da quelle pene. Avendo il Santo soddisfatto al desiderio del defunto, lo vide nella notte seguente glorioso e raggiante salire al cielo (Vita S. Ludovici, in Diario Dominicano, 10 Octobris). Questo esempio valga da solo a farci pensare seriamente all'espres­sione di N. Signore nel Vangelo: Chiunque dirà al suo fratello: Tu sei pazzo, sarà condannato al fuoco (Matt., 5, 22).

S. Margherita M. Alacoque vide in sogno una re­ligiosa morta molto tempo prima, la quale le disse di soffrire assai in Purgatorio, ma che la pena maggiore con cui Dio la castigava era quella di farle vedere di continuo una delle sue parenti precipitata nell'In­ferno. A tale rivelazione la Santa si svegliò tanto sof­ferente da sembrare che la defunta le avesse impresso nel corpo le sue pene, e siccome, trattandosi di un sogno, non voleva prestarvi troppa fede, quell'anima non le concedeva riposo e le ripeteva continuamente all'orecchio: - Pregate Iddio per me; offritegli le vostre sofferenze in unione a quelle di Gesù ed a sol­lievo dell'anima mia. Fate per me tutto ciò che po­trete fino al primo venerdì del mese in cui vi comu­nicherete in mio suffragio. - Tutto ciò fu eseguito dalla Santa con permesso della superiora; nondimeno le sue sofferenze aumentando la spossavano orribil­mente e non le permettevano più di prender riposo; e poiché per riparare le forze l'obbedienza l'avea co­stretta a stare in letto, ecco quell'anima venirle nuo­vamente vicino, e rimproverandole la sua pigrizia e le sue comodità, additarle il letto di fuoco su cui essa giaceva in Purgatorio, letto orribile e tormentoso, sul quale ogni più leggera mancanza contro la regola veniva punita severamente con speciale castigo; e sog­giungeva: - Vorrei che tutte le anime consacrate a Dio potessero vedere il mio stato; se potessi far loro conoscere la grandezza delle mie pene e quelle ancor maggiori riserbate a chi non corrisponde alla voca­zione avuta, camminerebbero tutte con ardore per la strada della virtù e dell'osservanza della propria re­gola.

Perciò le persone consacrate al Signore con la professione religiosa devono attentamente vigilare sopra ogni loro parola, sopra ogni loro azione e pensiero, per non rimanere un giorno colpite dalla severa giu­stizia di Dio.

Il Purgatorio dei sacerdoti Che dovrà dirsi poi di coloro che in forza del sacer­dozio sono divenuti altrettanti Cristi viventi in mezzo agli uomini? Come depositari della scienza sacra non varrà per loro la scusa dell'ignoranza; come dispen­satori dei Sacramenti, canali pei quali le grazie e le virtù divine si spandono sugli uomini, non potranno addurre per pretesto la loro debolezza; come elevati alla più alta dignità che esista sulla terra, infatti par­tecipi del sacerdozio eterno di Cristo, rivestiti della sua divina autorità sulle anime, non potranno sfug­gire al più alto grado di pena quando si rendano col­pevoli d'infedeltà e di prevaricazione. E ohimè! pur­troppo chi sa a quanti di loro possono applicarsi le terribili parole dell'Apostolo: Hic jam quaeritur inter dispensatores ut fidelis quis inveniatur! (1 Cor., 4, a) ­Quanto al Purgatorio ad essi riservato le rivelazioni de' Santi ci raccontano particolari veramente spaven­tosi. Suor Francesca da Pamplona, già citata altre volte, dice che ordinariamente i sacerdoti restano in Purgatorio più a lungo dei laici, e racconta di un prete rimasto per lunghi anni in Purgatorio per avere con colpevole negligenza, lasciato morire un giovane senza Sacramenti. Quanto è eccellente la dignità di un sacerdote, quanto gravi sono le sue responsabilità, altrettanto spaventose sono le pene riservategli in Pur­gatorio qualora trascuri qualcuno dei suoi doveri o si lasci trascinare in una rilassatezza non consona alla sua vocazione.

Al celebre Giovanni da Lovanio furono riservate pene durissime in Purgatorio per aver troppo deside­rato le dignità ecclesiastiche e per l'abuso, tanto co­mune a quei tempi, di aver posseduto più di un lauto beneficio contemporaneamente. Caritatevole come era, aveva fatto grandi doni a molti monasteri, e special­mente a quello di Ruremonde, dove allora era priore il ven. Dionigi Cartusiano, e dove il prelato volle es­ser sepolto per proseguir quasi a godere in qualche modo la compagnia di quei santi monaci ed usufruire delle loro preghiere. Or avvenne che durante i suoi funerali il catafalco, che sorgeva in mezzo alla chiesa, fu all'improvviso ravvolto in una nube nerissima, dalla quale uscivano fuoco e fiamme. Lo stupore dei presenti fu immenso, e insieme allo stupore il dubbio che il defunto fosse dannato. Il ven. Dionigi Cartu­siano per un anno intero offrì Messe e suffragi per l'insigne benefattore ed amico. Nel giorno anniversa­rio della morte di Giovanni da Lovanio la scena si rinnovò, ma questa volta una nube meno densa av­volgeva il catafalco, e nel di del secondo anniversa­rio, invece della nube, i monaci videro una splendida luce in mezzo alla quale saliva al cielo l'anima del prelato; libera ormai da ogni pena. (Bolland. - Vita Dionysii Carthus. 2 Martii).

Citiamo ancora un esempio che valga ad allontanare gli ecclesiastici dal desiderio delle dignità e degli onori.

La B. Giovanna della Croce religiosa francescana aveva conosciuto uno dei più illustri prelati de' suoi giorni, il quale per molto tempo l'aveva trattata con carità e rispetto singolare, ma poi in seguito ad un avvertimento da lei datogli da parte di Dio per invi­tarlo a correggersi da alcuni difetti di carattere, se ne offese per modo che cercò di perseguitarla in ogni maniera. Morì egli, e la Santa, per contraccambiare il male col bene, si pose a pregare per lui con tutto il fervore del suo spirito. Una notte mentre era in ora­zione, ecco apparirgli il defunto col viso abbattuto e piangente, con una mitra di fuoco sulla fronte, con un pastorale di fuoco in mano, e colle labbra serrate da catene roventi che gli permettevano appena di emettere soffocati singhiozzi. Egli che un giorno an­dava tanto orgoglioso della sua dignità, trovavasi ora umiliato oltre ogni credere, e in luogo de' suoi ricchi vestimenti era ricoperto appena da un abito lacero e sozzo: si trovava poi circondato da varie anime che pei suoi mali esempi erano state indotte alla rilassa­tezza. - Spaventata da quello spettacolo la B. Gio­vanna domandò al suo Angelo custode se le pene che il misero prelato soffriva fossero d'Inferno o di Pur­gatorio: - Dio te lo farà sapere a suo tempo, rispose quegli, e non aggiunse altro. - Nonostante questa incertezza in cui era rimasta, ella proseguì i suoi suf­fragi, e pochi giorni dopo vide comparire di nuovo l'anima del defunto, molestata da pene molto minori, la quale ringraziandola e supplicandola di continuare i suoi suffragi le chiese umilmente perdono della sua ingiusta condotta verso di lei. Giovanna allora si pose all'opera con maggior impegno di prima, e poco tem­po dopo ebbe la consolazione di veder quell'anima interamente libera da ogni pena salire al cielo. (Cron. dei Frati Minori, p. IV, lib. 11, capo 18).

Vediamo ora quali sono le colpe che Dio più seve­ramente punisce nei sacerdoti. - Se nei laici la tie­pidezza nel divino servizio è riprovevole, che dovrà dirsi dei ministri del Santuario, sul cuore de' quali ogni mattina riposa il Cuore di Gesù? S. Bernardo parlando della punizione toccata ad uno de' suoi mo­naci per esser caduto in questo difetto, racconta che mentre gli si celebravano le esequie, un vecchio mo­naco di esemplare santità intese un gruppo di demoni tutti allegri e festosi gridare: - Finalmente! anche in questo luogo abbiamo potuto trovare un'anima che apparterrà a noi! - E la notte seguente apparsogli lo stesso defunto e conducendolo sull'orlo di un pre­cipizio pieno di fumo e di fiamme: - Vedi, gli disse, ecco il luogo d'onde i demoni furibondi verso di me hanno da Dio il permesso di lanciarmi continuamente e ritrarmi dall'abisso senza lasciarmi un momento di tregua. - Appena albeggiato, il buon monaco corse a dar notizia della visione avuta a S. Bernardo, il quale durante la notte avendone avuta una simile, convocò immediatamente il capitolo, e colle lacrime agli occhi dato conto a tutti i monaci dello stato del loro confratello, li esortò a pregar vivamente pel suo riposo e a trar profitto dal triste esempio per avanzare con fervore nelle vie delta perfezione.

Una delle più importanti missioni del sacerdote è senza dubbio quella di essere sulla terra il ministro della preghiera della Chiesa. Mentre gli uomini del secolo attendono ai loro lavori, e si contentano appe­na di un breve ricordo innalzato a Dio mattina e sera, il sacerdote, qual novello Mosè sul monte santo, sol­leva al cielo per sette volte al giorno il suo pensiero ed il suo cuore, onde la benedizione di Dio scenda copiosa sul popolo eletto. Si rende perciò gravemente colpevole quel sacerdote, che trascura gli obblighi di questo gran ministero di intercessione, o almeno li compie con tal negligenze che la Chiesa resta priva del frutto che dovrebbe ricavarne. Un esempio con­facente a quanto diciamo è riferito da San Pier Da­miani nella lettera quattordicesima all'abate Deside­rio.

S. Severino arcivescovo di Colonia, il quale era stato insignito da Dio del dono dei miracoli, e per la sua vita apostolica, pel suo zelo ardente, per le grandi fatiche sostenute per l'accrescimento del regno divino sulle anime, arrivò a meritare gli onori sublimi della canonizzazione, dopo morte apparve ad uno dei cano­nici della cattedrale per implorarne suffragi. E poichè questo altamente meravigliavasi di sentire che soflrisse le pene del Purgatorio, ed allegava la vita esem­plare da lui menata e il concetto di santo in cui era tenuto dai fedeli, il defunto rispose: - Iddio mi ha fatto, è vero, la grazia di servirlo con tutto il cuore, ma la mia fretta soverchia nel recitare il breviario, ed il farlo talvolta in ore diverse da quelle che la Chiesa prescrive; a motivo delle mie grandi occupazioni, mi hanno condotto in questo luogo di pena, e poiché Dio mi ha permesso di venire ad implorare le vostre pre­ghiere, non vogliate, vi supplico, rifiutarmele. - La storia soggiunge che S. Severino restò più di sei mesi in Purgatorio per questa mancanza sì lieve.

Il beato Stefano, religioso francescano, essendo so­lito di passare ogni notte alcune ore davanti al SS.mo Sacramento, vide una volta seduto in uno degli stalli del coro un religioso, col volto nascosto nel cappuc­cio. Stupito per tal novità, gli si avvicinò, doman­dandogli che cosa mai facesse lì a quell'ora, mentre gli altri frati riposavano. Al che quegli con voce lu­gubre rispose: - Io sono un religioso morto in que­sto monastero e condannato dalla divina Giustizia a far qui il mio Purgatorio, meritato per le numerose negligenze da me commesse in questo luogo stesso nella recita del divino ufficio, e per la tiepidezza e le distrazioni volontarie da me usate nel pregare. - Avendo allora il Beato recitato in suffragio di quel­l'anima il De profundis e l'Oremus Fidelium, il de­funto parve ritrarne gran sollievo. Per molte altre notti poi seguitò ad apparire per eccitare la compas­sione di lui, finché una volta, dopo la recita del De profundis, Stefano lo vide abbandonare lo stallo con un gran sospiro di soddisfazione in segno che la sua prova era finita (Cron. dei Frati Min., lib. IV, c. 30).

Tuttavia il ministero più sublime e più delicato di un sacerdote è quello della celebrazione della Santa Messa. Quante cure si prende la Chiesa per formare dei preti compresi della loro dignità e delle loro responsabilità in ordine specialmente alla celebrazione del divin Sacrificio. Ogni abuso in proposito è senza dubbio punito severamente dalla Divina Giustizia, quindi le irriverenze e le mancate attenzioni nella ce­lebrazione del sacro Rito, l'accumular di intenzioni, che poi è impossibile soddisfare a tempo e luogo, non passeranno impunite dinanzi a Dio.

Apparizioni di sacerdoti defunti, che hanno inmplo­rato l'aiuto di anime pie e generose, ne potremmo ci­tare molte, basterà tuttavia ricordarne alcune a prova di quanto sopra abbiamo affermato.

Nell'anno 1859, nell'abbazia dei Benedettini di La­trobe, in America, accadde una serie di apparizioni delle quali il giornalismo americano ebbe molto a occuparsi, ma con tanta leggerezza, che l'abate Wim­mer, superiore di quel monastero, per far cessare gli scandali e ripristinare i fatti nella loro vera realtà, scrisse ai giornali la seguente relazione.

«Nella nostra abbazia di S. Vincenzo presso La­trobe il 18 settembre 1859 un novizio vide apparire un religioso che da quel giorno fino al 19 novembre si presentò regolarmente dalle undici del mattino fino al mezzodì, o dalla mezzanotte alle due antimeridia­ne. Il 19 di detto mese essendo stato lo spirito inter­rogato dal novizio in presenza d'un altro religioso di quella comunità, rispose che da settantasette anni stava penando per non aver soddisfatto all'obbligo della celebrazione di sette Messe; che era già apparso in diverse epoche a sette altri Benedittini di quel monastero senza che lo avessero mai potuto compren­dere, e che se il detto novizio non fosse venuto ora in suo soccorso, non avrebbe più avuto facoltà di comparire se non dopo undici anni. Domandava quindi che fossero celebrate le sette Messe, che il novizio per lo spazio di sette giorni dovesse fare esercizi spiri­tuali e conservare perfetto silenzio, e per trenta giorni dovesse recitare tre volte il dì il salmo Miserere coi piedi scalzi e le braccia aperte. Nello spazio dal 20 novembre al 25 dicembre, adempiute queste prescri­zioni del defunto, lo spirito dopo la celebrazione del­l'ultima Messa cessò di comparire. In tutto questo tempo erasi egli presentato con maggior frequenza, eccitando il novizio colle piú commoventi espressioni a pregare per le anime del Purgatorio, dicendo che queste infelici soffrono orribilmente e che sono gra­tissime a coloro che contribuiscono ad affrettare la loro salvezza. Soggiunse poi che di cinque sacerdoti morti fino allora nell'abbazia, nessuno era ancora sa­lito in cielo, e che tutti stavano soffrendo in Purga­torio». Questa relazione legalmente firmata dall'abate Wimmer, esclude qualunque commento.

Sempre a proposito di Messe dimenticate, leggiamo nelle Cronache dei Carmeilitani. Scalzi (tomo II, libro VII, cap. 64) che il P. Domenico della Madre di Dio, priore nel Monastero di Nostra Signora del Rimedio, quantunque avesse menato nel Chiostro una vita edi­ficante, nondimeno fu condannato a rigorose pene in Purgatorio, per non aver colpevolmente soddisfatto a un certo numero dì intenzioni: Qualche tempo dopo la sua morte, la divina misericordia gli permise di comparire a Fra Giuseppe di S. Antonio, religioso converso, uomo semplice e pio, il quale si dette pre­mura di avvisare subito il nuovo Priore delle pene che il P. Domenico soffriva in Purgatorio, e degli aiuti che chiedeva pel riposo della sua anima, specialmente di celebrazioni di sante Messe. Il Priore non volle prestare orecchio al racconto del fratello laico, e il povero defunto apparso di nuovo, scongiurò i suoi confratelli in nome della carità e della religione ad aver pietà del suo deplorevole stato soddisfacendo alle Messe da lui non soddisfatte. A questo secondo av­viso il Priore si arrese, e appena celebrate le Messe le apparizioni cessarono.

Per soddisfare ad obblighi di giustizia contratti con le anime del Purgatorio molti sacerdoti celebrano di tanto in tanto delle Messe per soddisfare agli obbli­ghi di Messe eventualmente non soddisfatte. Santa pratica, che vivamente raccomandiamo a tutti i nostri confratelli nel sacerdozio. Nè mancano da noi Asso­ciazioni di suffragio fra sacerdoti, dette Centurie, i cui ascritti si obbligano ad applicar delle Messe ogni volta che muore un confratello. Così i sacerdoti, spes­so dimenticati perfino dai parenti e dagli eredi, si assicurano i suffragi dopo morte. Bellissima cosa, me­ritevole di estendersi in tutte le Diocesi.

 

CAPITOLO VII

STATO SOPRANNATURALE DELLE ANIME DEL PURGATORIO

Meriti e soddisfazione in Purgatorio

Prima di compiere il miracolo della guarigione del cieco nato (Cap. IX di S. Giov.), Gesù uscì in questa espressione: « Me oportet operari opera eius, qui mi­sit me, donec dies est: venit nox, quando nemo potest operari - Bisogna che io faccia le opere di chi mi ha mandato, fintanto che è giorno: viene la notte quando nessuno può operare » (Id. IX, 4). Il giorno di cui parla il Signore è la vita terrena, la notte la morte del corpo. Finchè si vive quaggiù, si può me­ritare per l'altra vita, tosto che giunge la morte, è preclusa la via dell'acquisto dei meriti. Appena mor­to, il povero Lazzaro fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo, mentre il ricco Epulone morì e fu tosto sepolto nell'Inferno (Luca, XVI, 19-22). « Coloro che vivono - scrive S. Girolamo - possono compiere opere meritorie, ma i morti nulla possono aggiungere ai meriti acquistati durante la vita terrena » (In Ec­cles., IX, 4). Il tempo della prova cessa col cessare della vita terrena e con lui il tempo utile per l'acquisto dei meriti. Il meritare è proprio solamente di quaggiù: in cielo gli atti soprannaturali non hanno valore meritorio; l'albero che ha raggiunto il suo pie­no sviluppo non cresce più. Tanto meno potrebbero avere valore soddisfattorio, perchè essendo compiuti in pieno possesso della felicità, manca loro l'elemento essenziale dello sforzo o del sacrificio, da cui sorge la virtù soddisfattoria. Nel Purgatorio neppure ha luogo il merito; la virtù soprannaturale è arrestata nel suo sviluppo finale e come rappresa. Una soddisfa­zione si dà, ma questa è inalienabile ed è assorbita per l'intero nell'espiazione dovuta a Dio da chi vi pena; questa non soddisfa nè può soddisfare che per se medesimo. Al momento in cui, pagato il debito, potrebbe essere in grado di donare della propria so­vrabbondanza, lo investe la gloria che rende impossi­bile ogni opera soddisfattoria » (J. A. Chollet, 1 no­stri Defunti, pag. 270)

 

Scienza delle anime del Purgatorio

La mente conserva tutta la sua attività in Pur­gatorio; l'intelligenza ha anzi un campo più aperto al sapere e una considerevole mèsse di cognizioni vi matura. E prima di tutto vi si raccoglie la messe dei ricordi. Difatti, come abbiamo dimostrato parlando degli eletti, anche nel Purgatorio si conserva la fa­coltà della memoria. Per qual ragione invero potreb­be essere soppressa? L'anima ha recato, seco, anzi mantiene in se stessa le tracce della sua vita terrena ogni giorno è descritto sulla pagina della coscienza a caratteri incancellabili, come sopra un foglio che non può perire; ogni pensiero, ogni volere, tutte le pa­role, tutte le azioni vivono nella memoria. Bisogne­rebbe che l'anima si separasse da se stessa e cambiasse la propria essenza, se dovesse distruggere ogni resi­duo della vita passata » (Op. cit., pag. 157).

Dopo la condanna da parte del Papa Leone X della dottrina di Lutero, che riteneva essere incerte le ani­me del Purgatorio della loro eterna salvezza, tutti i teologi sono d'accordo nell'insegnare, e la dottrina è certa, che le anime purganti sono sicure della loro salute eterna, ed è probabile che esse conoscano altresì la durata della loro medesima pena, come siamo indotti a credere dalle molte rivelazioni a questo pro­posito. Del resto quando l'anima è stata giudicata, ci sembra naturale che Iddio le faccia conoscere la sua sentenza. La durata della pena potendo variare da un tempo minimo a lunghissimi anni, non vedia­mo come mai il divin Giudice dovrebbe ritenersi come un segreto una cosa di sì grande interesse per le anime.

Ora ci possiamo domandare quale conoscenza ab­biano le anime del Purgatorio delle cose di questa terra. Conoscono esse le nostre condizioni, sono al corrente di quanto facciamo per loro! Ecco come ri­sponde lo Chollet: « Fra le fiamme o nella luce del cielo, in Purgatorio o in Paradiso, l'anima possiede la stessa natura mantiene colla terra gli stessi rap­porti di conoscenze se gli avvenimenti di questa vita possono essere noti agli abitatori del cielo, lo soro ugualmente per gli eletti trattenuti in Purgatorio.

Quelli che noi abbiamo perduto e che piangiamo, non ci hanno del tutto abbandonato. Divenuti imma­teriali, non essendovi per loro questione alcuna di luogo o di distanza, essi ci sono vicini; fatti chiaro­veggenti, poichè non ha luogo per essi questione al­cuna di ostacolo a conoscere o di ignoranza, ci rico­noscono, ci seguono in ogni passo, e con la delica­tezza d'un amore che diviene sempre più puro, col­l'attenzione d'uno sguardo che si fa sempre più chia­ro, ne circondano della loro sollecitudine e affezione. Come volentieri farebbero passare in noi quell'ardore di carità che li divora e li trasporta, quella sicurezza della salute che li fa beati! (Op. cit., pag. 163).

Come si vede, il chiaro autore ammette che le ani­me del Purgatorio abbiano una conoscenza diretta degli avvenimenti di questa vita; altri autori, come il Suarez, risolvendo diversamente altre questioni stret­tamente unite con la presente, ammettono che le ani­me purganti siano si al corrente degli avvenimenti di quaggiù, ma indirettamente, essendone informate dai loro Angeli custodi.

Inoltre in Purgatorio si conosce lo stato delle anime dannate. « Nulla impedisce alle anime purganti di spingere l'occhio spaventato nelle profonde, eterne, disperate tenebre dell'Inferno. Anche i dannati e i demoni sono sostanze immateriali, oggetto per conse­guenza della cognizione di ogni intelligenza spiritua­le. Qualunque spirito può vederli, riconoscerli; essi nell'onta del proprio supplizio sono sempre uno spet­tacolo agli occhi degli abitatori del Purgatorio e del Cielo. L'anima purgante osserva dunque l'anima dannata e confrontando il proprio col supplizio di quella, attinge da tal considerazione un sentimento di sicu­rezza per se medesima, di riconoscenza verso Dio, di orrore sempre più vivo per il peccato che ha acceso e mantiene quella doppia fornace della giustizia di­vina (Op. cit., pag. 162).

Alla domanda, in ultimo, se le anime del Purgato­rio conoscano i futuri contingenti, rispondiamo che possono conoscerli soltanto se Iddio li comunica loro, ma mai di scienza propria. L'esame delle rivelazioni ci fa conoscere che qualche volta Iddio ha messo a conoscenza delle anime purganti i futuri contingenti. La regina Claudia, moglie di Francesco I di Francia, apparsa alla beata Caterina Racconigi, le annunziava che i francesi, capitanati dal loro Re, sarebbero scesi in Italia, e che il Re sarebbe stato vinto e fatto pri­gioniero a Pavia; come difatti avvenne pochi mesi dopo.

 

Le anime del Purgatorio sono sante

Passando ora dall'ordine intellettuale a quello mo­rale, possiamo affermare che le anime del Purgatorio sono sante. « in Christo quiescunt », « dormiunt in sommo pacis ». Questo contro la tesi di Lutero, che voleva le anime del Purgatorio in stato di continuo peccato. E non solo esse sono sante, ma la loro san­tità è eternamente durevole, perché sono confermate in grazia e si trovano nella felice impotenza di peccare, potendo nello stesso tempo esercitare le più belle virtù cristiane. « Allorchè l'anima entra nel Purgatorio per la ragione che essa vi giunge in unione con Dio, ed oltre a ciò apprende per l'intelligenza imme­diatamente e in un colpo d'occhio i rapporti di tutte le cose col loro Creatore, aderisce irrevocabilmente a Dio e a tutto quello che di divino si riscontra nelle creature. Ella non può più non amare Iddio, non pre­ferire le virtù che conducono e piacciono a lui, non, accettare i suoi comandamenti, non amare in sè l'o­pera e la creatura di Dio, non amare il prossimo in cui è l'immagine di Dio » (Chollet, I nostri defunti, parte II, cap. III). Questo che andiamo affermando sembra paralizzare la libera volontà dell'anima umana ddpo la morte del corpo, dal momento che le è tolta ogni scelta tra bene e male, tra virtù e peccato, tra più perfetto e meno perfetto, tra la scelta di un mezzo a preferenza di un altro. Riflettiamo, e ogni dubbio sarà dissipato.

"La volontà è la facoltà del bene, nè può volere che il bene; e quando pure si volge al male lo ap­prende come bene e come vantaggio; che sebbene falso questo bene e questo vantaggio, e semplice­mente apparente, solo a motivo di questa sua appa­renza la volontà vi si attacca. Nel Purgatorio invece l'intelligenza è rischiarata e vede le cose tali quali sono; il male è male, il bene è bene davanti ad essa; ogni velo è strappato e le false apparenze del bene a quella luce si dileguano; la nebbia seduttrice che na­sconde il male che produce come una vertigine nello spirito, che fa cedere la volontà, è dissipata. La vo­lontà che di sua natura è facoltà di scegliere fra le varietà dei beni che le sono proposti, non può volgersi più a cose che sono fuori dell'orizzonte del be­ne; non può scegliere più il male, giacché non le si presenta ormai che come male».

«Dov'è dunque la diminuzione della libertà? Non è questa condizione piuttosto un miglioramento del libero arbitrio, un'elevazione della volontà, che è po­sta nella impossibilità di sbagliare? E' forse più per­fetto l'occhio, perché può coprirsi con le palpebre e non veder più, ovvero perché può essere avvolto nel buio o paralizzato nella sua attività visiva?... Un oc­chio cui sia permesso di non vedere, è preferibile certamente a quello che può essere eclissato. Nello stesso modo la volontà che non può volere se non il bene vero, è più perfetta di quella che può attaccarsi al male e subire così delle fatali eclissi».

Del resto, Dio pure è libero, infinitamente libero, anzi è la libertà essenziale; e tuttavia tanto meno che alle anime del Purgatorio gli è possibile volere il male o l'imperfezione. Diciamo dunque che nel Purgatorio le anime godono di una libertà superiore, somiglian­te, nei limiti che convengono alla creatura a quella stessa di Dio. Questa libertà si esercita nella scelta dei beni reali, e fra gli atti d'amore verso Dio; nelle pa­role adatte a testificarglielo, negli slanci che confer­mano il pentimento, nelle grazie domandate per gli amici loro lasciati nell'esilio, che è dovere di soccor­rere. Vasto è il campo adunque che resta alla libertà, il cui pregio è conservato ed anzi moltiplicato » (Idem).

Le virtù teologali sono naturalmente praticate dalle anime del Purgatorio, e in grado eminente. Praticano la fede, non essendo ancor giunte a quel termine, nel quale le ombre della fede si dissipano alla chiarezza dell'eterna luce. Hanno la virtù della speranza, anzi essa possiamo chiamarla virtù del Purgatorio per ec­cellenza. Prive attualmente del cielo, anelano di pos­sederlo al più presto, attendono con santa impazienza il giorno in cui vedranno schiudersi le porte del Pa­radiso. Conoscendo poi a perfezione le gioie della ca­rità, come non potrebbero non amare Dio di tutto cuore? Chi potrà dire gli atti di amore purissimo che in ogni istante si sollevano da quelle fiamme, e che compensano ampiamente per la gloria di Dio le grida di rabbia, che di continuo emettono i dannati nell'in­ferno? Un'anima del Purgatorio rivelò un giorno a un santo religioso esser solita di fare continuamente i tre seguenti atti di amore:

- O mio Dio, datemi l'amore di cui bruciano i Serafini!

Datemi ancor di più: l'amore, cioè, di cui avvampa il cuore della SS. Vergine!

O mio Dio, fate che io possa amarvi di quell'amore di cui voi amate voi stesso!

Ma ascoltiamo a questo proposito gli ammirabili insegnamenti di S. Caterina da Genova. «Io rilevo, essa dice, una conformità così grande fra Dio e l'ani­ma del Purgatorio, che per ricondurre questa alla sua purezza originale il Signore le imprime un movimen­to d'infocato amore attrattivo, sufficiente per annichi­lirla se non fosse immortale. Quest'amore e quest'at­trazione unitiva agiscono continuamente e potente­mente su di lei, tanto che se essa potesse scoprire un altro Purgatorio più terribile di quello in cui si trova, vi si precipiterebbe volentieri, spinta vivamente dalla impetuosità di quell'amore, e questo affine di liberarsi più presto da tutto ciò che la separa dal sommo Be­ne » (Tratt. del Purg., capo 9).

Possiamo quindi ritenere che le anime del Purgatorio praticano le virtù della fede, della speranza e della carità in grado eminente: il che per noi poveri peccatori così tiepidi e fiacchi, deve riuscire di grande consolazione.

Quanto abbiamo detto delle virtù teologali, si può ripetere delle virtù morali: rassegnazione alla divina volontà, gratitudine, spirito di orazione, amore del prossimo, pazienza, umiltà, ecc.

A proposito della rassegnazione alla divina volon­tà, S. Caterina da Genova scrive: «Queste anime vi­vono così intimamente unite alla volontà di Dio, e sì completamente trasformate in essa, che sono sempre soddisfattissime di quanto da lei è sapientemente di­sposto».

«Le anime del Purgatorio non hanno elezione pro­pria; esse possono volere e disvolere solo quello che Dio vuole o non vuole. Esse accettano di buon grado tutto ciò che Dio loro dà, e né i piaceri nè le pene fanno loro esaminare come vengano e perchè venga­no» (Tratt. del Purgatorio, capi 13 e I4).

Questa completa ed eroica rassegnazione alla vo­lontà di Dio, la quale pena non esclude in esse una continua e perfetta contrizione per le offese fatte ad un Signore sì grande e buono, va unita per solito alla più profonda umiltà. Il P. Faber dice che sebbene molti Santi abbiano avuto in questo mondo più amore per Iddio che non molti Beati del cielo, il più gran santo della terra pera non è mai arrivato al grado di umiltà delle anime del Purgatorio.

A Dole, nella Franca-Contea, nel 1629 un'anima del Purgatorio, apparsa ad un malato per 40 giorni continui, si pose al suo servizio, venendo due volte il giorno a visitarlo e prestandogli tutte quelle cure che il più fido domestico gli avrebbe potuto prodigare. Un giorno l'infermo commosso e riconoscente per tanta bontà le domanda chi ella fosse, che sì caritate­volmente lo assisteva. - Io sono, rispose quella, la tua defunta zia Leonarda Colin che morì 17 anni fa lasciandoti erede del suo patrimonio. Per misericor­dia di Dio e per grazia della SS. Vergine, verso la quale ebbi in vita una tenera divozione, mi trovo in luogo di salute. Il Signore mi ha ora permesso di venire presso di te a servirti per 40 giorni, dopo i quali io sarò liberata dalle mie pene se tu farai tre pellegrinaggi a tre diversi santuari di Maria Santis­sima. - Il malato dubitando della realtà dell'appari­zione volle consultarne il confessore, e dietro il con­siglio di questo, dopo avere inutilmente sperimentato le invocazioni e gli esorcismi della Chiesa, fece alla defunta quest'obbiezione: - Come è possibile che voi siate la mia zia Leonarda, la quale in vita era irascibile e severa, mentre vi veggo così mite, così compiacente e piena di pazienza? - Ah! mio caro nipote, rispose l'anima, diciassette anni di Purgato­rio son più che adatti ad insegnare la pazienza, la dolcezza e la tolleranza dei difetti del prossimo! E poi non siamo noi confermate in grazia e contrassegnate coll'impronta degli eletti, e quindi incapaci di più peccare? (V. Teofilo Raynaud, Heterocliti spiritus, pars II, sect. III, cap. 5).

E siccome la carità verso Dio va sempre accompa­gnata all'amore del prossimo, le anime del Purgato­rio godono del bene degli altri, nè, per esempio, provano invidia per la sorte di quelle loro compagne che, più felici di loro, stanno per finire il tempo della prova, ma anzi se ne rallegrano e fanno festa quando le vedono salire al cielo. Specialmente poi verso viventi esse esercitano la bella virtù della carità. San­ta Caterina da Bologna quando voleva ottenere qual­che grazia speciale si rivolgeva alle anime del Pur­gatorio, sicura di esserne esaudita, e diceva anzi che molte grazie che dai Santi del Paradiso aveva implo­rato invano, le ricevette poi sempre per intercessione delle anime del Purgatorio. Racconta il Baronio che un tale, il quale in vita era stato devotissimo di quelle anime, assalito in punto di morte da forti tentazioni, e ormai disperato della sua eterna salute, vide com­parirsi davanti buon numero di spiriti celesti, i quali gli dichiararono di essere venuti a liberarlo da quel pericolo e condurlo in cielo per gratitudine della de­vozione da lui avuta verso di loro mentre erano in Purgatorio.

«Or sono circa 20 anni (il libro da cui togliamo il racconto fu stampato nel 1929), così racconta un pio e dotto gesúita, già Professore dell'Università di Georgetown in Columbia, io accompagnavo un certo numero di membri molto ragguardevoli della nostra Compagnia. I Padri portavano preziosi documenti, il denaro per il viaggio, l'obolo di S. Pietro e preziosi doni per le opere della Compagnia. Noi dovevamo valicare gli Appennini e non ignorando come le gole di quei monti fossero infestate da banditi, avevamo avuto cura di scegliere un cocchiere onesto. Prima di partire era stato stabilito che ci saremmo messi sotto la protezione delle Anime del Purgatorio, recitando ogni ora un «De Profundis». Luigi, il cocchiere, aveva ricevuto la consegna di battere, in caso di pe­ricolo, tre colpi distinti sull'imperiale della vettura, col manico della frusta.

«Per tutto il giorno viaggiammo tranquillamente, non soffermandoci se non per prendere, noi e i nostri cavalli, il necessario nutrimento. Al crepuscolo erava­mo giunti sulla vetta di un'atta montagna. Assorti nella contemplazione della bella e selvaggia natura, fummo chiamati alla realtà da tre colpi sulla coper­tura della carrozza. Prima che avessimo avuto il tempo di interrogare Luigi, questi aveva somministrato ai cavalli delle frustate così vigorose, che i medesimi precipitandosi con vertiginosa rapidità, po­co mancò che non ci gettassero fuori della vettura. Demmo un'occhiata all'infuori e con meraviglia, non scevra di orrore, scorgemmo sui due lati della via una dozzina di banditi armati di fucili in atto di tirare. Ma, caso strano, li vedemmo altresì restare immobili nel loro minaccioso atteggiamento, al pari di statue, sino a che non apparvero più ai nostri occhi che quale punto impercettibile sull'orizzonte.

«Nessuno di noi aveva fiatato, ma tutti ci eravamo internamente raccomandati all'Onnipotente. Alla fine il cocchiere potè fermare i cavalli, bianchi di schiuma e così ansanti, che ci parve impossibile di vederli riprender lena.

«Un miracolo! - esclamò Luigi, - facendosi il se­gno della croce. - Che Iddio e la Madonna ne siano lodati! Ve lo assicuro, Padri miei, è un miracolo se non siamo morti!

« - È vero, disse il Superiore, siamo stati oggetto di una particolare protezione della Divina Provviden­za, e ne dobbiamo ringraziare Iddio con tutto il no­stro cuore.

« - Ve lo garantisco, rispose bruscamente Luigi erano uomini terribili! Non ho mai visto sguardi più feroci.

« - Allora, interruppe il Superiore, sarà bene di proseguire il viaggio appena i cavalli potranno cam­minare. Dovrete poi cambiarli prima di giungere al luogo ove dobbiamo fermarci ?

« - Non occorre; e poiché i banditici sono alle cal­cagna, il meglio che ci resti da fare è quello di avan­zarli quanto più si può.

« - Ebbene, disse il Superiore rivolto a noi nel mentre riprendevamo posto nella vettura; domani ognuno di noi celebrerà la Messa in rendimento di grazie. - Tutti acconsentimmo ben volentieri.

«Due anni dopo, trovandomi al Collegio Romano, fui chiamato per disporre alla morte un povero con­dannato. Visitai il detenuto molte volte... Per meglio guadagnarlo a Dio feci sembiante di ascoltare con interesse gli aneddoti della sua vita di brigantaggio: Un giorno nel quale mi parlava dei suoi ultimi anni, fui non poco meravigliato, udendo raccontare l'epi­sodio medesimo, che forma il soggetto di questa sto­ria. Nel riandare il fatto da me narrato, ei mi spiegò come sul punto d'impadronirsi della nostra vettura, tanto egli che i suoi compirci si sentirono rattenere le braccia da una forza invisibile e irresistibile. Allora svelai al mio penitente come io fossi uno di quelli cui la Provvidenza aveva sottratto a quel pericolo e gli partecipai la nostra promessa di recitare ogni ora un « De profundis » per le anime del Purgatorio, le quali certamente compensarono in tal guisa la nostra carità a loro riguardo. Egli cadde ginocchioni, pianse a lun­go amaramente, e in fine mi chiese perdono.

Lo preparai alla sorte spaventevole che lo atten­deva, ed ho quasi la certezza ch'egli morisse in pace con Dio. Mi concesse volentieri, su mia richiesta, il permesso di raccontare i particolari di questa ultima parte della mia storia.

«Così il pio Gesuita, che non lasciò occasione di narrare questo prodigio delle Anime Sante del Pur­gatorio ». (Mons. Alfredo Vitali, Il Mese di Novern­ bre, Roma 1929)..

Tali sono le virtù praticate in Purgatorio, tale è lo stato di quelle anime confermate in grazia, incapaci di peccare, adorne delle più belle virtù in grado sl sublime, a cui pochi Santi sono arrivati durante la loro vita. Dice il P. Faber, che se il dolore soppor­tato in silenzio, con rassegnazione e dolcezza è spet­tacolo ammirabile sulla terra, in quella regione deso­lata e penante della Chiesa dovrà essere mille volte più edificante e meraviglioso, poichè laggiù ciascuno è muto e silenzioso nei suoi patimenti, non emette un grido, nè una mormorazione, come Gesù nella sua passione divina. L'amore verso Iddio e verso Maria si manifesta in quelle anime con tali trasporti inau­diti di rassegnazione, che il trono della Vergine sem­bra brillare in quelle tenebre come l'astro della notte, e diffondere la sua luce dolcissima su quella plaga del dolore; gli angeli fanno scintillare per quell'aere buio le loro ali d'argento, e la faccia divina e soavis­sima di Gesù, quantunque materialmente invisibile, è sempre presente all'intelletto di quelle eroine.

 

CAPITOLO VIII

LE GIOIE DEL PURGATORIO

Motivi di conforto nella pena

A chi domanda se insieme a tanto dolore può es­servi gioia e conforto in Purgatorio, risponderemmo volentieri col Poeta, rapito dal canto di Casella

Lo mio Maestro, ed io, e quella gente Ch'eran con lui, parevan sì contenti Com'a nessun toccasse altro la mente. (Purg., II, 115, segg.).

Se il solo canto di Casella bastava a ricolmar di gioia le anime dei trapassati, condannate alle pene del Purgatorio, cosa dovremmo dire di altri e assai più forti motivi che quelle anime hanno di rallegrarsi? Gli autori che trattano del Purgatorio si dividono in due schiere, a seconda del modo sotto cui conside­rano quel carcere di dolore. Gli uni, dominati dal­l'idea di allontanare gli uomini dal peccato spaven­tandoli, hanno insistito sul rigore dei castighi mo­strandoceli simili in tutto a quelli dell'Inferno, salvo la disperazione dell'anima e la eternità delle pene; gli altri, più sensibili dal lato morale, si sono occu­pati specialmente dei sentimenti dai quali son domi­nate quelle anime in mezzo alle loro indicibili soffe­renze, e sotto questo rapporto dimostrano tutto esser luce in quel baratro del dolore. Tuttavia, non poten­do concludere da tutto ciò che fra gli autori vi sia contraddizione, per formarsi un'idea esatta di quel re­gno del dolore, bisogna considerarlo contemporanea­mente sotto ambedue i rapporti, facendo la sintesi di essi e trattandoli insieme esaurientemente. Noi abbiamo già parlato a lungo delle pene, ora rimane a trat­tare delle gioie del Purgatorio.

 

Confermati in grazia

La prima gioia di quelle anime è di sentirsi confermate in grazia, e quindi sicure della loro eterna salute e nella felice impotenza di più peccare, mentre per un'anima veramente cristiana, finche vive su que­sta terra, non v'è croce più pesante che l'incertezza della sua eterna sorte. Angosciosa incertezza, che amareggia la vita quaggiù, e fa sospirare il giorno in cui - a Dio piacendo - sarà dissipata, mentre contemporaneamente fa temere quel giorno, che può rappresentare il principio di una tremenda certezza! Quando noi in una meravigliosa notte stellata solle­viamo gli occhi alla volta celeste, che, secondo l'e­spressione del Salmista; non è che lo sgabello del trono di Dio, e pensiamo che oltre quegli spazi senza limiti vi è il trono del Signore, il soggiorno di Gesù, della Vergine e dei Santi, e che là dovrebb'essere il nostro posto assegnatoci fin dal giorno del battesimo, e là dovremo un giorno vivere eternamente felici con Dio e co' suoi Santi, sentiamo sollevarci lo spirito e il povero nostro cuore struggersi dal desiderio e dal­l'amore; ma mentre pregustiamo di quelle gioie, ecco una voce che dall'intimo della coscienza ci grida che forse non arriveremo lassù, che forse non saremo fe­deli in tutta la nostra vita, forse non persevereremo nel bene e quindi demeriteremo quel gran premio? Oh! come allora il cuore ci si stringe e quanta ama­rezza proviamo in mezzo a questo dubbio! Allora la nostra mente scende ad investigare la coscienza, e scoprendo tanti falli che commettiamo ogni giorno per quella tendenza malvagia, che è insita nell'uomo, sia­mo costretti a dubitare della nostra sorte futura: e dire che se arriveremo a salvarci sarà solo in grazia della misericordia infinita di Dio. Per le anime purganti invece la cosa va ben diversamente: per loro tutto è finito e finito felicemente. Sanno di scontare la pena dei peccati passati, sanno che non peccheranno mai più, hanno la certezza che il loro avvenire è assicu­rato e che, spente un giorno quelle fiamme espiatrici, incomincerà per loro l'eterna beatitudine. Questa gioia vera e sublime deve compensare largamente tutte le pene di quel carcere, e diremo col P. Faber, che vorremmo occupare uno degli ultimi posti in quel sog­giorno di sicurezza, piuttosto che fruire di tutti i go­dimenti incerti e fallaci di questo mondo. La storia della Chiesa di Polonia ci fornisce un episodio, di cui alcuni particolari comprovano quanto stiamo asserendo. Nell'anno 1070 era vescovo di Cracovia San Stanislao, contro il quale il principe Boleslao aveva mosso un'accanita persecuzione. Fra l'altro l'iniquo principe riuscì ad eccitare contro il santo Vescovo gli eredi di un certo Pietro Milés, che era morto tre anni prima lasciando una delle sue terre alla Chiesa. Co­desti eredi, sicuri dell'appoggio del Re, intentarono un processo al Santo, e avendo subornato o intimidito i testimoni, ottennero che Stanislao fosse condannato alla restituzione del terreno. Il Santo vedendosi man­care la giustizia degli uomini si appellò allora fidu­ciosamente a quella di Dio, e fatta sospendere la con­danna, promise che avrebbe fatto comparire come te­stimonio il defunto testatore che da tre anni giaceva nella tomba. Infatti, dopo tre giorni di digiuni e di supplicazioni, il santo Vescovo recatosi con tutto il clero sulla tomba di Pietro Milés, ordinò che venisse aperta; ma rinvenute, come era da prevedersi, solo poche ossa, fra un mucchio di polvere, gli avversari ne gioivano tenendosi sicuri della vittoria, quand'ecco il Santo ordinare al cadavere di sorgere in nome di Colui che è risurrezione e vita. Ad un tratto quelle ossa si avvicinarono, si riunirono, si ricoprirono di carne, e al cospetto della moltitudine stupita fu ve­duto il morto, tenendosi per mano al Vescovo, andare dinanzi a Boleslao e certificare la verità della fatta donazione, confondendo in tal modo quei malvagi che si credevano già sicuri del trionfo. Ma quel che più si affà al nostro argomento è la seguente circostanza. Quando Pietro Milés ebbe fatto la sua deposizione, avendogli domandato S. Stanislao se preferisse di ritornar nella tomba o di vivere ancor qualche anno in questa terra, rispose che sebbene a cagione de' suoi numerosi peccati si trovasse in Purgatorio, dove mol­to soffriva, amava meglio di tornare a morire piut­tostochè restare in una vita così miserabile, nella qua­le potrebbe sempre correr pericolo di dannarsi eter­namente. Indi implorate le preghiere del santo Ve­scovo onde più presto potesse esser libero da quel carcere, e ricondotto processionalmente alla sepoltura, il suo corpo ritornò nello stato primiero. Questo esem­pio mostra come un'anima, anche dopo avere speri­mentato i supplizi del Purgatorio, preferisce questi all'incertezza in cui siamo di salvarci finchè viviamo su questa terra.

 

Il conforto dell'espiazione

La seconda gioia che provano le anime del Purga­torio è quella dell'espiazione. Per comprenderla adeguatamente bisogna avere provato almeno una volta un vero pentimento delle proprie colpe, perchè allora soltanto si prendono a cuore gl'interessi della giustizia di Dio oltraggiata per tanto tempo, allora soltan­to il penitente non contento di sopportare cristiana­mente le pene e i dolori quotidiani della vita, che devono servire a supplire alla penitenza sacramentale, si fa da se stesso esecutore della divina giustizia. Allora appariscono le discipline, i cilizi e tant'altri strumenti di mortificazione che han fatto stupire il mondo assai più che le raffinate voluttà del pagane­simo; e quando pure il cristiano abbia così castigato il suo corpo e mortificato i suoi sensi, deplorerà an­cor sempre di non aver fatto abbastanza per pacifi­care la collera divina. Questo spirito di penitenza che induce l'uomo a farsi giustizia da sè ed espiare con gioia i propri falli, questo bisogno innato di ve­dersi purificato dalle colpe e riabilitato davanti a Dio e davanti alla propria coscienza, esiste nel Purgato­rio in un grado molto superiore a quello dei peni­tenti di questo mondo, e con ciò si spiega come quelle anime sante divorate dal desiderio di espiare i loro peccati, provino gioia nei loro stessi supplizi. Ma la­sciamo che parli a tal proposito S. Caterina da Ge­nova, la quale sull'argomento delle gioie del Purga­torio ha ricevuto tante speciali illustrazioni. – “Io vedo, essa dice, quelle anime stare nelle pene del Pur­gatorio col riflesso di due motivi. Il primo è che pa­tiscono volentieri quelle pene, e sembra loro che Dio abbia usato ad esse gran misericordia, considerando quelle maggiori che meritarono, e conoscendo la grandezza e santità di Dio, poichè, se la sua bontà non temperasse la giustizia colla misericordia (soddi­sfacendola col prezioso sangue di Gesù Cristo), un solo peccato meriterebbe mille perpetui inferni; e per­ciò patiscono questa pena così volentieri, che non vor­rebbero vederla diminuita di un solo minuto, cono­scendo giustamente di meritarla ed essere essa bene ordinata. L'altro motivo è il vedersi nell'ordinazione di Dio e l'ammirare ciò che l'amore e la misericordia divina operano verso di loro. Queste due viste Iddio le imprime in quelle menti in un istante, e siccome sono in grazia, l'intendono e capiscono secondo la loro capacità, e ne riportano gran contento, il quale non manca mai, anzi va crescendo tanto in loro, quanto più si approssimano a Dio. E quelle anime non lo provano in loro, nè per loro, ma in Dio, nel quale sono più assai intente che nelle pene che sof­frono, e del quale fanno assai più stima senza com­parazione; poichè la più piccola intuizione che si pos­sa avere di Dio eccede ogni pena ed ogni gaudio che l'uomo possa immaginare, e benchè la ecceda non leva loro però una scintilla di gaudio o di pena. In tal modo le anime del Purgatorio accettano con gioia i loro tormenti, perchè così purificandosi e trasfor­mandosi veggono avvicinarsi il momento in cui an­dranno a goder Dio nel cielo. Quando l'anima si tro­va in via di ritornare a quel suo primo stato, tanto è il desiderio di doversi trasformare in Dio, che quel­l'istinto acceso ed impedito forma veramente il suo Purgatorio. Non credo, dice la stessa, che si possa trovare contentezza da paragonare a quella di un'a­nima del Purgatorio, eccetto quella dei Santi del Pa­radiso: questa contentezza va crescendo di mano in mano che si va consumando l'impedimento dell'in­flusso di Dio. Come un oggetto coperto non può cor­rispondere alla riverberazione del sole, non per difetto del sole che di continuo risplende, ma per l'ostacolo della copertura; così la ruggine delle anime, cioè del peccato, si va consumando col fuoco del Purgatorio, il quale quanto più consuma tanto più fa corrispon­dere l'anima al vero sole che è Iddio, e quindi tanto più fa crescere la contentezza; così l'uno cresce e l'al­tro manca, finchè sia finito il tempo della prova. E non solamente quelle anime accettano con gioia i loro tormenti, ma se la giustizia di Dio lo permettesse, desidererebbero di soffrire ancor di più, e se potes­sero purgarsi per contrizione, in un istante paghe­rebbero tutto il loro debito, tale è l'affocato impeto di dolore che loro verrebbe, e questo pel chiaro lume che hanno della gravità di quell'impedimento, il qua­le non le lascia congiungere col loro fine ed amore che è Dio”.

 

Il conforto dell'amore

Finalmente la terza gioia delle anime purganti è quella dell'amore. L'amore rende ogni cosa facile ed ogni sofferenza sopportabile. Ubi amatur non labo­ratur, aut si laboratur, labor amatur, scrisse S. Agostino. Malgrado l'imperfezione e la miseria del no­stro povero cuore, noi arriviamo a comprendere questa verità anche sulla terra. Chi non ha amato alme­no una volta in vita sua, e chi nelle gioie di un amore - corrisposto non ha sognato immolazione e sacrificio intero fino alla morte? - Quale è quel sacerdote che nelle gioie del suo ministero sublime non ha invi­diato la sorte del martire che dà a Dio in testimo- nianza d'amore il proprio sangue? Soffrire per espia­re, soffrire per testimoniare il proprio amore, sono i due poli della vita cristiana, disse Lacordaire. E que­sto duplice sentimento si trova in Purgatorio. Aven­do già parlato delle gioie dell'espiazione, diremo ora delle gioie pure ed intime dell'amore, ed affinchè le espressioni siano adeguate al sentimento, lasciamo parlare l'ardente eroina Santa Caterina da Genova, fedele interprete dei sentimenti delle anime purganti. « Io vedo, essa dice, che questo Iddio d'amore, lan­cia sulle anime certi raggi infuocati così penetranti che annienterebbero, se ciò potesse essere, non solo il corpo ma perfino l'anima. Esse poi provano una gioia sì grande nel vedersi interamente affidate alla volontà di Dio, che compie su loro tutto ciò che a lui piace e come meglio piace, che al loro spirito non si pre­senta mai un pensiero capace di aumentare le loro sof­ferenze, e solamente vengono l'operazione della divi­na bontà e quella ineffabile misericordia che usa Dio verso l'uomo, facendo che il Purgatorio gli serva di strada, per condurlo a lui. Quanto a ciò che può tor­nare a loro interesse, o pena o bene che sia, è loro assolutamente impossibile di fermarvi lo sguardo, im­perocchè se ciò potessero, la loro carità non sarebbe più cosa pura. Quelle anime poi hanno una volontà in tutto conforme a quella di Dio; così Dio nella sua bontà fa sentire loro l'amore infinito che per esse nu­tre, per cui dal lato della volontà, sono veramente e completamente felici. E nondimeno soffrono orribil­mente, poichè l'amore non vale ad impedire che sen­tano di soffrire. Anzi il loro amore verso Dio si con­verte in istrumento di sofferenza, perchè possedute come sono dal desiderio di vederlo e di unirsi a lui, tanto più soffrono quanto più quella vista e quell'u­nione vengono ritardate.

« Perciò questo ritardo che trovano le anime ca­giona loro pena intollerabile; poichè mentre dalla grazia sono loro mostrate quelle perfezioni, non potendole esse raggiungere, e sapendo tuttavia di esser destinate a possederle, ne soffrono immensarnente. La stima ch'esse hanno di Dio cresce in relazione della conoscenza che ne hanno, e questa conoscenza au­menta a misura che l'anima si spoglia dei residui del peccato. L'anima dunque è felice in questo sta­to, ma felice come il martire sul rogo, felice di una felicità tutta pura, tutta soprannaturale, e che il mondo non può arrivare a comprendere. Come il marti­re, prosegue a dire la Santa, che si lascia uccidere prima di offender Dio, sente dì morire, ma disprezza la morte per lo zelo che il Signore gli dà; così l'ani­ma conoscendo le disposizioni di Dio a suo riguardo, stima più queste che tutti i tormenti interiori ed este­riori per terribili che possano essere, e questo perchè Dio, pel quale essa agisce così, eccede infinitamente ogni cosa che sentire e immaginare si possa. E poi­chè l'occupazione che Dio dà all'anima di sè la tiene tanto assorbita nella contemplazione della sua mae­stà, avviene che l'anima d'altro non può fare stima, d'altro non può curarsi che di lui ». - Or che do­vremo concludere da tutto ciò? Forse che dovremo vi­vere spensieratamente senza preoccuparci della nostra sorte avvenire? Giammai, perchè questo sarebbe un disprezzare e contraddire gli avvertimenti de' Santi. Finiremo dunque con quell'ardente esortazione che S. Caterina da Genova rivolge a tal proposito a tutti gli uomini che vivono nel mondo: «Vorrei, essa dice, poter gridare sì forte, che tutti gli uomini che sono sopra la terra mi udissero e si spaventassero, e vorrei dir loro; Oh miseri! perchè vi lasciate così accecare da questo mondo, da non pensare a premunirvi da quelle grandi e crudeli necessità nelle quali vi trove­rete in punto di morte? Voi vi credete al coperto sotto la speranza della misericordia di Dio, la quale dite essere tanto grande; ma non vedete che appunto tanta bontà di Dio vi aggraverà nel giudizio? Miserabili! Voi agite contro la volontà d'un tanto buon Signore. La sua bontà vi dovrebbe consigliare a sottomettervi a tutti i suoi comandi e a non disubbidirgli colla spe­ranza del perdono, poiché la sua giustizia non potrà mancare, ma bisognerà che in un modo o nell'altro sia soddisfatta pienamente. Non vi illudete dicendo: io mi confesserò, guadagnerò un'indulgenza plena­ria, sarò in quel punto purgato da tutti i miei peccati, e così andrò salvo. Pensate che la confessione e con­trizione tanto necessarie per guadagnare tale indul­genza, sono così difficili ad aversi, che se lo sapeste appieno, tremereste dalla paura e sareste più certi di non averle che di poterle guadagnare».

 

CAPITOLO IX

DURATA DELLE PENE DEL PURGATORIO

È un segreto divino?

E' mera curiosità quella di indagare la durata delle pene delle anime purganti? Se così fosse, tralasce­remmo di trattarne, in ossequio ai moniti del Concilio Tridentino: « Ea vero quae ad curiositatem quandam - nella trattazione della dottrina del Purgatorio aut superstitionem spectant... tanquam scandala et fidelium offendicula prahiheant n (Sess. XXV, I. c.).

Riteniamo invece salutare alle anime nostre inda­gare quanto a lungo la divina giustizia protragga i suoi castighi, per paventarli maggiormente e, se è possibile, per evitarli. Naturalmente soltanto Iddio, nella sua giustizia, conosce la qualità e la durata delle pene dovute ai peccati di ciascuna anima. Se qualche cosa è stato rivelato ne ringraziamo Iddio, perchè ciò è tutto a nostro vantaggio, a vantaggio, diciamo, di noi viventi, onde veniamo a capo di logiche conce­guenze e di salutari proponimenti.

Da quello che leggiamo nelle rivelazioni dei Santi e delle anime pie, siamo indotti a concludere che assai lunga è la durata delle pene del Purgatorio, poichè di pochissimi spiriti sappiamo del loro breve soggior­no tra quelle pene, mentre di molti altri si ebbe la rivelazione di lunghissimi anni di Purgatorio. Se qualcuno sentendo parlar di secoli se ne meraviglias­se, legga con attenzione il fatto seguente riferito dal P. Nieremberg (Trophaeus Marianus, lib. 4, cap. 29). Una nobile donzella di Aragona, che viveva al tem­po di S. Domenico, avendo inteso questo Santo pre­dicare in una chiesa la divozione del Rosario, volle ascriversi alla confraternita da lui stabilita; ma dedita com'era alle vanità del secolo, non tardò molto a di­menticarsi dei suoi santi propositi e degli obblighi assunti. Or accadde che due giovani cavalieri, suoi corteggiatori, si batterono per lei in duello ed uno di essi rimase ucciso. I parenti del morto, per vendicarsene, sorpresa la fanciulla in una sua villa di cam­pagna, la uccisero e ne affogarono il cadavere in un pozzo. S. Domenico, che allora si trovava a predi­care il santo Rosario in un'altra città, avendo per rivelazione saputo il fatto, si condusse immantinente in quel luogo, e giunto all'orlo del pozzo nel quale era stato gittato il cadavere dell'infelice fanciulla, si pose a gridare ad alta voce: - Alessandra, Alessan­dra - chè tale era il nome di lei; - ed ecco il capo del cadavere, che era spiccato dal busto, riunirsi al­l’istante, e la fanciulla uscire viva dal pozzo, tutta coperta di sangue, e confessarsi al Santo con un pro­fluvio di lacrime. Visse ancora due giorni recitando continuamente Rosari, che S. Domenico aveale dato come penitenza delle sue colpe. - Avendola poi que­sti invitata a dire che cosa le fosse accaduto dopo morta, essa parlò di tre cose segnalatissime, e cioè: 1° che senza i meriti del santo Rosario, pei quali ot­tenne la grazia della contrizione perfetta, sarebbe stata immancabilmente condannata all'Inferno, non avendo avuto il tempo di confessarsi; 2° che nel mo­mento in cui spirò, una turba di demoni schifosissi­mi erano corsi a prenderla per portarsela nell'Infer­no, e l'avrebbero indubbiamente fatto se la Vergine Santissima non l'avesse strappata dalle loro mani; 3° (e questo fa al nostro proposito) che per l'omicidio di cui era stata causa, avrebbe dovuto fare 200 anni di Purgatorio. Questo tempo è credibile però che ve­nisse poi abbreviato per le preghiere del Santo. – Il ven. Beda riporta esempi di molte anime che sareb­bero rimaste a penare fino alla fine dei secoli se non fossero state soccorse dalle preghiere dei vivi. - San Vincenzo Ferreri aveva una sorella chiamata France­sca, la quale in vita era stata un po' troppo dedita alle cose mondane. Essendosi però in punto di morte confessata con sincero pentimento, fu salva. Pochi giorni dopo comparve al suo fratello mentre celebrava la Messa, tutta circondata di fiamme e straziata da or­ribili sofferenze, dicendogli che era stata condannata a quelle pene fino al giorno del giudizio, ma che po­trebbe esserne sollevata assai ed anche liberata com­pletamente se egli avesse celebrato in suo suffragio le trenta Messe di S. Gregorio. Si affrettò il Santo a sod­disfare questo desiderio della sorella defunta, e in capo al trentesimo giorno ella gli apparve fra uno stuolo di angeli mentre saliva al cielo. - Leggendo queste cose non si sa se ammirare maggiormente gli splendori della divina misericordia o la severità della sua giu­stizia, poichè ambedue vi si rivelano ugualmente a grandissima gloria di Dio.

La durata del Purgatorio è dunque ordinariamente assai lunga, quantunque sempre proporzionata al nu­mero e alla gravità delle colpe commesse; poichè, dice S. Agostino, colui che più invecchiò nel peccato im­piegherà maggior tempo a traversare quel fiume di fuoco e in proporzione della colpa la fiamma accre­scerà il suo castigo. In quelle fiamme tutto sarà pu­rificato, tutto abbruciato e consumato.

 

Calcoli di anime in pena

Ciò non ostante vi è qualche cosa che ci atterrisce ancora di più, e cioè la durata dei Purgatorio non più considerata in se stessa, come si è fatto finora, ma considerata secondo la stima che ne fanno le anime. Pensandovi un po', noi vedremo che un'ora sola di Purgatorio sembrerà più lunga di un secolo a quelle povere infelici, sia per l'impazienza estrema in cui vivono di vedere Iddio, sia per il rigore dei loro sup­plizi.

Riferiamo in proposito la seguente curiosissima sto­ria che si legge negli Annali dei Padri Cappuccini (Tomo III, anno 1618).

Il P. Ippolito da Scalvo essendo stato eletto Guar­diano e Maestro de' Novizi in un convento di Fiandra, si sforzava di eccitare nei suoi figli spirituali le virtù proprie del loro stato sublime. Ora accadde che uno de' novizi che avea fatto grandi progressi nella via della perfezione morì mentre il Maestro era as­sente, per la qual cosa questi provò gran dolore, e la sera del giorno in cui il giovane era morto, essen­do ritornato al convento, mentre dopo mattutino si era fermato in coro a pregare, vide farglisi innanzi un fantasma ravvolto tra le fiamme, il quale così gli parlò: - O mio amorevole e buon Padre! impartite­mi, vi prego, la vostra benedizione. Per una leggera mancanza da me commessa contro la regola, mi tro­vo ora in Purgatorio per soddisfare alla divina Giu­stizia; la bontà del mio Gesù m'ha permesso di ri­volgermi a voi, affinchè m'imponiate la necessaria punizione, che io eseguirò in isconto del mio fallo, per essere libero da queste pene. - Rimase atterrito il buon Padre a quella vista e a quei detti, e data di tutto cuore la benedizione al defunto, soggiunse: - Quanto alla penitenza che io, come mi assicurate, debbo imporvi pel vostro fallo, vi darò quella di ri­manere in Purgatorio fino all'ora di Prima (circa le otto del mattino). - Udito ciò il novizio, come un disperato si mise a correre per la chiesa e ad urlare Padre snaturato! Cuore durissimo e senza pietà! Come mai volete punire tanto severamente un fallo che in vita avreste appena giudicato degno d'una leggera disciplina? Voi dunque ignorate l'atrocità dei miei tormenti?! Oh penitenza imposta senza carità!

- E ciò dicendo sparì. - Il povero Guardiano che avea creduto di essere stato molto indulgente nell'imporre quella penitenza, si sentì drizzare sulla testa i capelli per lo spavento e pel dispiacere, ed avrebbe voluto rimediare a tanto errore a costo della propria vita, ma non essendo in suo potere il farlo, pensò di suonare la campana del dormitorio. Si svegliarono i frati e corsero in coro, ove udirono il racconto di quanto era accaduto. Si dettero perciò premura di dire subito Prima, nella speranza che ciò giovasse ad abbreviare le pene del povero defunto, ma il povero Guardiano portò scolpito nel cuore per tutta la vita il ricordo di quella scena orribile, e confessava spesso che fino allora aveva avuto un'idea molto imperfetta delle pene del Purgatorio.

Un altro fatto dello stesso genere è citato dal Ros­signoli. - Due religiosi si amavano come fratelli e si eccitavano a vicenda alla pratica della santa vita prescritta dalla regola. Ad uno di essi poco prima di morire apparve l'Angelo custode dicendogli che era salvo e che sarebbe rimasto in Purgatorio finchè fosse stata celebrata una Messa in suo suffragio. Chiamato perciò l'amico, con volto ilare lo scongiura di non lasciarlo dopo morte soffrire a lungo nel Purgatorio e di celebrare immediatamente quella Messa. Questi promette, con le lacrime agli occhi. Infatti, appena morto l'amico corse a celebrare per lui. Era appena tornato in sacrestia, dopo la celebrazione, quand'ecco comparirgli l'amico tutto raggiante di gloria, ma col volto atteggiato a malcontento, rimproverandogli di aver dimenticato la promessa e d'averlo lasciato più d'un anno in Purgatorio! - Com'è possibile quanto dici, rispose il religioso meravigliato, se appena tu sei spirato son corso a soddisfare la mia promessa celebrando il santo Sacrificio, che appena ora ho ter­minato? Se non credi vieni con me e te ne darò la prova facendoti toccare il tuo cadavere ancor caldo. - Allora il defunto quasi svegliandosi da profondo sonno esclamò: - Come sono spaventevoli, ohimè, le sofferenze del Purgatorio! Un'ora sola di pena mi apparisce più lunga d'un anno! Benedetto sia Dio che ha così abbreviato la mia prova, e grazie mille volte a te, o fratello mio carissimo, della premura e carità che mi hai usato. Io salgo ora al cielo, e pre­gherò Dio che presto ci unisca lassù come fummo uniti sulla terra. -

Da ciò si vede quanto siano insensati coloro che non si curano affatto di far penitenza in questo mon­do, aspettando di scontare i loro falli in Purgatorio. - Dell'iniperatore Maurizio racconta la storia eccle­siastica che avendo commesso quand'era sul trono molti e gravi peccati, e avendogli Dio inviato un angelo per chiedergli se sceglieva di scontarli in questo mondo o nell'altro, rispose: - In questo mon­do, in questo mondo, o Signore, poichè la mia pena sarà sempre inferiore a quella che patirei nell'altra vita. - Poco tempo dopo uno de' suoi generali per nome Foca, impadronitosi dell'impero, fa condurre l'Imperatore nel circo, lo fa coricare in terra e pre­mendogli col piede la gola, presente tutto il popolo costanti nopolitano, gli fa sgozzare davanti agli occhi tutti i figli, dopo di che uccide colla spada anche lui. Durante quell'orribile carneficina il pio Imperatore non cessava di ripetere il versetto del Salmista: Ju­stus es, Domine, et judicia tua aequitas.

Dagli esempi citati dobbiamo trarre la conclusione che la durata delle pene del Purgatorio è ordinaria­mente assai lunga e che il calcolo di noi, che ancora viviamo, è ben diverso dal calcolo che le anime pur­ganti fanno delle loro pene. Tanta è l'intensità dei divini castighi in Purgatorio, che un'ora sola può sembrare una eternità a quelle anime in pena.

Queste riflessioni ci ispirino un salutare terrore del Purgatorio ed una più viva compassione per le po­vere anime purganti, che spesso dimentichiamo con troppa facilità. La infinita santità di Dio non soffre macchia nei suoi eletti, mentre ordinariamente le ani­me giungono al tribunale di Dio talmente indebitate con la giustizia divina da inorridire al solo pensarvi. i Misericordia Domini, quia non sumus consumpti! » (Lament. Ier. 3; 22) Salve unicamente per grazia di Dio; rimane da soddisfare ai debiti contratti con la divina giustizia.

E neppure dobbiamo meravigliarci e tanto meno lamentarci con Dio, allorchè sembra che dia fondo ai suoi castighi con gli uomini, finchè vivono. Merite­remmo che Iddio aggravasse la mano assai di più... Comunque son pene risparmiate per l'altra vita!

 

CAPITOLO X

DIO E LE ANIME DEL PURGATORIO

Santità, sapienza e bontà di Dio

Fino ad ora abbiamo parlato del Purgatorio con­siderato di per sè, e come se esistesse da solo nel mondo sopranaturale, mentre in virtù della comunio­ne dei Santi si trova in continui rapporti colla Chiesa trionfante e colla militante. Studieremo adunque ora queste relazioni, e innanzi tutto tratteremo di quelle che passano fra le anime del Purgatorio e Dio, fra il giudice che condanna e il reo condannato, fra il pa­dre che tende le braccia al figlio esiliato e l'anima che arde d'amore per lui ed affretta col desiderio il momento d'entrare nella paterna dimora.

Una delle cose che più risaltano, per poco che si sia posto mente al fin qui detto, è che il Purgatorio manifesta in modo ammirabile tutte le perfezioni di Dio. Il Salmista ha detto che i cieli narrano la gloria di Dio, ma altrettanto può dirsi di quelle oscure pri­gioni dalle quali parrebbe dovesse solo diffondersi il dolore e il pianto; eppure Dio in nessuna parte del creato si rivela forse più grande e perfetto come nel Purgatorio. Fra tutte le perfezioni poi che di lui si manifestano laggiù, tre sopratutto emergono in ma­niera straordinaria, vale a dire la sua santità, sapienza e bontà.

Che il Purgatorio manifesti la santità infinita di Dio nessuno ne dubita. Là infatti troviamo anime sante, uscite di vita nel pieno esercizio della loro ca­rità, predestinate alla gloria, future abitatrici del cie­lo, oggetto delle compiacenze dell'adorabile Trinità, spiriti eletti che, dopo le lotte della vita, sono sul punto di giungere alla gloria che Dio Padre, nel crearli, aveva loro assegnata. Tuttavia, siccome nei giorni del loro pellegrinaggio hanno contratto delle macchie, Iddio li tiene inesorabilmente lontani da sè; condannandoli ad un fuoco di purificazione, fino al giorno in cui saranno trovati degni di comparire tutti puri, dinanzi al suo cospetto. Forse quelle anime lavo­rarono molto per la gloria di Dio, sono forse santi sacerdoti che l'han fatto conoscere e amare nel mon­do, o religiosi che han tutto abbandonato per lui e che per amor suo abbracciarono una vita di patimen­ti e di sacrifici, o apostoli che hanno recato il suo nome nelle estreme parti del mondo; ma non importa: ba­sta che abbiano una macchia, una macchia sola, per­chè Iddio dimentichi, per ora, le loro opere buone, i loro sacrifici, i loro meriti. Quantunque sia ormai pronta per loro la corona di gloria, quantunque in Cielo il Padre le attenda, hanno da purificare col fuoco quanto in loro non è ancora degno di Dio e della sua santità.

Ci sembra che tra le anime del Purgatorio e Dio passi qualche cosa di analogo a quello che passava tra Dio e il suo Figliol divino sul Calvario. Cristo, figlio prediletto del Padre, splendore della sua gloria, og­getto delle sue eterne compiacenze, appena addossa­tisi i peccati degli uomini, attira sopra di sè i colpi della divina giustizia, e non v'è più pietà per lui che si è dato come riscatto pei peccati del mondo. Trema la terra, si fendono le roccie, il sole si ecclissa da­vanti all'Uomo Dio che muore; ma Dio Padre resta impassibile nel silenzio della sua eternità; nulla lo commuove nè intenerisce, neppure quel grido dolo­roso che gli rivolge la vittima divina: - Mio Dio, mio Dio, perchè mi hai abbandonato! - Il sacrificio dev'essere tutto consumato, la giustizia deve avere il suo corso, dopo di che soltanto egli si ricorderà di esser Padre. - Orbene, anche le anime son figlie predilette di Dio, ma perchè portano ancora impressa l'orma del peccato, egli non le riconosce per tali, e quando il fuoco vendicatore, quando i supplizi e le espiazioni si saranno accumulati sopra quelle meschi­ne, assisterà impassibile a tante torture, anzi se ne rallegrerà, perchè così la sua giustizia sarà soddisfat­ta. Sarà inutile ogni grido, ogni soccorso implorato, dal cielo, poichè il cielo sarà chiuso per loro, e prima che Iddio si ricordi d'essere padre, ogni macchia do­vrà esser distrutta e consumata dal fuoco. - Santa M. Maria Alacoque, che aveva provato in se stessa questi rigori della giustizia di Dio, soleva dire che i tormenti che l'amore divino imprimeva in lei come saggio di quelli che soffrono le anime del Purgatorio erano veramente insopportabili. - S. Caterina da Genova così si esprime a riguardo di questo marti­rio che la santità di Dio fa soffrire a quelle anime. Il fondamento di tutte le pene è il peccato originale o attuale. Dio ha creato l'anima pura, semplice e netta d'ogni macchia di peccato, con un certo istinto beatifico verso di lui, dal quale istinto il peccato ori­ginale, che essa trova in sè, l'allontana; quando poi vi si aggiunge l'attuale, ancora più se ne discosta, e quanto più se ne fa lontana, tanto più diventa mal­vagia, poiohè Dio meno le dà la grazia della corri­spondenza. E poichè ogni bontà o virtù è largita per partecipazione di Dio, il quale corrisponde nelle creature irrazionali come vuole e come ha ordinato e non manca loro mai, ed all'anima razionale corri­sponde più o meno, secondo che la trova purificata dall'impedimento del peccato; perciò quando si trova un'anima che si accosti alla sua prima creazione pura e netta, quell'istinto beatifico se le va disco prendo e crescendo tuttavia, con tanto impeto e fu­rore di carità (il quale la spinge verso il suo ultimo fine) che le par cosa insopportabile l'impedimento che prova, e quanto più vede e intuisce, tanto più le riesce dura la pena. Or dunque, siccome le anime che sof­frono nel Purgatorio non sono insozzate da gravi pec­cati, perciò non v'è altro impedimento tra Dio e loro tranne quella pena la quale le ha ritardate dall'au­dare a lui, e vedendo esse e provando quanto importi ogni minimo impedimento, ne nasce in loro un estre­mo fuoco, simile a quello dell'Inferno, eccetto nella colpa, che è quella che fa la volontà maligna ai dan­nati, ai quali Dio non corrisponde colla sua bontà epperciò restano in quella disperata maligna volontà contro la volontà di Dio».

Oltre alla santità, il Purgatorio manifesta ammira­bilmente la sapienza e la bontà di Dio. Egli infatti non può solfrire impurità dinanzi a sè, perchè la sua santità infinita vi si oppone. Siccome però quelle in­felici sono morte in istato di grazia e nell'esercizio attuale dell'amore e del pentimento; e quindi non pos­sono essere condannate agli odii e alle disperazioni eterne dell'Inferno, e siccome d'altra parte sono chiu­se per loro tanto le porte del Cielo quanto quelle dell'Inferno, Iddio ha creato un luogo intermedio, un soggiorno destinato alle espiazioni temporanee, nel quale regni l'amore accanto alla giustizia e alla san­tità divina. Sì, l'amore, il più tenero amore fu quello che creò il Purgatorio. Per ben comprendere questa verità, dice S. Caterina da Genova, bisogna pensare che quel che d'ordinarìo gli uomini ritengono come perfezione, è difetto dinanzi agli occhi di Dio, perchè tutte le cose che fa l'uomo portano sempre con sè macchie ed imperfezioni quand'egli non riconosca che la perfezione in quel ch'egli fa è puro dono di Dio. Attesa perciò la corruzione del cuore umano, il Purgatorio era il solo mezzo che a Dio rimanesse per salvarci; poichè chi è mai fra noi che potrebbe ripromettersi di presentarsi senza colpe al tribunale divino? Se non vi fosse stato il Purgatorio, bisogna­va o che la giustizia di Dio avesse lasciato il peccato impunito, il che ripugna all'essenza sua, o che la quasi universalità delle anime fosse rimasta priva per sempre dalla vista di Dio; mentre ora, grazie a quest'amorevole invenzione del Purgatorio, possiamo an­cora aspirare alle gioie della visione beatifica. Così nessuna delle perfezioni divine venendo lesa, la mise­ricordia e la verità s'incontrano in quel soggiorno del dolore, la giustizia e la pace si tendono la mano e tutto si compie in perfetto ordine, sicchè dopo espiato il peccato, segue subito il premio delle buone opere, e l'uomo è salvo. - Ed é appunto perchè le anime del Purgatorio comprendono questa verità che invece delle grida di rabbia e di disperazione che si solleva­no di continuo dall'Inferno, esse innalzano al cielo fra-le loro pene canti sublimi d'amore ed inni di gra­zie. Ma, dirà qui taluno, come potrà mai esercitarsi nel Purgatorio la misericordia di Dio, se Iddio si trova quasi impotente verso quelle povere anime, do­vendo la sua giustizia aver libero corso? Risponderò che è tale l'armonia delle perfezioni divine, che non mai una nuoce all'altra, e mentre la giustizia è piena­mente soddisfatta, la misericordia trova anch'essa sempre modo di esercitarsi; e Iddio che è amore per eccellenza, fa sempre penetrare in quelle oscure pri­gioni qualche raggio della sua immensa chiarezza. Come poi possa ciò accadere senza ledere la divina giustizia, sarà manifesto da quanto diremo. Per quat­tro canali la divina misericordia si spande continua­mente su quelle povere anime, ed ecco come.

In primo luogo bisogna convenire che quasi sem­pre le anime sono mandate in Purgatorio in virtù di una disposizione di misericordia, e d'una misericordia tutta speciale. Infatti chi è fra noi che almeno una volta in vita sua non abbia meritato l'Inferno? Se ora passeggiamo per le vie della città o respiriamo l'aria pura della nostra campagna, e godiamo tutti i comodi della vita invece di contorcerci fra le eterne dispera­zioni dell'Inferno, non è forse -per misericordia di Dio, che avrebbe potuto farci morire già in tante occasioni, coglierci all'impensata e farci piombare in quel baratro dove si trovano tante anime forse meno colpevoli di noi? - Ma ammettiamo per un momento d'aver conservato la nostra innocenza battesimale e di non esserci macchiati giammai di peccato mortale, chi potrà assicurarci di perseverare nel bene? E se in grazia della perseveranza finale, non commettendo nessun grave peccato, noi arriveremo un giorno in Purgatorio, non sarà forse anche questo un dono im­menso della divina misericordia? In realtà però il caso dell'innocenza conservata fino alla morte è cosa rarissima, perchè la maggior parte delle anime caden­do più o meno spesso in peccato mortale, si rendono degne dell'Inferno. Eppure per una misericordia gra­tuita del Signore anche molte di queste si salvano, perchè dopo una vita tiepida e negligente, dopo una serie di cadute e di ricadute nel peccato, pu­rificate da un'ultima confessione ben fatta, sono salve dalle pene eterne. Resterà loro, è vero, una più o meno lunga e dura pena da scontare in Pur­gatorio, ma potrebbero forse lamentarsene se consi­derassero quante volte abbiano coi loro peccati meritato l'Inferno? Che dire poi di coloro che si salvano con un atto di perfetta contrizione concepita nei mo­menti dell'agonia? Queste anime che hanno forse passato tutta la lor vita nel peccato, accumulando confessioni nulle a comunioni sacrileghe, e intorno alle quali il demonio andava già tripudiando creden­dole sua preda, in virtù d'una grazia tutta gratuita e assai immeritata, s'illuminano ad un tratto, e sulla soglia dell'eternità e in mezzo agli spasimi dell'ago­nia mandando un grido supremo di pentimento, in­nalzando al cielo un atto di perfetta contrizione, si trovano perdonate e salve, e invece dell'Inferno che meritavano, non soffrono che le espiazioni temporanee del Purgatorio. Oh misteri della misericordia e del­l'amore di Dio! - Il P. Ravignan era di parere che a' di nostri, nei quali pure tante anime ingolfate nei pregiudizi si tengono lontane da ogni pratica di reli­gione, molte se ne salvino per intervento diretto della divina misericordia, la quale non di rado agisce su loro negli ultimi momenti di vita. È vero che in que­sto caso lo spirito deve purificarsi dalle sue colpe con un lungo e duro Purgatorio, ma che importa quando l'eternità e assicurata? Anche se i supplizi di quelle anime venissero prolungati fino alla fine dei secoli, credete voi che se ne lamenterebbero? Niente affatto; che anzi nel momento in cui presentatesi al divin Giu­dice ascoltano la loro sentenza, gioiscono esse in cuor loro sapendosi condannate alle temporanee espiazioni di quel carcere, non altrimenti che il condannato a morte, il quale venisse a sapere essergli stata commutata la pena del capo in pochi anni di prigionia.

In secondo luogo la misericordia divina si manife­sta laggiù anche nell'applicazione della pena. Infatti per quanto terribili sieno i supplizi del Purgatorio, bisogna. convenire che son sempre molto inferiori a quello che merita il peccato. - Ogni offesa fatta a Dio, per quanto sia leggera, essendo stata fatta verso una Maestà infinita, importa un'espiazione infinita. Quando si considera il peccato sotto questo rapporto, bisogna persuadersi che la misericordia di Dio regna perfino nell'Inferno, come dice S. Caterina da Geno­va, perchè mentre il peccatore morto in disgrazia di Dio meriterebbe pena infinita quanto all'intensità e quanto alla durata, Iddio nella sua bontà ha voluto renderla infinita solo quanto al tempo, mentre riguar­do all'intensità vi ha voluto porre un limite. Se la sola giustizia avesse avuto più severo corso, avrebbe richiesto certamente maggior pena! Altrettanto e con più ragione è delle anime purganti, le quali relativa­mente ai falli commessi in vita, soffrono molto meno di quel che in realtà meriterebbero.

In terzo luogo la misericordia divina si manifesta laggiù allorchè Iddio abbrevia la durata della pena di ­qualche anima senza ledere i diritti della sua eterna giustizia, ed ecco come. - In confronto all'eternità il tempo è un nulla, ma considerato in se stesso non è altro che una relazione di atti intimamente concatenati fra loro. Ora moltiplicando gli atti dell'anima Iddio può in un istante dare a questa la sensazione di più secoli, come verosimilmente accadrà a coloro che mor­ranno negli ultimi giorni del mondo, e che dovranno espiare in pochi minuti tutte le colpe della loro vita. Egli è vero che tutte le sensazioni dolorose accumu­late in sì piccolo spazio di tempo fanno crescere l'in­tensità del castigo ìn una proporzione spaventosa, ma quantunque la giustizia eserciti in ciò i suoi pieni diritti, la misericordia non cessa di guadagnarvi, perchè così l'anima viene messa più sollecitamente in posses­so della gloria divina. Secondo le rivelazioni da noi già citate e molte altre ancora, pare che simili abbreviazionì di pena siano concesse specialmente alle ani­me divote di Maria santissima; ed è così che si spie­gherebbero i famosi privilegi della Bolla Sabatina di cui parleremo quando dovremo trattare delle indul­genze.

In quarto luogo la misericordia si manifesta nel Purgatorio allorchè Iddio permette ad un'anima di uscirne temporaneamente per far conoscere il suo stato ai viventi e implorarne suffragi. Da che esiste il Purgatorio migliaia di anime hanno visto in tal modo ab­breviare le loro pene, ed è certo gran segno di mise­ricordia il sospendere che Dio fa le leggi della natura permettendo al defunto di venire a raccomandarsi agli amici lasciati su questa terra. Iddio non fa nè sempre né per tutte le anime questa grazia, ma si può dire tuttavia che le apparizioni su questa terra di poche di esse giovano a tutte le altre, perchè rianimando la fede nel Purgatorio fanno sì che i fedeli si risveglino dalla loro apatìa e dal loro egoismo ed implorino la rugiada della divina misericordia su quelle anime pe­nanti.

 

Giustizia divina

Volendo ora dire qualche cosa sulla giustizia che Dio esercita in Purgatorio, non ripeteremo qui ciò che già dicemmo circa la severità di essa, ma studieremo solo una quistione di non lieve importanza che ci si pre­senta, e cioè se Iddio si tenga obbligato per giustizia ad applicare ad un dato defunto i suffragi che per lui vengono fatti dai viventi. I teologi sono discordi su questo punto, e i dottori scolastici inclinano a credere che Iddio si sia in ciò riservato la più gran libertà. Quel che è certo si è che - almeno quanto alle in­dulgenze - i Sommi Pontefici e la Chiesa, non eser­citando più alcuna giurisdizione sulle anime del Pur­gatorio, non possono essere ad esse applicate per mo­do d'assoluzione come ai vivi, ma solo per modo impetratorio, che è quanto dire che la Chiesa invece di rimettere direttamente quella tale o tal altra parte di pena dovuta al peccato, si limita a pregare Iddio onde accetti quell'indulgenza e l'applichi egli stesso nella proporzione che meglio conviene alla sua giu­stizia.

D'altra parte i teologi mistici inclinando verso l'op­posto parere, insegnano che tutti i suffragi che si fan­no a favore di un dato defunto, vengono a questo da Dio applicati. Pare infatti conveniente che Iddio ten­ga conto dell'intenzione particolare di quelli che lo pregano, eccetto che ragioni speciali di giustizia non glielo vietino. Se di tali ragioni ve ne siano spesso, è cosa molto ardua a sapersi. Santa Francesca Romana dice che le preghiere e le buone opere che si fanno in questa vita per qualche anima del Purgatorio, sebbe­ne vadano subito a vantaggio di questa, per quel vin­colo però di carità che le unisce tutte; servono anche a giovare le altre: se poi siano offerte per un'anima che è già in possesso della gloria, il merito ritorna a colui che le ha fatte, mentre il frutto si spande allora su tutto il Purgatorio.

D'altra parte in molte rivelazioni di Santi vediamo che la giustizia di Dio ha negato talvolta di applicare i suffragi a vantaggio di talune anime per le quali si pregava.

Dalla Santa M. Alacoque abbiamo veduto raccon­tare di quel nobile personaggio, già da noi menzio­nato, il quale avendo commesso in vita molte ingiu­stizie verso i suoi soggetti, vedeva in Purgatorio che i suffragi fatti per lui venivano applicati dalla divi­na giustizia a vantaggio di quelli che egli vivendo aveva oppressi e danneggiati. Bisogna quindi con­cludere che Iddio in tal maniera si riserva la più ampia libertà, e che spesso, e fors'anche sempre, l'a­nima per la quale noi preghiamo non è sollevata dalle sue pene in quella misura che si crede, altrimenti ba­sterebbe guadagnare un'indulgenza plenaria in favore d'un'anima del Purgatorio, o di celebrare in suo suf­fragio una Messa ad un altare privilegiato, per esser sicuri della sua liberazione, il che è in aperta contrari­dizione con quanto suol praticare la Chiesa e con quel che ci dicono i Santi nelle loro rivelazioni. Non dob­bìamo mai adunque rassicurarci troppo sulla sorte dei nostri cari defunti, ma pregare e pregar molto per loro, poichè senza una speciale rivelazione non po­tremo mai esser sicuri che essi non abbisognino piú dei nostri aiuti.

E. qui sorge spontanea la dornanda, che cosa faccia Iddio di quell'eccedenza di suffragi ch'egli rifiuta di applicare al defunto, al quale individualmente erano diretti. A noi pare probabilissimo ed in tutto confor­me alle leggi della giustizia distributiva, che queste preghiere non vadano perdute, ma che siano applicate ad altre anime che a Dio meglio piace di sollevare. S. Caterina da Genova così si esprime a tal proposi­to: - « Quando le persone del mondo offrono a Dio preghiere ed elemosine per diminuire le pene delle anime del Purgatorio, queste anime hanno facoltà di distogliere il loro sguardo dall'oggetto divino che di continuo contemplano, per posarlo su questi atti di carità, ma li veggono solo nella bilancia della divina volontà, lasciando che Dio sovranamente disponga di tutto, affinchè i suoi diritti siano soddisfatti nel modo che più piaccia alla sua infinita bontà. Queste anime poi hanno ben ragione di rimettersi interamente alla bontà di Dio, perchè ne' suoi rapporti con loro non domina la giustizia, ma bensì l'amore. E come non dovrebbe amarle egli che vede in esse le conquiste della sua passione e morte, le future abitatrici del cie­lo? Egli desidera la fine delle loro pene, e se la giu­stizia da un lato gli vincola le mani, dall'altro invita noi a soccorrerlo nelle sue membra sofferenti; Tibi derelictus est pauper, orphano tu eris adjutor! (Ps. 9, 34). Queste parole del Salmo si applicano molto bene a quelle anime. Iddio non può far nulla per trarle dalla miseria nella quale sono piombate, e quindi con­fida a noi la cura di aiutarle; sono esse orfane pel momento, e perciò c'invita ad averne cura ». - Nostro Signore apparendo un giorno a S. Geltrude, le disse: - Tutte le volte che liberi un'anima dal Purgatorio fai un atto a me sì gradito, che più non lo sarebbe se riscattassi me stesso dalla cattività. - Spesso nostro Signore si è perfino abbassato ad implorare dall'uomo suffragi per le sue care anime del Purgatorio. Potrem­mo citare molti di questi esempi, ma ci limiteremo solo al seguente che è raccontato da S. Teresa nel suo libro delle fondazioni (capo 10).

«Nel giorno dei morti l'illustre Don Bernardino di Mendoza mi fece dono di una casa e di un bel giar­dino situato in Valladolid, perchè vi fondassi un mo­nastero in onore della SS. Vergine. Due mesi dopo, questo gentiluomo caduto improvvisamente malato perdette la parola, e quantunque con segni esteriori mostrasse il desiderio di volersi confessare e la viva contrizione che aveva dei suoi peccati, tuttavia non potè farlo. Morì egli, e sebbene allora io mi trovassi lontana dalla sua città, il Signore mi fece conoscere che Don Bernardino di Mendoza era salvo, ma che aveva però corso molto pericolo di dannarsi se la mi­sericordia di Dio non si fosse esercitata sopra di lui in considerazione dei doni fatti al convento della Ver­gine SS. da me fondato; nondimeno l'anima sua non sarebbe potuta uscire dal Purgatorio prima che venis­se celebrata nella nuova casa la prima Messa. A tal notizia rimasi tanto commossa che quantunque desi­derassi di affrettare più che fosse possibile l'altra fon­dazione del convento di Toledo, partii immediatamen­te per Valladolid per sollecitarvi il compimento dell'e­dificio del convento. Un giorno mentre stavo a Medina del Campo pregando in una chiesa, nostro Signore mi disse che cercassi di affrettare l'apertura del convento di Valladolid, perchè l'anima di Mendoza era in preda ai più atroci tormenti. Me ne partii all'istante sebbene non fossi affatto preparata al viaggio, ed arrivata a Valladolid il giorno della festa di S. Lorenzo, chiamai immediatamente gli operai ed imposi loro di terminare nel più breve tempo i muri del chiostro; e siccome questo lavoro richiedeva anco­ra qualche settimana, pregai il Vescovo di permetter­mi l'erezione di una cappella provvisoria per uso delle suore che mi avevano colà accompagnata; il che aven­do ottenuto, appena compiuta la cappella, vi feci su­bito celebrar la Messa, e con mia gran gioia e sor­presa, mentre mi mossi per andare all'altare a ricevere la S. Comunione, vidi l'anima del nostro benefattore, il quale a mani giunte e col viso splendente, ringra­ziandomi di quanto io aveva fatto per liberarlo dal Purgatorio, se ne saliva al cielo ».

Da ciò si può argomentare con quanta bontà ed amore Iddio s'interessi delle povere anime del Purga­torio. Queste amorose premure di colui che un giorno sarà nostro giudice ci spronino a pregar molto per quelle care sofferenti, affinchè con questo mezzo ci si prepari un giudizio favorevole quando verrà l'ora su­prema in cui dovremo comparire al tribunale di Dio e sperimentar forse i rigori della sua giustizia, poiché allora saranno felici i misericordiosi, perché sarà loro usata misericordia: Beati misericordes, quoniam ipsi misericordiam consequentur (Matth., 5, 7).

 

CAPITOLO XI

CHIESA TRIONFANTE E CHIESA PURGANTE

Assistenza degli Angeli

Bello e ammirando spettacolo è quello della comunione dei Santi, in forza della quale la Chiesa catto­lica non rimane limitata sulla terra, ma ha confini sterminati ed immensi, e invece dei tanti milioni di anime sparse sulla superficie del globo conta milio­ni e miliardi di generazioni, poichè tutti coloro che dal principio del mondo fino ad oggi sono morti in essa comunione e nell'esercizio della carità, sono abi­tatori di questa immensa regione, o siano in cielo glo­riosi, o penanti in Purgatorio, o viatori su questa ter­ra. Tutte queste anime formano una sola e grande famiglia, nella quale tutto è posto in fraterna comu­nanza, le gioie e le pene, i trionfi de' Santi, le soffe­renze. del Purgatorio, le prove dei mortali; e mentre noi in mezzo alle amarezze della vita ci rallegriamo: della gloria dei beati e compatiamo le anime purganti, da parte loro i Santi che ci han preceduto nel sog­giorno della felicità si commuovono al pensiero dei pe­ricoli fra i quali viviamo, e quando dall'alto dei cieli abbassano i loro sguardi sulle desolate regioni del Purgatorio mirano laggiù con dolore altri fratelli la cui eterna beatitudine, sebbene assicurata, è però pre­ceduta da indicibili patimenti. Le anime poi del Pur­gatorio partecipano esse pure a queste gioie della co­munione fraterna, e come si sentono penetrate dalla più viva riconoscenza per i loro benefattori di questa terra, così quando in mezzo alle fiamme che le tor­mentano sollevano gli occhi verso quelle sedi beate che le attendono, vedendo altri che più fortunati e più fedeli di loro sono già in possesso della gloria si ria­nimano di speranza, perchè sanno d'avere lassù pres­so Dio intercessori ed amici. Questi rapporti così in­timi e dolci che la comunione dei Santi stabilisce fra le anime del Purgatorio e gli abitatori del cielo e della terra, formeranno argomento delle nostre considera­zioni.

Innanzi tutto parliamo degli angeli, i quali sebbene non siano come i Santi in comunione propriamente detta colle anime del Purgatorio, hanno tuttavia con loro frequentissime relazioni. Infatti, dice il P. Faber, le anime purganti sono destinate a riempire nei cori angelici il vuoto spaventevole prodotto dalla caduta di Lucifero e de' suoi compagni. Oltre di che un gran numero di angeli hanno nel Purgatorio interessi spe­ciali, poichè migliaia e milioni di quelle anime essen­do state affidate da Dio alla loro tutela, considerano la loro missione non ancora compiuta, finchè non le abbiano condotte alla celeste Gerusalemme. Intieri cori di angeli hanno poi interesse per altre anime, sia perchè queste debbono finalmente riunirsi a loro, sia perchè ebbero per essi una divozione particolare (Tutto per Gesù, capo 9).

La liturgia della festa dell'Arcangelo S. Michele ci dice che Egli è stato destinato da Dio a ricevere le ani­me quand'escono di vita per condurle al cielo. Ar­changele Micheel, constitui te principem super omnes animas suscipiendas (3° At. De Laud.). Cui tradidit Deus animas Sanctorum, ut perducat eas in paradi­summ exultationis (5° Respons. rnatut,). Perciò S. Mi­chele è come il principe di quel regno del dolore, e siccome ha grande compassione di quelle anime, in­tercede di continuo per loro: Cujus aratio perducit ad legna coelorum (4° Respons. matutin.).

Quanto poi all'interesse che i santi angeli custodi prendono per quelle anime che furori da loro protette in vita, santa Francesca Romana che ha ricevuto a tal proposito molti lumi utilissimi, dice così: «Quando un uomo muore, il suo angelo custode a seconda del merito conduce l'anima nella regione inferiore del Purgatorio, e si pone alla destra di lei, mentre il de­monio le si colloca alla sinistra. L'angelo presenta a Dio le preghiere che vengono innalzate a lui per quel­l'anuria e ne intercede l'abbreviazione della pena, mentre il demonio per ordine di Lucifero è tormentato in modo tutto speciale in punizione di non aver sa­puto condurre quell'anima all'Inferno. Uno poi dei più grandi patimenti di questa è di aver sempre sot­t'occhio l'orribile vista dello spirito malvagio e di sen­tirsi da lui rinfacciare le colpe commesse e la debolez­za avuta nel porgere ascolto alle sue tentazioni. Ter­minato il tempo della espiazione nel Purgatorio inferiore, l'anima risale alla regione media, e allora il demonio la lascia per ritornare fra i suoi pari, i quali lo rimproverano aspramente della sua negligenza e imperizia » (Vita sanctae Franciscae apud Boll. Mart.).

Da ciò si vede che cosa questa Santa pensasse so­pra la questione tanto agitata dai teologi, se cioè i demoni abbiano potere di tormentare le anime del Pur­gatorio e di esercitare sopra di loro violenze dirette essa opina che quelle anime nulla abbiano a soffrire dai malvagi spiriti, tranne le rampogne e le ingiurie di cui abbiamo parlato, non essendo a questi permes­so di tormentarle materialmente in Purgatorio, men­tre invece gli angeli custodi scendono in quel baratro per visitare e consolare le loro protette, e incapaci co­me sono di meritare da per se stessi, e non potendo quindi come noi soddisfare i debiti di quelle meschi­ne, le visitano, le consolano e fanno loro da interme­diari fra il cielo e la terra. Nella lunga visita che santa Maria Maddalena de' Pazzi fece in Purgatorio, allor­chè arrivò alla prigione di coloro che peccarono per ignoranza o per debolezza, vide star loro vicini gli angeli custodi a consolarli. Altrettanto accadde a san­ta Maria M. Alacoque, la quale in una delle malattie straordinarie che la tormentarono ebbe un giorno la visita del suo angelo custode, il quale invitatala a re­carsi con lui in Purgatorio, la condusse in un luogo vastissimo, tutto pieno di fiamme e di carboni ardenti, nel quale le fece vedere una gran quantità di anime sotto forma umana sollevanti in alto le braccia per implorare misericordia, mentre avevano accanto i loro angeli custodi che le consolavano con parole affettuo­sissime.

Queste rivelazioni sono in pieno accordo con gl'in­segnamenti della teologia e con quelli della maggior parte dei dottori, i quali affermano che tali angeli cu­stodi introducono le anime nel Purgatorio e le metto­no in comunicazione con noi ispirandoci di pregare per esse e facendo poi loro conoscere chi caritatevol­mente le suffragò; e quando è finito il tempo dell'e­spiazione, le conducono al cielo e vengono talvolta ad annunziare a noi la loro liberazione. Le stesse cose attestano molte rivelazioni e vite dei Santi, di modo che non è a dubitare che questi angeli benedetti stano gl'intermediari naturali fra il Purgatorio e la terra. - Ma oltre a ciò vi sono gli angeli che fanno da in­termediari fra il cielo e il Purgatorio. Vedemmo già com'ersi offrono a Dio i suffragi che da noi si fanno pei defunti, e come apportano a questi i sollievi che Iddio misericordiosamente loro concede. Ogni volta poi che nostro Signore o la Vergine santissima si de­gnano di scendere in quel luogo di pena, sono accom­pagnati dagli angeli, i quali col loro splendore e colla loro presenza recano non poco sollievo a quelle ani­me. E non è a meravigliarsi di ciò, se si pensi che queste sono destinate a far parte un giorno dei cori angelici e cantare insieme con essi le lodi del Signo­re. D'altro lato se mentre quelle anime erano viatrici sulla terra gli angeli non isdegnarono di accompa­gnarle e difenderle di continuo, perchè non dovrà es­sere altrettanto in quel luogo di pena?

Per mostrarci fino a qual punto arriva l'interesse che gli angeli prendono per il Purgatorio, il Rossignoli riferisce che nel monastero domenicano di santa Caterina in Napoli, essendovi il pio costume di reci­tare ogni sera innanzi di coricarsi il Vespro de' morti, affinchè prima di dar riposo al corpo si recasse qual­che sollievo a quelle povere anime, ed essendo acca­duto una volta che in seguito ad un lungo lavora so­stenuto nella giornata le suore stanche omettessero questa pia pratica, uno stuolo di angeli discesi dal cielo si pose a recitare nel coro del monastero il solito Ufficio, onde quelle anime non fossero defraudate di quel suffragio.

 

I Santi e le anime del Purgatorio

Non è da escludere, anzi molte rivelazioni dimo­strano che ai Santi del Paradiso sia concesso di inter­cedere per le anime purganti, specialmente se in vita furono devote di loro. Ciò naturalmente in virtù della Comunione dei Santi, per cui è forte il vincolo che lega i Santi del Cielo alla Chiesa purgante.

I fondatori d'Ordini, conservando sempre per quelli che furono loro figli l'affetto di padri tenerissimi, non mancano delle più amorose cure per ottenerne la libe­razione quando li veggono condannati fra quelle fiam­me. S. Filippo Neri fu visto dopo morte circondato da uno stuolo di religiosi della sua congregazione che erano stati tutti salvati da lui. S. Francesco d'Assisi promise ai suoi frati di scendere in Purgatorio, dopo la loro morte, per liberarli, purchè fossero stati fedeli osservanti della regola, e in ispecie della santa povertà. Nostro Signore stesso lo aveva privilegiato di que­sto dono, e un gran numero di fatti che si leggono nelle Cronache dei Minori ci confermano questa no­tizia.

Un altro prìvilegio che vediamo riservato a non po­chi Santi è quello di poter liberare molte anime nel giorno del loro ingresso in Paradiso, il che ci è atte­stato in modo speciale dal fatto di frate Egidio, uno dei primi dodici discepoli di S. Francesco, il quale nel giorno in cui morì ebbe dal Signore, in compenso delle sue virtù, la grazia di liberare la maggior parte delle anime che si trovavano in quel momento in Pur­gatorio, e portarle con sè in cielo (Vita B. AEgidii apud Boll.). Lo stesso si legge di S. Giovanni di Nivelle, canonico della cattedrale di Liegi nel Belgio; anzi ri­ferisco qui i particolari del fatto perchè mi sembrano importantissimi (Catimpé, Apum, lib. II, c. 3t, n. 5). Un sacro oratore pieno di zelo e carità, mentre un portiamo qui i particolari del fatto perchè ci sembrano da una donna nota pei suoi cattivi costumi, la quale sciogliendosi in lacrime, ad alta voce gridava: - Pa­dre, confessatemi, confessatemi. - Fra lo stupore ge­nerale del popolo il predicatore la esortò a calmarsi e ad attendere la fine della predica; tacque ella infatti, ma dopo pochi istanti ecco tornar di nuovo ad escla­mare: - Abbiate pietà di me disgraziata peccatrice e concedetemi l'assoluzione de' miei enormi peccati.

Impostole nuovamente silenzio, ella sedette, ma poco dopo: esclamò: - Non tardate, Padre mio, ve ne supplico; il dolore de' miei peccati mi dilania ed io me ne muoio. - Ed in così dire cadde stesa sul pavimento e spirò. Il predicatore desolato e pentito per non aver dato ascolto immantinente a quell'infelice, esortò i suoi uditori stupefatti ad unirsi a lui in pre­ghiera per scongiurare la divina misericordia ad aver pietà di quell'anima ed a fargli conoscere in quale stato si trovasse all'altro mondo. Ed avendo egli a tal fine digiunato per tre giorni continui, in capo alla terza notte la defunta gli apparve col volto luminoso e sorridente, dicendogli: - Io sono la peccatrice morta in chiesa, per la quale tu hai pregato e fatto pregare, e me ne vado ora libera dalle pene che mi era meritate per le mie innumerevoli colpe, perché essendo oggi passato di vita il servo di Dio Giovanni Nivelle, canonico di Liegi, il Signore gli ha concesso la grazia di poter liberare dopo morte molte anime del Purgatorio, fra le quali io pure sono stata compresa. - Il predicatore affrettatosi a scrivere a Liegi per as­sicurasi della verità del fatto, seppe dai canonici di quella cattedrale che precisamente in quel giorno, in cui aveva detto la defunta, era spirato il servo di Dio Giovanni di Nivelle.

 

La protezione della Vergine SS.

Circa la protezione che la santissima Vergine eser­cita su quelle anime, basti dire che ella stessa di­chiarò un giorno a S. Brigida di essere la regina e la madre di tutti coloro che si trovano nel luogo di espia­zione, e che le sue preghiere ne mitigano assai le pene; Molti esempi ci attestano l'efficacia di tal protezione, ma avendone già in vari luoghi citati parecchi, ci limiteremo qui a riferirne due soli.

Leggiamo nelle rivelazioni de' Santi che il sabato, giorno dedicato alla Vergine, è giorno di festa spe­ciale nel Purgatorio, perchè in esso la Madre di mi­sericordia scende in quel carcere penoso a visitare e consolare i suoi servi devoti. In virtù del privilegio della Bolla Sabatina tutti quelli che in vita han por­tato lo scapolare della Vergine e adempiuto certe con­dizioni di cui parleremo in altro luogo, sono liberati dalle fiamme espiatrici il primo sabato dopo la loro morte. Ebbene, la venerabile suor Paola di S. Teresa, religiosa domenicana, racconta che essendo stata in giorno di sabato rapita in estasi e trasportata in Pur­gatorio, fu sorpresa nel vedere questo carcere trasfor­mato in un paradiso di delizie, con una luce sfolgo­rante nel centro in luogo delle folte tenebre che abi­tualmente lo riempiono, e mentre meravigliavasi di tanto spettacolo, vide la Vergine circondata da uno stuolo numeroso di angeli, a ciascuno dei quali ordi­nava di liberare quelle anime che in vita erano state particolarmente devote di lei, e di condurle in cielo.

Ora se tanto accade nei semplici sabati consacrati alla Vergine, che cosa mai avverrà nelle sue feste prin­cipali? Queste sono le vere feste del Purgatorio; prirna e più splendida fra le quali, secondo i pii scrittori, è quella dell'Assunzione di Maria SS.ma al cielo. S. Pier Damiani attesta che ogni anno in questo giorno la Vergine libera migliaia d'anime, e lo prova col rac­conto autentico della seguente visione. - Essendo pio uso del popolo romano a' suoi tempi di visitare le chiese con ceri in mano nella notte della vigilia del­l'Assunta, accadde un anno che una nobil dama, men­tre stava inginocchiata nella basilica di santa Maria in Araceeli sul Campidoglio, con gran sorpresa vide comparirsi innanzi una donna da lei molto conosciuta e morta in quello stesso anno. Volle attenderla alla porta della chiesa per esser chiarita dello strano fatto, ed allorchè la vide uscire, presala per mano e trattala in disparte, le domandò: - Non siete voi forse la mia madrina Marozia che mi tenne al fonte battesimale? - Sì, rispose la defunta, son proprio lei. - E com'è che vi trovate ora fra i vivi, se moriste già da diversi mesi? e che mai vi accadde nell'altra vita? - Fino ad oggi, rispose l'anima, son rimasta immersa in un fuo­co cocentissimo in pena di tanti peccati di vanità da me commessi in gioventù, ma in occasione di questa gran solennità, la Regina del cielo essendo discesa in mezzo alle fiamme del Purgatorio, mi ha liberata in­sieme a molte anime, onde entrassimo in cielo nel gioino stesso della sua Assunzione. Ogni anno la di­vina Signora rinnova questo miracolo di misericordia, e il numero delle anime che ella libera in tal modo è circa quanto quello della popolazione di Roma (in quell'epoca Roma contava quasi duecento mila abi­tanti). In riconoscenza di questa grazia noi ci rechia­mo in questa notte nei santuari a lei consacrati. Che se i vostri occhi vedono me sola, sappiate invece che noi siamo in gran moltitudine. - E vedendo che la dama restava attonita e dubbiosa, soggiunse: - In prova della verità di quanto ho detto vi annunzio che voi stessa morrete di qui ad un anno in questa stessa festa, scorso il qual termine, se non sarete passata di questa vita, ritenete quanto vi ho detto come una illu­sione. - S. Pier Damiani riferisce che la pia dama, dopo un anno passato nell'esercizio di molte virtù per prepararsi degnamente alla morte, caduta malata nel­l'antivigilia dell'Assunta, passò di questa vita nel giorno stesso della festa, come le era stato predetto. - Molti altri scrittori, come Gersone, Teofilo, Rey­naud, Rossignoli, Liguori Faber confermano questa pia credenza, la quale è basata sopra un gran numero di rivelazioni particolari, ed è appunto per questo che in Roma la chiesa di S. Maria in Montorio, dove ri­siede l'arciconfraternita del Suffragio è dedicata alla Assunzione di Maria Vergine.

E così la Chiesa celeste, capitanata dalla sua guarda amorevolmente la purgante, la soccorre, la consola e l'aiuta ad entrare più presto in possesso del­la gloria eterna. Dolce e consolante fraternità delle anime, prerogativa divina della Chiesa cattolica, la quale facendo considerar tutti come membri di una stessa famiglia, o sia che si trovino viatori su questa terra, o sofferenti nel Purgatorio, o coronati nel cielo, li rende figli di uno stesso Padre, bramosi di trovarsi un giorno assisi alla mensa celeste di lui.

 

CAPITOLO XII

LE ANIME DEL PURGATORIO E LA CHIESA MILITANTE

Le apparizioni dei morti

Considerate le relazioni fra la Chiesa trionfante e le anime del Purgatorio, ci resta da prendere in esame le relazioni che passano fra queste e la Chiesa mili­tante. E prima di tutto ci domandiamo se le anime dei trapassati possano o no manifestarsi ai viventi.

L'anima separata non può manifestarsi ai viventi e parlare con loro, semplicemente perchè non ha nessun potere nella materia corporea. Tuttavia Iddio può per­mettere che, per puro miracolo, le anime dei trapassati si manifestino ai viventi, per un fine utile e principal­mente per manifestare qualche verità (Confr. Tanque­rey : Synopsis Theol. Dogm. Vol. III - De Novissi­mis).

Tralasciamo di fermarci sull'aspetto speculativo del­la questione per passare all'aspetto pratico, afferman­do senz'altro che apparizioni di anime si sono avute, nel corso dei secoli. Abbiamo dalla nostra parte il consenso unanime di tutti i popoli, si hanno fatti an­tichi e recenti scientificamente inoppugnabili, e si hanno le rivelazioni avute dai Santi.

In ordine al nostro lavoro solo queste ultime ci in­teressano, e quindi citiamo senz'altro quanto accadde, in proposito, più di una volta, a S. Tommaso d'Aqui­no, testimone superiore a qualsiasi sospetto. Mentr'egli era lettore di S. Teologia nell'Università di Parigi, vide un giorno comparirsi davanti l'anima di sua sorella morta in quei dì nel convento di Capua dov'era Abbadessa, manifestandogli di soffrire atroce­mente per alcune mancanze commesse contro la rego­la, e raccomandandosi alle preghiere di lui. Il Santo le promise che lo avrebbe fatto; e mantenne la paro­la. Qualche tempo dopo essendo stato inviato a Roma da' suoi superiori, vide apparire di nuovo quell'ani­ma a lui cara non più penante come la prima volta, ma sfolgorante di gloria, la quale ringraziandolo dei suffragi da lui fatti, gli annunziò che questi avevano affrettata la sua liberazione. Il Santo avendo voluto in quell'occasione interrogare la defunta sullo stato di due suoi fratelli morti poco tempo prima, essa gli ri­spose che Arnoldo era già in cielo in un alto grado di gloria, per aver difeso la Chiesa e il Pontefice con­tro le empie aggressioni dell'imperatore Federico, ma che Ludolfo trovavasi ancora in Purgatorio, dove molto soffriva perché niuno pensava a suffragarlo. Soggiunse poi: - A te, mio caro fratello, è prepa­rato un gran bel posto in Paradiso in premio di quan­to hai fatto e lavorato per la Chiesa. Affrettati però di dar l'ultima mano ai tuoi lavori, perchè fra poco do­virai venire a raggiungerci. - Questa predizione non tardò molto a verificarsi. Poiché sappiamo dalla sto­ria che il Santo poco tempo dopo mori. - Un'altra volta lo stesso Santo, stando in orazione nella chiesa di S. Domenico a Napoli, vide venirsi davanti frà Ro­mano, religioso del suo Ordine, che gli era succeduto a Parigi nel posto di lettore di teologia. Il Santo che ne ignorava la morte, credendo che fosse giunto colà dalla Francia, gli domandò notizie della sua salute e i motivi del suo viaggio. Ma quegli sorridendo gli rispose che non si trovava più sulla terra, e che morto improvvisamente, dopo aver passato quindici giorni in Purgatorio, si trovava ora per misericordia di Dio in possesso della gloria celeste, e che veniva per or­dine del Signore ad incoraggiarlo nei suoi lavori. Avendogli allora domandato Tommaso se si trovasse in istato di grazia: - Si, fratel mio, rispose il defun­to, e sappi anzi che le tue opere sono a Dio molto accette. - Incoraggiato da questa nuova, il sommo teologo volle in quell'occasione indagare alcuni mi­steri della scienza sacra ed in particolare quello della visione beatifica, ma il defunto dopo avergli risposto col versetto del Salmo: Sicut audivimus, sic widinvus in civitate Dei nostri, disparve.

Un altro esempio d'epoca più recente, lo troviamo registrato nella vita del ven. Pinzeni, amico intimo di S. Carlo Borromeo e arciprete d'Arona. - Durante la famosa peste che mietè tante vittime nella diocesi di Milano, questo santo arciprete non contento delle immense fatiche sostenute per soccorrere gl'infelici as­saliti dal fiero morbo, arrivò persino a scavare da se stesso le fosse per seppellirvi i cadaveri che il timore e lo sgomento generale lasciava insepolti. Cessata quella calamità, mentre una sera passava vicino al cimitero in compagnia del governatore di Arona, fu al­l'improvviso colpito da una straordinaria visione, ds­servò una lunga fila di morti che uscendo dalle loro tombe s'incamminavano verso la chiesa. Non creden­do ai propri occhi si rivolse al suo compagno, il quale stupefatto, stava anch'egli rimirando lo stesso spetta­colo, ed avuta da lui assicurazione della realtà di quanto accadeva, ed accertato che fossero quelle le vittime della peste che in tal modo volevano far loro comprendere il bisogno che avevano di suffragi, dingendosi subito verso la parrocchia fece suonar le campane, e convocati i parrocchiani, per tutta la notte innalzò al cielo ferventi preghiere per quelle ani­me, facendo la mattina dipoi celebrare in loro suf­fragio una Messa solenne. - Questo fatto del quale furono spettatori personaggi, la cui elevatezza di spirito esclude ogni pericolo di illusione ci sembra più che sufficiente a comprovare la verità di quanto ab­biamo sopra asserito, che manifestazioni di anime si sono avute di fatto.

Ora dovremmo trattare del modo di queste appari­zioni, ed esporre le molte opinioni che si hanno dai dottori a questo proposito. Tratteremmo volentieri questo argomento se ci fosse dato di far della scienza anziché nelle chiacchiere, ma dal momento che ciò non è possibile, passiamo oltre chinandoci dinanzi ai segreti divini, tanto più che la questione è di nessuna importanza pratica. Conosciuto che Iddio può permet­tere alle anime dei trapassati di rivelarsi, siamo in possesso di una verità che ci interessa. Il modo di queste apparizioni, i mezzi di cui può servirsi Iddio, le circostanze intrinseche di queste apparizioni mede­sime, sono cose che non ci interessano affatto.

 

I morti e lo spiritismo

Mentre invece una cosa dobbiamo chiarire: se si possono evocare le anime dei trapassati mediante lo spiritismo.

Premettiamo che ai dì nostri lo spiritismo ha segna­to enormi regressi e grande luce si è fatta sulle cause naturali dei fenomeni così detti spiritici. « Il Padre Zacchi, il P. Thurston, il Mariatti, il P. De Heredia, il P. Mainage, lo Spesz e in parte il P. Roure e molti altri, tendono a spiegare i fenomeni medianici attraverso la teoria naturalistica. Gli spiriti e i morti, di­cono costoro, non hanno nulla a che fare con lo spi­ritismo. Moltissime delle manifestazioni medianiche sono effetto di forze latenti, sconosciute o ancora poco note alla scienza. Il P. De Heredia, gesuita, prospetta questa interpretazione, perchè è riuscito a riprodurre in condizioni normali, quasi tutti i fenomeni spiritici. Tale dottrina tende oggi a sostituire le altre due (del trucco completo e dell'intervento diabolico). Che se anche non riesce a spiegare tutti ì fenomeni, ha però buon fondamento scientifico ed è comprovata da molte esperienze » (Dott. R. Santilli, Spiritismo, Firenze, 1941, pag. 36).

Tuttavia, siccome siamo tuttora nel campo del mi­stero, alla domanda se siano le anime dei morti che si manifestano nelle sedute spiritiche, rispondiamo di no.

«Fino ad ora - scriveva ai suoi tempi il Prof. Mor­selli - è penoso a dirsi, ma lo spiritismo è stato un vero vampiro dell'umanità sofferente. Nonostante tut­te le sue nobili proposte di elevatezza morale, di soli­darietà, di teofilantropismo, di spiritualismo sociale ed etico ecc., esso non ha fatto che sfruttare il male e comprare o vendere il dolore » (Morselli, Spsicologia e Spiritismo, Torino 1908, vol. I, pag. 114).

Il Prof. Antonelli, dopo aver esposto una lunga serie di fatti spesso immorali, nefandi, empi, blasfe­mi, ridicoli, villani, si domanda se codesti fenomeni si possano mai attribuire alle anime dei trapassati. Lo stato dell'oltre tomba in questo caso non sarebbe mille volte peggiore dello stato di vita, perchè occu­pazione dell'anima, separata dal corpo, sarebbe l'in­ganno, il suggerire cattive dottrine, spingere al male, vessare i viventi, inveire contro la religione, volere un culto religioso satanico? » (Antonelli, Lo spiritismo, Roma 1907, pag. 145). E continua poi l'illustre au­tore: « La ragione inoltre ci persuade, che non pos­sono essere le anime dei morti, che prendono parte a tutte le puerilità ed empietà dello spiritismo; la ra­gione non può ammettere, che esse stiano sempre do­vunque a nostra disposizione, si sottomettano a sod­disfare la nostra curiosità e a produrre fenomeni spi­ritici. La nostra anima sente in sé qualche cosa, che la fa aspirare ad un bene stabile, che non è in questa vita, la nostra mente si agita in cerca di qualche cosa sublime, che appaghi la smania di sapere e la riempia di verità; il nostro cuore è fatto per amare, e nelle rivelazioni degli spiriti non trova che cose abiette, che il ridicolo, che la contradizione, l'empie­tà. Che il nostro spirito, liberato dall'involucro di carne, cui è unito in questo mondo materiale, debba purificarsi in successive vite, negli astri o in altri es­seri, compiendo una metempsicosi più ò meno lunga, e in questo tempo sia condannato al tormento degli altri e dell'altrui depravazione, è un pensiero che si ribella terribile alla nostra mente e al nostro cuore, che scuote e annienta le più belle e consolanti spe­ranze e aspirazioni della nostra coscienza, che ci ren­de migliore il non essere. Il nostro cuore non può contentarsi di un avvenire d'oltre tomba che avvilisce la dignità del nostro spirito, che ci rende cattivi, ma­ligni, pervertitori, che soffoca quanto di più nobile ed elevato vi ha nel nostro essere » (Idem, pag. 147)­

A tutto questo dobbiamo aggiungere, ed è impor­tantissimo, l'insegnamento della Tradizione cattolica, secondo la quale i morti non possono manifestarsi ai viventi, se non in seguito ad uno speciale permesso di Dio, e ciò è un vero miracolo, che non avviene che raramente e per fini nobili. Questo va detto per le anime dei beati, per le anime del Purgatorio e per quelle dei dannati. Che le anime dei beati, come quel­le del Purgatorio, si manifestino in sedute mediani­che, proibite dalla Chiesa; nelle quali si bestemmia Iddio, si oltraggia la verità e il pudore, si offendono i presenti, è cosa che in nessun modo possiamo am­mettere. Abbiamo veduto nei precedenti capitoli le apparizioni delle anime del Purgatorio e le circostan­ze che l'accompagnano, abbiamo passato in esame molte rivelazioni, che ci interessavano, ma non abbiamo trovato nulla che rassomigli, sia pur lontanamen­te, a quanto accade nelle tornate spiritiche.

E neanche possiamo concedere che siano i dannati a rispondere alle richieste dei mediums. Le vite dei Santi registrano veramente apparizioni di anime dan­nate: basta leggere la vita di S. Teresa, di S. Fran­cesca Romana, di S. Antonio, del venerabile Nicola de la Roche, di S. Bruno, fondatore dei Certosini. Quest'ultimo si convertì proprio in seguito all'appa­rizione di un dannato, mentre nella chiesa gli si fa­cevano le esequie. E sono caratterizzate, queste appa­rizioni, da fiamme, da tumulti, da bestemmie, da voci di terrore, da espressioni di odio e di vendetta. Tut­tavia dai dati che possediamo dobbiamo rilevare che Iddio le permette assai di rado e soltanto per fini su­periori, come son quelli di istruire, di correggere, di ammonire i viventi e di incamminarli, attraverso allo spavento, per la via della conversione.

Avviene spesso - scrive S. Tommaso, appog­giandosi all'autorità di S. Agostino e di S. Giovanni Crisostomo - che i demoni fingono di essere le anime dei morti, per confermare i pagani - e nel caso no­stro i cristiani dimentichi del loro carattere - nei loro errori e guadagnare la loro fede (S. Tommaso, P. r. Quest. 89,- a. 8 ad. a).

Soltanto per un miracolo i morti possono entrare in comunicazione coi vivi. Ora nessuno di noi vorrà am­mettere che Iddio si compiaccia di compiere altret­tanti miracoli quante sono le richieste del più capric­cioso dei mediums.

 

CAPITOLO XIII

I NOSTRI MORTI CI PROTEGGONO

Gratitudine

Essendo la gratitudine la virtù degli spiriti nobili, le anime del Purgatorio che sono sante, predestinate e future cittadine del ciclo, non possono non sentirla in grado sublime. Qualunque siano state le loro di­sposizioni quand'eran vive, dopo che l'eternità si è loro svelata, hanno perfezionato i sentimenti del cuore e, scevre da ogni bassezza terrena, non sanno più di­menticare i loro benefattori. È regola di giustizia che la gratitudine sia in rapporto al dono e al bisogno più o meno grande che se n'ebbe; ora qui trattandosi di un bene sommo, trattandosi di riunire a Dio quelle anime che hanno fame e sete di lui, e a queste di ottenere il possesso del loro Dio, l'ingresso nella cele­ste Gerusalemme; i gaudi di una eternità beata, è ine­stimabile il dono che noi veniamo a far loro, e quindi dalla grandezza di esso possiamo argomentare quanta sia la riconoscenza di quelle infelici verso di noi. Mo­strammo già in altro luogo come le anime purganti conoscendo fin da adesso i loro benefattori, preghino per essi; non staremo quindi a ripetere quanto dicem­mo, e solo convalideremo coi fatti le nostre asserzio­ni. - Leggesi nelle rivelazioni di S. Brigida (lib. IV, cap. 7) che un giorno in una visione ch'ella ebbe del Purgatorio, udì la voce d'un angelo che disceso in quel carcere a consolare le anime, ripeteva queste parole: - Sia benedetto colui che, vivendo ancora sulla terra, soccorre con orazioni e buone opere le anime purganti, poichè la giustizia di Dio esige che senza l'aiuto dei viventi siano queste necessariamente puri­ficate nel fuoco. - Nello stesso tempo dalle profon­dità dell'abisso intese salire un coro di voci suppli­chevoli che dicevano: - O Cristo, giudice giustissi­mo, in nome della tua infinita misericordia non guar­dare ai nostri falli, che sono senza numero, ma ai me­riti infiniti della tua preziosissima passione, ed infon­di, te ne preghiamo, nel cuore del clero sentimenti di vera carità, onde per le sue preghiere, mortificazioni, elemosine ed indulgenze applicabili in nostro suffra­gio, siamo soccorse nei nostri estremi bisogni. - Ed altre voci facendo eco a queste supplicazioni diceva­no: - Grazie siano rese a coloro che ci apportano sollievo nelle nostre sventure; la vostra potenza è in­finita, o Signore: renda il centuplo ai nostri benefat­tori, che ci conducono più presto nel soggiorno della vostra luce divina. - Anche alla Madre Francesca del SS. Sacramento vedemmo come apparissero anime per testimoniarle la loro gratitudine ed assicurarla della loro protezione, ed in molte altre rivelazioni da noi citate abbiamo scorto come esse esercitino in alto grado la virtù della riconoscenza.

 

Favori temporali e spirituali

Vediamo ora più particolarmente come i nostri morti ci proteggano sia nell'ordine temporale, sia nello spirituale. Numerosissimi sarebbero gli esempi che potremmo addurre, ma ci limiteremo solo ad alcuni pochi che ci sono sembrati più incontestabilmente provati.

Nel 1649 un celebre libraio di Colonia, Guglielmo Freyssen, per aver fatto voto di distribuire gratuita­mente cento copie di un libro sulle anime del Purga­torio ebbe salvo un bambino assalito da gravissima malattia, e poco dopo la moglie ch'erasi ridotta in fin di vita (Puteus Delunct. lib. V, art. 9). - A Parigi nell'anno 1817 una povera serva, educata cristianamente nel suo villaggio, aveva il pio costume di far celebrare ogni mese co' suoi tenui risparmi una Messa di requie per le anime del Purgatorio, assistendo per­sonalmente al divin Sacrificio e unendo le sue alle preghiere del sacerdote per meglio ottenere la libera­zione dell'anima che più ne avesse bisogno. Colpita da lunga malattia e licenziata dai padroni non ebbe più denari per soddisfare al suo pio desiderio. Il gior­no in cui potè uscire dall'ospedale non aveva più che venti soldi. Si raccomandò fiduciosamente al Signore, e postasi in giro per trovare servizio, avendo inteso parlare di un'agenzia che s'incaricava di collocare la servitù, là si diresse, allorchè nel passare dinanzi ad una chiesa si ricordò che in quel mese non aveva fatto celebrare la Messa consueta. Ma non possedendo più che venti soldi rimase in forse se doveva privarsene ò no: finalmente vinse in lei la pietà, ed entrata, fece celebrare il santo Sacrificio, al quale assistette con gran fervore, raccomandandosi alla provvidenza di Dio perchè non l'abbandonasse. Uscita indi di chiesa e preoccupata ed afflitta pel suo misero stato, prose­guiva il cammino, quand'ecco farlesi incontro un gio­vane alto, pallido e di nobile aspetto, il quale avvi­cinandosi a lei le dice: - Voi cercate servizio, non è vero? - Sì, mio signore, rispose la donna. - Eb­bene, andate in via tale, numero tale, presso la si­gnora tale, e credo che troverete da collocarvi. - E disparve dileguandosi tra la folla senza lasciar tempo alla povera donna di ringraziarlo. Questa allora si diresse subito nel luogo indicatole, e nel salire le scale vide discendere brontolando una domestica con un involto sotto il braccio. Le domandò se la signora fosse in casa, ma quella rispose brusca­mente che non voleva saperne di nulla, e che se la padrona avesse voluto riceverla avrebbe aperta la por­ta da sè, perchè essa appunto in quel momento aveva lasciato il suo servizio. La nostra domestica si fece allora coraggio e bussò alla porta indicatale dal gio­vane. La venne a ricevere una signora di aspetto no­bile e venerando, alla quale la ragazza espose l'acca­duto. Molte meraviglie fece la signora, non sapendo chi mai avesse potuto dare il suo indirizzo alla ragaz­za, dal momento che soltanto allora aveva cacciato la cameriera, in seguito ad insolenza ed a cattiva con­dotta. E mentre si stupiva di sentire che un giovane, sconosciuto ad ambedue, glie l'avesse in quell'occa­sione diretta, la ragazza, sollevando gli occhi verso un mobile e scorgendovi sopra un ritratto, s'alzò in piedi e disse: - Ecco, o signora, il giovane che mi ha parlato, e per parte del quale io vengo. - A tale assicurazione la gentildonna gettando un grido cadde priva di sensi. Appena ritornata in sè, slanciatasi al collo della povera giovane donna, ed abbracciandola con effusione le disse: - Fin da questo momento io ti considero non già come mia serva, ma come fi­gliuola carissima, poiché è stato mio figlio che perdei da due anni e che senza dubbio deve a te la sua libe­razione. Sii adunque la benvenuta, e resta nella mia casa dove insieme pregheremo sempre per tutti coloro che soffrono prima d'entrare nella patria beata! -

Il P. Magnanti, uno dei più fedeli discepoli di san Filippo, divotissimo delle anime del Purgatorio, fra tanti altri favori straordinari da queste ottenuti ebbe anche quello d'esser liberato dagli assassini mentre ritornava da un pellegrinaggio al Santuario di Lo­reto. Infatti attraversando un folto bosco, incappò nelle mani di questi, e legato ad un albero stava per essere ucciso, quando apparirono sulla sommità della vicina montagna due fanciulli sconosciuti, i quali con alte grida pareva volessero chiamare gli abitanti dei luoghi vicini in soccorso dell'assalito. I briganti che erano in numero di dodici non si sgomentarono per ciò e scaricarono contro i fanciulli le armi, ma questi continuando sempre a gridare s'avanzarono verso il P. Magnanti. A tale vista i malfattori presi da terrore e riconoscendo nel fatto l'intervento divino, si diedero alla fuga. Intanto i due bambini appressatisi al pri­gioniero, lo sciolsero e sparvero quindi all'istante. Il buon Padre rimasto libero ringraziò di cuore, le anime purganti, che con evidente miracolo l'avean così assi­stito in quel frangente, e da quel giorno in poi rad­doppiò le preghiere ed i suffragi a vantaggio di quelle infelici.

Un bravo soldato ebbe a scampare da certa morte per la protezione delle anime del Purgatorio nel modo seguente. Viveva egli in uno di quei periodi disastrosi del medio evo, nei quali la violenza e la discordia dominando sovrane nelle italiche città, spesso si vede­va scorrere in queste il sangue fraterno. In mezzo a quelle lotte però aveva sempre serbato la pietà ed i buoni costumi imparati da fanciullo, e devotissimo delle anime purganti s'era prefisso di non passar mai dinanzi ad un cimitero senza soffermarvisi a pregare. Un giorno essendosi allontanato alquanto dalla città, una turma di nemici gli si scagliò improvvisamente addosso. Datosi allora alla fuga e correndo per la campagna, arrivò ai piedi d'una muraglia, superata la quale si preparava a continuare la corsa, quando s'av­vide di trovarsi nel recinto di un cimitero. Gli venne allora alla mente il pensiero del voto fatto, ed avrebbe voluto inginocchiarsi a pregare, ma un solo istante ch'ei si fosse fermato, sarebbe inevitabilmente perdu­to. Nondimeno fattosi animo si gettò in ginocchio ai piedi della croce ch'era nel mezzo del cimitero, e men­tre recitava il De profundis, sopraggiunsero i nemici, i quali vistolo in quell'atteggiamento e beffandolo co­me pazzo gli si precipitarono addosso per ucciderlo; ma oh prodigio! una turma di soldati sbuca fuori al­

l'improvviso circonda il devoto milite, lo difende valordamente e pone in fuga i suoi nemici. Così quegli rimasto salvo ringraziò le anime sante d'averlo libe­rato da sì imminente pericolo e raddoppiò la sua de­vozione verso di loro (Segala, Triumphus animarum, 3" parte).

Un altro fatto degno di nota è il seguente. Eusebio, duca di Sardegna, vissuto nel secolo XIII, aveva una tenera divozione per le anime del Purgatorio, e non contento di aiutarle con preghiere aveva assegnate le rendite di una delle sue città alla fondazione di pii istituti in suffragio di esse, la qual città veniva perciò chiamata Villadio, ossia città di Dio. Astorgio, re di Sicilia, principe infedele, risolvette d'impadronirsene, ed avendo un esercito di molto superiore a quello del duca di Sardegna non tardò molto ad ottenere quanto desiderava. Alla notizia fatale il pio Eusebio desolato per vedere in tal modo venir meno alle anime pur­ganti tanta sorgente di suffragi, si pose in marcia coi suoi soldati per tentar di riconquistar Villadio, sebbene le sue forze fossero troppo sproporzionate di fronte a quelle del nemico. Mentre però s'inoltrava per la campagna, ecco farglisi incontro una numerosa schiera vestita di bianco e con bianchi stendardi, la quale fermatasi d'un tratto, mandò innanzi gli araldi che gridarono ad alta voce: - Non temete, o fratelli, poichè noi siamo milizie del Re del cielo inviate in vostro soccorso. Chiamate il vostro principe perché venga a colloquio col nostro Duce. - Eusebio allora fattosi innanzi, dopo aver conferito e preso gli ordini del Duce celeste ed unite le schiere a quelle di lui, arrivò sotto le mura della città. Astorgio sgomentato dinanzi a tanto apparato di milizia, abbandonò immediafamente la città senza opporre resistenza veruna. Eusebio volle ringraziare di tanto favore il celeste Comandante, ma questi gli rispose che i suoi soldati erano anime del Purgatorio, liberate mercè i suffragi da lui fatti, che il Signore le aveva inviate per difen­derlo in quel frangente, e che continuasse quindi sem­pre a soccorrerle e fosse sicuro che quante anime li­bererebbe, altrettanti protettori avrebbe nel cielo (Ros­signoli).

Se vediamo le anime del Purgatorio tanto premurose nel soccorrerci nei nostri bisogni temporali, che cosa dovremo dire della sollecitudine con cui ci pro­teggono nell'ordine spirituale? Disgraziatamente, sic­come le necessità dell'anima sono meno visibili di quelle del corpo, ne risulta che molti di questi favori ci passano inosservati; non possiamo negare però che molte buone ispirazioni, molti santi pensieri li dob­biamo alle preghiere di esse. Nell'ora della tentazio­ne, ora terribile in cui soccombendo ci allontaniamo da Dio, in cui la caduta può essere il primo anello di una catena fatale che ci terrà un giorno legati nelle prigioni ardenti dell'Inferno, lo spirito nostro si trova esitante fra la vista del piacere promesso e l'incentivo al peccato; il cielo e la terra sono spettatori di questa lotta, e il divin Salvatore getta sopra di noi uno sguardo di tristezza, mentre il demonio esulta speran­do di guadagnare una preda. È quello un momento supremo che decide della vita o della morte di un'a­nima. Eppure non di rado questa trionfa, e arrivata sull'orlo del precipizio, se ne ritrae riportando una vittoria alla quale possono susseguirne tante altre che valgano a condurla in Paradiso. Ebbene, in quel mo­mento di esitazione spesso dal Purgatorio s'innalza a Dio l'umile preghiera di un'anima: De profundis cla­mavi ad te, Domine! la quale facendo scendere dal cielo la sovrabbondanza della grazia, arreca forza e vittoria al combattente. – Oh! quant'è mai ammira­bile il mistero della comunione dei Santi! Quale stu­pendo spettacolo, dice il conte De Maistre, è quello di vedere un'immensa città di anime, coi suoi tre or­dini, continuamente in rapporto fra loro e dove il mondo che combatte porge la mano a quello che sof­fre, ed afferra l'altra del mondo che trionfai. L'eter­nità dei secoli non basterebbe per ammirare quest'a­zione sublime che le anime esercitano scambievolmen­te in forza di sì bel vincolo. Specialmente nell'ora estrema della morte in cui la lotta è più accanita e decisiva, le anime del Purgatorio accorrono in soc­corso dei loro benefattori. Citammo altrove un fatto riportato a questo proposito dal Baronio; qui ne rife­riremo un altro ancor più strepitoso per le circostanze che lo accompagnano. (Segala, Triumphus animar., Il pars, cap. 22, n. I).

Nella Bretagna un fervente cattolico che fra le altre virtù aveva avuto quella di una grande carità verso i defunti, ammalatosi gravemente ricevette i conforti della religione. Il rettore della chiesa vicina, chia­mato per amministrarglieli, trovandosi in quel mo­mento impedito, inviò il suo vicario, il quale dopo aver adempiuto la sua missione, se ne tornava alla parrocchia, quando giunto presso l'attiguo cimitero, si sentì arrestato da una forza invisibile che gli impediva di muovere un sol passo. Guardò egli sgo­mentato intorno a sè, e vide dinanzi ai suoi occhi rinnovarsi un fatto simile alla visione d'Ezechiele; imperocchè la chiesa ch'egli poc'anzi ricordava d'aver lasciato chiusa, aveva le porte spalancate, i ceri arde­vano in fondo al santuario, ed una voce che partiva dall'altare gridava: - Ossa aride, ascoltate la parola del Signore. Sargete, o morti, e venite a pregare pel vostro benefattore or ora spirato. - Nello stesso tem­po un gran fracasso giunse ai suoi orecchi: le ossa s'agitavano in fondo alle tombe e si urtavano le une contro le altre con lugubre cadenza; uscirono indi i defunti dai sepolcri, e dispostisi processionalmente si avviarono al coro, dove seduti sugli stalli incomincia­rono con flebili voci a cantare l'Uffizio dei morti; fi­nito il quale rientrarono nelle loro tombe, i ceri del­l'altare si spensero e tutto cadde nel più profondo si­lenzio. Il vicario tutto tremante e spaventato corse a casa, e raccontato al parroco quanto aveva visto, que­sti rifiutò di credervi ascrivendo tutto ad effetto d'im­maginazione alterata, e soggiunse che almeno biso­gnava assicurarsi se il malato fosse realmente morto. Ma ben presto fu tolto di dubbio, poichè un messo venne ad arrecargli la nuova. Il vicario rimase cosa gommosso da questo fatto, che si ritirò nel monastero di S. Martino in Tours, di cui più tardi fu eletto priore per la vita santissima che vi menava, raccontando poi a tutti colle lacrime agli occhi a particolari di questa prodigiosa storia. - Nella vita poi di motti Santi si legge che al loro letto di morte accorsero anime ormai beate, liberate dal Purgatorio dalle loro preghiere, per condurli all'eterna beatitudine. - Aiutiamo quindi generosamente quelle infelici penanti colle nostre preghiere, con elemosine e con penitenze, ed allora saremo sicuri della loro assistenza efficace in vita ed in punto di morte.

 

CAPITOLO XIV

DOVERI CHE CI LEGANO AL PURGATORIO

I legati pii

Dopo aver visto quel che le anime del Purgatorio fanno per noi, parleremo in questo capitolo di quello che noi dobbiamo fare per loro. Talvolta, come in se­guito vedremo, è un semplice obbligo di carità quello che ci deve indurre a soccorrerle, talvolta invece sono rigorosi doveri di giustizia, specialmente verso certe anime, quelli che noi dobbiamo compiere, ed è di que­sti che ci accingiamo a trattare.

Non senza motivo l'autore dell'Imitazione di Cristo raccomanda ai fedeli di far molte opere soddisfattorie a vantaggio dell'anima propria durante la vita, senza, fidarsi troppo degli eredi che lascieranno in questo mondo, i quali se sono premurosissimi di entrare in possesso delle nostre sostanze, altrettanto sono gene­ralmente negligenti nell'eseguire le nostre volontà circa, le opere da noi destinate a sollievo dell'anima nostra. E' questo un fatto che esperimentiamo purtroppo giornalmente, quando vediamo famiglie che ereditarono un patrimonio talvolta ricchissimo mer­cariteggiare vergognosamente i pochi suffragi che il defunto si era riservato, ed ove l'insufficienza o l'a­stuzia della legge civile vi si presti, cercare ogni via per far dichiarare nullo il testamento, onde esonerarsi dall'obbligo di eseguire i pii legati lasciati dal defun­to. E' questa - lo sappiano bene le famiglie cristiane - una crudeltà delle più abbominevoli, e coloro che se ne rendono colpevoli verso i poveri defunti sono d'ordinario puniti da Dio con castighi severissimi. Allorchè ci meravigliamo di vedere sostanze vistosis­sime sfumare nelle mani di avidi eredi, riducendosi questi nella miseria, pensiamo che nel giorno in cui tutto ci sarà palese vedremo che la causa di tante ro­vine stava spesso nell'avarizia e nella durezza di cuore avuta da essi trascurando di soddisfare i legati lasciati dal defunto.

Racconta il Rossignoli (Meraviglia del Purgatorio, XXI) che a Milano una fertilissima proprietà essendo stata per intero distrutta dalla grandine, mentre quel­le vicine erano rimaste intatte, nessuno sapeva a che attribuire questo fatto, quando l'apparizione di un'a­nima del Purgatorio fece conoscere ch'era quello un giusto castigo inflitto da Dio a figli sconoscenti e cru­deli che non avevano eseguito la volontà dei defunti genitori. Le storie tutte riboccano di racconti nei quali si parla di case diroccate o rese inabitabili con gran detrimento dei proprietari, di terreni desolati dalla grandine, di bestiame decimato dal contagio, di sven­ture senza numero piombate sopra famiglie fino a ieri felici; e andando ad esaminare bene le cose, noi vi troveremo, non di rado, in fondo qualche obbligo non soddisfatto verso anime del Purgatorio abbandonate e che invano reclamarono i dovuti suffragi. - Specialmente poi nell'altro mondo la giustizia di Dio colpisce severamente i colpevoli detentori delle facoltà dei defunti. Ha detto lo Spirito Santo per bocca di S. Giacomo che un giudizio senza misericordia sarà riserbato a colui che non ha usato misericordia: ju­dicium sine misericordia illi qui non fecit rnisericor­diam (Tac. 2, 13). Qual rigore adunque di giustizia dovrà pesare su quei miserabili che per avarizia han­no lasciato penare le anime dei loro parenti per lungo tempo in Purgatorio, per non aver adempiuto le loro pie volontà?

Un episodio, impressionante e commovente ad un tempo; a proposito di sacrileghi detentori dei beni dei defunti, si legge nella vita di Rabano Mauro, scritta dal Triternio. - Rabano Mauro, che fu prima abate del celebre monastero di Fulda, e più tardi arcivesco­vo di Magonza, ardeva di carità e di zelo pei de­funti. Secondo le costituzioni dell'Ordine di S. Benedetto allorchè un monaco passa all'altra vita, per 30 - giorni continui vien distribuita la sua porzione di cibo ai poveri, in suffragio dell'anima sua. Or accadde che - nell'anno 830, avendo una pestilenza rapito moltissi­mi monaci, fra i quali un superiore, Rabano Mauro, fatto chiamare Edelardo, procuratore del monastero, lo incaricò di far distribuire ai poveri le solite razioni e gli raccomandò di non mancare, poichè Iddio lo avrebbe altrimenti punito severamente. Ma siccome anche nel chiostro trova albergo talvolta l'avarizia, Edelardo contravvenne agli ordini del superiore. Una sera in cui le soverchie faccende lo avevano costretto a vegliare oltre il tempo prescritto dalla regola, nel recarsi alla stanza da letto, attraversando la sala del Capitolo, vide con grande stupore l'Abate, circondato dai monaci, tenere adunanza. Avvicinatosi per accer­tarsi dello strano caso, trovò non già l'Abate vivente, ma il superiore defunto insieme con tutti gli altri mo­naci periti nella pestilenza, due dei quali, scesi dai loro stalli gli si fecero incontro e spogliatolo dei suoi abiti, dietro ordine del superiore lo disciplinarono aspramente, gridando: - Ricevi, o disgraziato, il ca­stigo della tua avarizia; e sappi che questo è nulla a paragone di quel che ti aspetta nell'altra vita. Tu scenderai fra tre giorni nella tomba, e tutti i suffragi che sarebbero dovuti all'anima tua saranno invece ap­plicati a coloro che la tua schifosa avarizia ha privato dei loro. - A mezzanotte quando i monaci scesero in coro per cantare mattutino avendo trovato Edelardo disteso in un lago di sangue e ricoperto di ferite, gli si fecero intorno e con ogni cura lo trasportarono al­l'infermeria; ma egli con voce morente disse: - Affrettatevi a chiamare il mio superiore, poichè ormai ho più bisogno dei rimedi spirituali che di quelli tempo­rali. Queste mie membra lacere e peste non guari­ranno mai più e mi accompagneranno fra breve al se­polcro. - Essendo indi sopraggiunto l'Abate, gli rac­contò in presenza dei confratelli il terribile avveni­mento, confermato dalla verità delle sue ferite, e tre giorni dopo, ricevuti i Sacramenti con viva contrizio­ne e pietà, passò di questa vita. Venne subito cantata la Messa di requie in suo suffragio, nonchè le altre trenta prescritte dalla regola, e per un mese intero fu esattamente distribuita ai poveri la sua porzione; in capo al qual tempo il defunto essendo comparso pal­lido e sfigurato a Rabano Mauro, questi gli chiese se si potesse far per lui qualche bene onde liberarlo da tanto soffrire. Ma quegli rispose: - O mio buon Pa­dre, vi ringrazio delle premure vostre e di quelle dei vostri monaci, ma vi annunzio che tutti i suffragi fatti per me fino ad ora non hanno giovato a liberarmi dalle mie pene, avendoli la divina giustizia applicati a quei miei confratelli che io vivendo privai dei loro. Vi supplico adunque di raddoppiare preghiere ed ele­mosine, affinchè dopo liberati essi, possa anch'io usci­re di questo carcere. - Essendosi allora continuato con più fervore da tutta quella comunità a pregare e a far elemosina per Edelardo, in capo al secondo mese ap­parve di nuovo tutto vestito di bianco e col volto sor­ridente, dicendo che la sua espiazione e quella dei suoi confratelli era compiuta, e che se ne saliva felicemente al cielo.

Ma non basta eseguire le pie volontà dei defunti, è necessario eseguirle prontamente e senza restrizioni.. Alcuni teologi hanno pensato che qualsiasi ritardo nell'esecuzione delle pie volontà dei defunti non do­vrebbe nuocere loro, dato che essi da parte loro hanno fatto tutto il possibile per assicurarsi i suffragi e che quindi non per colpa loro avviene il ritardo. Ma con­tro l'opinione di codesti teologi stanno le apparizioni delle anime, venute a lamentarsi coi vivi della negli­genza posta nel suffragarle. Dirà taluno che in que­sto caso dipenderebbe da noi prolungare il Purgatorio di un povero defunto, senza ch'egli ne abbia alcuna colpa. Così è, rispondiamo, ed appunto in ciò consiste il delitto di quegli avidi eredi che differiscono all'in­finito l'esecuzione dei pii legati: e questo è tanto più, vero in quanto che molte volte, i legati dal defunto stabiliti per l'anima sua non sono altro che restituzioni da lui dovute. La famiglia che lo ignora o vuole ignorarlo, ama meglio parlare di captazioni o di avi­dità clericali, e sotto tali pretesti fare annullare il te­stamento, mentre spessissimo si tratta di strette resti­tuzioni. Supponiamo che il moribondo abbia commes­so delle ingiustizie - cosa che accade ben di frequente anche fra le persone che agli occhi del mondo passano per onestissime - e che prima di comparire dinanzi a Dio, volendo riparare al mal fatto, e non volendo svelare ai figli o ai parenti il suo triste segreto, copra la sua restituzione coll'apparenza di un legato pio; che cosa avverrà di quell'anima se questo legato non sarà soddisfatto? Dovrà essere trattenuta per lunghis­simo tempo nel Purgatorio? Sarebbe cosa ben dura, è vero, ma moltissime anime apparse ci fan fede di questo fatto, assicurandoci che finchè la giustizia di Dio è lesa, non possono essere ammesse all'eterna beatitudine. D'altra parte essendo esse pure colpevoli di tanto ritardo nel soddisfare i debiti verso i loro cre­ditori, ai quali avrebbero dovuto far restituzione in vita, senza aspettare il momento in cui non rimarrebbe loro più tempo di farlo da sè, è giusto che talvolta Iddio si serva di queste nostre dimenticanze per pu­nirle adeguatamente. Se esse infatti soffrono, il povero prossimo offeso e pregiudicato da loro non ha sofferto e non soffre forse egli pure? Res clamat domino, e finchè la restituzione non sia compiuta, questo grido di lesa giustizia ripercuoterà sempre all'orecchio di quelle anime. Ci par dunque più sicuro attenersi al­l'assioma teologico, che cioè senza restituzione non vi è Paradiso.

 

Doveri verso i genitori e verso i figli

Dovere gravissimo è quello di suffragare i propri genitori. S. Elisabetta d'Ungheria, quando morì sua madre Geltrude, quantunque avesse fatte per lei lar­ghissime elemosine, mortificazioni e preghiere, se la vide una notte comparire col volto triste e smunto, e postasele ginocchioni dinanzi tutta piangente, dirle: - Figlia mia, figlia mia, ecco a' tuoi piedi la madre tua oppressa dal dolore: abbi compassione di lei. Io ti supplico di moltiplicare i tuoi suffragi onde la mi­sericordia divina mi liberi dagli spaventosi tormenti che soffro. Ahimè! quanto sono da compiangere co­loro che esercitano autorità sugli altri! Io sto ora du­ramente espiando i falli commessi quand'ero sul tro­no. In nome delle angoscie e dei dolori fra i quali ti ho messa al mondo, in nome delle veglie e delle fati­che sostenute per la tua educazione, ti scongiuro a fare il possibile per liberarmi da tanti tormenti! - S. Eli­sabetta, appena cessata la visione, si pose a pregare, a piangere e a flagellarsi così aspramente, che il suo corpo sfinito cadde in letargo, e mentre stava così so­pita, ecco comparirle riuovamente la madre vestita di bianco e col volto raggiante d'allegrezza, annunzian­dole che le preghiere da lei fatte in quel breve tempo le avevano schiuso le porte del cielo (Surio, 19 Nov., Vita S. Elisab.).

A S. Margherita da Cortona, che fu parimente generosissima verso i suoi genitori nell'offrire preghiere e mortificazioni, fu da Dio rivelato che il tempo della espiazione di essi era stato considerevolmente abbre­viato. - La venerabile Caterina Paluzzi quando per­dette il genitore passò otto intieri giorni in preghiere e macerazioni d'ogni sorta, in capo ai quali avendo fatto celebrare un servizio funebre e gran numero di Messe, rapita in estasi, fu dal divin Salvatore in com­pagnia di S. Caterina da Siena condotta in Purgato­rio, dove intese la voce lamentevole di suo padre, che tra mezzo alle fiamme la scongiurava ad aver pietà di lui e ad affrettare la sua liberazione. Presa da indici­bile angoscia, la Santa si volse a nostro Signore, e lo scongiurò ad aver misericordia di quell'anima, pre­gando anche S. Caterina ad intercedere per lei; ma ebbe in risposta che la giustizia doveva avere il suo corso. Allora ella s'offrì nella sua ammírabile carità a subire nel proprio corpo quel che restava ad espiarsi dal padre, e il Salvatore la esaudì, poichè l'anima dei padre volò dopo pochi istanti al cielo, mentre da quel momento in poi la vita di Caterina non fu altro che un lungo e continuato martirio (Vedi Diario Domeni­cano, 16 Ott.).

E perciò quando noi desideriamo conoscere la sorte toccata a coloro che abbiamo amato su questa terra, invece di alimentare questa curiosità che dispia­ce a Dio e che non giova per nulla a quelle povere anime faremmo molto meglio a pregare il Signore che le sollevi da quelle pene.

Dionigi Cartusiano racconta che quand'egli perdette il genitore, invece di pregare pel riposo di lui, si lasciò prendere dal desi­derio smodato di conoscere la sorte toccatagli, senza preoccuparsi di suffragarlo. Iddio, volendo riprender­lo di questo difetto, permise che una sera, durante la preghiera, una voce gli dicesse: - Perchè ti lasci ten­tare da tanto vana curiosità? Non sarebbe meglio che tu applicassi il merito delle tue orazioni in suffragio dell'anima del padre tuo, che soffre tra le fiamme del Purgatorio, piuttosto che cercar di sapere dove si tro­vi? - Ammaestrato da questo avviso Dionigi Cartu­siano si pose allora a pregare con fervore pel sollievo di suo padre, e la notte seguente vide, penare atroce­mente il defunto, mentre nel suo dolore gridava: - Ah! figlio mio, perchè mi hai così dimenticato? Abbi pietà del padre tuo, e soccorrimi con le tue preghiere. - Il religioso, tutto confuso per la sua negligenza, si pose a ripararla, e pregò finchè non seppe, per ri­velazione, della liberazione del padre.

Commovente, specialmente per un sacerdote, è quanto ci viene raccontato di Giovanni Rusbrock dai suoi biografi. Tra quanti ammiravano, per la sua sa­pienza, Rusbrock, ancora giovanissimo, si distingue­va la mamma di lui. Egli si era ritirato presso uno zio prete per essere addestrato nelle scienze umane, ma sapratutto nelle divine. « Sua madre, che non sapeva dove egli veramente fosse, lo apprese quando comin­ciò a diffondersi la fama della sua sapienza. Essa andò a Bruxelles, ma quando poté rinascere per via della virtù e della celebrità di suo figlio, non sospirò più per la sua presenza corporale... ». La donna en­trò in un ordine religioso, e dal chiostro continuò ad amare il figlio. Ma morì prima di avere raggiunto la perfezione. Rusbrock allora, nel suo amore filiale, aiutò l'anima di sua madre con preghiere quotidiane, « le quali non erano superflue perchè l'anima della morta ne aveva bisogno. Essa apparve parecchie volte a Rusbrock, domandando con voce lugubre, quanto fosse ancora lontano il giorno in cui egli sarebbe stato ordinato prete. Finalmente tale giorno arrivò. Rus­brock stava terminando la sua prima Messa, quando sua madre gli apparve ad annunziare la propria liberazione » (A. Cervesato, Giovanni Rusbrock, Torino 1936, pag. 32).

Se è stretto obbligo di giustizia pregare per i cari genitori defunti, è altrettanto doveroso per i genitori pregare pel riposo dei figli, dai quali sono stati preceduti nell'eternità. Se si amavano prima, tanto più si devono amare adesso. A che serviranno le lacrime e la disperazione di una madre o di un padre sconso­lato se non siano accompagnate da preghiere e suf­fragi per il figlio defunto? - Racconta Càtimpré che la sua nonna avendo perduto un figlio di grandi spe­ranze, piangeva giorno e notte sconsolatamente, sen­za pensare a pregare per l'anima del defunto che in mezzo alle fiamme del Purgatorio orribilmente soffri­va. Ma Dio avendo avuto pietà di lui, un giorno fece apparire in visione a quella desolata madre uno stuolo di giovani che si avviavano processionalmente verso una magnifica città. Ella guardò attentamente se fra ­essi vi fosse il suo caro figlio, ma ahimè! lo vide venire lontano lontano, solo, affaticato e colle vesti in­zuppate d'acqua. Richiestolo del perchè non prendes­se parte alla festa degli altri, rispose: - Le tue lacri­me, o madre mia, son quelle che ritardarono il mio cammino e macchiano così le mie vesti. Se è vero che mi ami, cessa una volta dal tuo sterile dolore, e sol­leva l'anima mia con preghiere, con' elemosine e con sacrifici. - Sparve la visione, e la pia donna, richia­mata a sentimenti più sublimi, si diè con tutto l'im­pegno ad ottenere la grazia della liberazione di quel­l'anima.

S. Elisabetta regina di Portogallo si mostrò molto più generosa verso sua figlia Costanza, la quale, dopo poco tempo da che erasi sposata al re di Castiglia, le fu da improvviso morbo rapita. Saputa l'infausta no­tizia, Elisabetta recavasi insieme con suo marito a Santarem, quando un eremita, correndo dietro il cor­teo reale, incominciò a gridare che voleva parlare ad Elisabetta. Venutole dinanzi, le raccontò come la re­gina Costanza gli fosse apparsa più volte e gli avesse confidato che era condannata ad un lungo e rigoroso purgatorio, dal quale sarebbe stata liberata in capo ad un anno, se ogni giorno fosse stata celebrata una Messa in suo suffragio. Elisabetta, d'accordo col suo sposo, fece quanto l'eremita aveva detto, e al termine di un anno le apparve Costanza vestita di bianco e raggiante di gloria, annunziandole che in forza delle Messe, da lei fatte celebrare, saliva in cielo, dove avrebbe sempe pregato per i suoi diletti genitori.

 

Per i sacerdoti defunti

Il dovere di suffragare coloro che maggiormente ci furono cari quaggiù in terra, ci richiama sul dovere che abbiamo di fare altrettanto per coloro che si pre­sero cura della nostra anima, i sacerdoti, i parroci, i direttori spirituali. In molte parrocchie si fanno ogni anno Uffizi e funzioni in suffragio dei Parroci defunti e dei sacerdoti che prestarono servizio in quella de­terminata chiesa: lodevole usanza, che dovrebbe es­sere introdotta in tutte le nostre chiese. Bella occa­sione sarebbe quella per ricordare ai fedeli le respon­sabilità che i sacerdoti, specialmente se addetti alla cura delle anime e alla direzione spirituale, si assumono, dinanzi a Dio, per le anime, e quindi l'obbligo di gratitudine e di giustizia di pregare per loro, una volta passati da questa all'altra vita. Forse le anime dei sacerdoti in Purgatorio sono le più dimenticate! Siano coloro che continuano la loro missione nel mondo, sacerdoti anch'essi, destinati alla medesima sorte, i primi a ricordarli coi loro suffragi, e ad inci­tare i fedeli a suffragarli. Non sarà piccolo il merito che si acquisteranno per quest'opera e grande la ricompensa che ne avranno nell'altra vita.

 

L'ordine delle nostre preghiere

Finalmente è dovere di giustizia pregare per tutti coloro che in un modo o in un altro si trovano in Purgatorio per causa nostra. Pensiamo che dirado il peccato è commesso nascostamente, e che il più delle volte esercita un'azione malefica su coloro che ne furono complici o testimoni! Ahimè! che gran male apporta lo scandalo! Quanta spaventevole responsabilità ap­porta ad un'anima! Eppure chi è fra di noi che possa dire di non aver mai commesso atto o pronunciata parola che non abbia fornito occasione di caduta a qualcuno de' suoi fratelli, il quale dovrà espiare la sua colpa o in questo mondo o nell'altro? Direte forse che non è sempre facile conoscere quali siano queste anime. Non importa: Dio le conosce, ed è nostro do­vere di avere ogni giorno un ricordo speciale di co­loro che debbono a noi la loro sorte sventurata.

E qui siamo spinti a dire poche parole sull'ordine che dobbiamo tenere nel ripartire i nostri suffragi in favore delle anime purganti, se vogliamo che a cia­scuna sia reso il suo. - In primo luogo, partendo da quell'assioma che nessuno ha diritto di mostrarsi li­berale se non ha prima cominciato dal liberar se stes­so dai suoi debiti, dobbiamo pensare a coloro ai quali siamo legati da obblighi speciali, e quindi per esem­pio, i sacerdoti, da quelli pei quali ricevettero incarico di celebrar Messe; gli eredi, da coloro che li hanno incaricati di soddisfare qualche pio legato. Dobbiamo quindi pensare ai pastori delle anime, ai sommi Pon­tefici, ai Vescovi, ai prelati, ai sacerdoti che ci am­ministrarono i Sacramenti e che furono istrumenti della nostra conversione, nonchè ai nostri parenti, pa­dre, madre, fratelli, sorelle, spose, figli, ed a tutti co­loro dai quali, abbiamo ricevuto educazione o confor­to quando vissero su questa terra. Dobbiamo poi ri­cordarci dei nostri benefattori, dei nostri amici e di tutti quelli che con un titolo qualunque ci hanno fatto del bene; e finalmente dobbiamo formare un'intenzio­ne generale per tutti coloro che si trovano in Purga­torio per cagion nostra, e questo non per devozione o liberalità, ma per stretto obbligo di giustizia.

Ciò facendo avremo reso a ciascuno il suo, avremo soddisfatto ogni nostro debito, ed allora potremo at­tendere fiduciosamente la sentenza che la giustizia di­vina pronunzierà a nostro carico, lieti di quanto è scritto nelle sacre pagine, che cioè le nostre azioni saranno misurate con la stessa misura con cui noi avremo misurata quella degli altri: Eadem mensura remetietu.r vobis (Matth., 7, s).

 

CAPITOLO XV

CARITA’ E SUFFRAGI

Doveri di carità

Abbiamo esposto i doveri di giustizia che ci legano alle anime del Purgatorio; adesso rimane da parlare dei doveri di carità, i quali devono impegnarci nella nostra crociata non meno dei doveri di giustizia.

In virtù della Comunione dei Santi le anime pur­ganti fanno parte, come noi, della grande famiglia di Cristo, e quindi sono nostri i loro interessi e nostre devono essere le loro pene. Il bisogno che esse hanno di noi è immenso, data la grandezza e la durata delle loro pene; i loro appelli alla nostra carità sono con­tinui, i mezzi a nostra disposizione per aiutarle sono enormi; da qui sorge per noi il dovere di venire in loro soccorso. In questo mondo, dinanzi alle disgrazie dei nostri fratelli tutti ci commoviamo, tutti corria­mo; la nostra sensibilità e la nostra coscienza ci spin­gono a soccorrere perfino i nemici; chi mai perciò po­trà rimanere insensibile dinanzi al martirio di milioni di nostri fratelli, martoriati in Purgatorio da pene im­mani, da fiamme accese dalla giustizia divina? A questo mondo le più atroci sofferenze durano poco, e quanto più sono vive tanto più sono corte: il corpo soccombe presto sotto il dolore e l'anima del martire si sottrae con la morte alla veemenza dei dolori della carne. Ma in Purgatorio si tratta di supplizi che du­rano a lungo, forse più a lungo di quanto comune­mente si crede, e noi non presteremo la nostra opera per abbreviare quelle torture? E si noti che queste anime sventurate che per indolenza omettiamo di suffragare, sono anime sante e predestinate, sono, se an­che noi avremo la sorte dì salire al Cielo, le future compagne della nostra gloria. Eppure esse per ora non possono nulla senza di noi! Noi soli possiamo soccorrerle, e senza sacrificarci gran che, senza esau­rire le nostre forze, senza dar fondo ai nostri averi. In ultimo, quelle anime sono figlie predilette di Dio la giustizia di lui le punisce, mentre la di lui infinita misericordia implora soccorsi per loro. Coi nostri suffragi affretteremo il giorno in cui esse glorificheranno Iddio in Paradiso. Disse il nostro Signore a S. Gel­trude che ogni volta che lìberiamo un'anima dal Pur­gatorio, facciamo cosa così gradita a lui, come se li­berassimo lui stesso dal carcere. Che vogliamo di più per eccitare il nostro zelo? I Santi, che avevano ben compreso queste raccomandazioni uscite dal cuore ar­dente del Salvatore, ebbero tutti viva compassione di quelle povere anime, fino a spingere all'eroismo la lo­ro commiserazione. Il P. Nieremberg della C. di Gesù si offrì come vittima per un'anima che avrebbe dovuto penar lungamente in Purgatorio, e dal momento della sua offerta si sentì oppresso da ogni sorta di pene nel corpo e nell'anima; la sua vita divenne un lungo pur­gatorio e quel martire di carità non trovò altro sollie­vo che nella morte, che lo colpì dopo lunghi anni di indicibili sofferenze.

Soffriamo anche noi in questo mondo, ma le nostre sofferenze son ben lontane dal paragonarsi a quelle delle anime purganti, e forse per questo pensiamo tan­to di rado al Purgatorio e a chi vi pena. Nelle Con­templazioni di S. Margherita Maria Alacoque leggia­mo il fatto seguente.

Vidi in sogno - è la Santa che parla - una reli­giosa che soffriva immensamente e mi pregò di aiu­tarla coi miei suffragi. Destata, non vi badai più tan­to, perchè ai sogni non bisogna credere; ma intanto quell'anima non mi dava pace e non cessava dal pre­garmi che volessi cedere a suo vantaggio tutte le mie opere soddisfattorie. Col permesso della Superiora fi­nalmente le feci detta concessione, ma da quel giorno fui aggravata da tali dolori, che pareva volessero schiacciarmi. Mi ordinarono di coricarmi, ed allora mi vedevo ai fianchi quella religiosa, che così mi di­ceva: - Stai bene tu nel tuo letto, ma io, guarda! - E vidi un orribile letto, che solo a pensarci tremo c'erano delle punte aguzze di fuoco, che le entravano nelle carni. - Questo, diceva, per la mia soverchia delicatezza. Mi stracciano il cuore con pettini di ferro infuocati, per aver pensato male del prossimo; la mia lingua è rosa da vermi, poichè ho parlato contro la carità; la mia bocca è piena d'ulceri, perchè ho poco osservato il silenzio! - A questa vista i miei dolori crescevano a dismisura; ma l'anima mi si presentava, e così mi diceva: - A te si pensa!... ma ad allegge­rire i miei mali non pensa alcuno!... - (Riportato da Vitali, Il Mese di Novembre, pag. 140).

 

Intenzioni speciali

Sul finire del capitolo precedente abbiamo parlato dell'ordine che per giustizia siamo obbligati a tenere nel ripartire i nostri suffragi: qui parleremo di alcune intenzioni che possiamo proporci nel farli. Moltissimi Santi hanno avuto abitudine di pregare a preferenza per le anime abbandonate e che non hanno al mondo chi pensi a loro; abitudine che sarebbe ottima ad ab­bracciarsi specialmente ai nostri giorni in cui essendo molte famiglie irreligiose, indifferenti o scettiche, spessissimo accade che tanti poveri defunti, compiuta la cerimonia dei funerali, non ricevano più soccorsi di preghiere. - Molti hanno l'uso di pregare per quelle anime che essendo giunte alla fine della loro espiazione, un altro solo suffragio può forse farle en­trare in Paradiso, dall'alto del quale ci proteggeranno poi efficacemente presso Dio. - Altri sogliono inte­ressarsi per una data classe di defunti, come per esem­pio pei poveri, che talvolta, in conseguenza della mi­seria delle loro famiglie, sono esposti a restar privi di suffragi dopo morte, come in vita furono spesso privi di pane. - Santa Maria Denize, monaca della Visi­tazione, e che al secolo era appartenuta ad una delle più nobili famiglie della Francia, aveva invece abitu­dine di pregare specialmente pei ricchi e pei grandi della terra, in considerazione che essi sono esposti ad un cumulo immenso di debiti spirituali che contrag­gono nella loro vita, tutta fatta per affascinare il senso e fomentare la concupiscenza. - Altri sì sentono tra­sportati a pregare pei sacerdoti, pei religiosi o reli­giose, ecc., altri per quelle anime che praticarono in vita le divozioni particolari che praticano essi, come S. Maria Maddalena de' Pazzi, che pregava partico­larmente pei divoti del SS. Sacramento, e S. Marghe­rita M. Alacoque pei devoti del S. Cuore. Molte ani­me buone hanno poi un'affezione speciale verso le anime che furono divote della beata Vergine, o di San Giuseppe, o del Santo del loro nome, o degli Angeli custodi. Finalmente nella vita di un san'tuomo abbia­mo trovato notata un'altra divozione che ci sembra molto efficace per l'emenda dei nostri difetti, quella cioè di pregare per le anime che soffrono in espiazione dei falli e difetti che noi pure siamo soliti di commet­tere.

- Tutte queste divozione sono ugualmente buone, e ciascuno può scegliere quella che più gli piaccia l'importante però si è di fare quatche cosa, di non in­golfarsi nella tiepidezza e nella negligenza, di pensare che Dio e la manifestazione della sua gloria hanno molti interessi in quel mondo invisibile, e che se la giustizia c'impone d'interessarci per qualcuna di quel­le anime, la carità fraterna e la comunione dei Santi, che formano di noi una sola famiglia, ci obbligano non meno severamente a non restare indifferenti alle pene di ciascuna e singola anima. Voglia Iddio che questa massima che qui inculchiamo non sia da noi dimenticata giammai nella pratica!

 

CAPITOLO XVI

LE NOSTRE POSSIBILITA’

Le nostre opere e il loro valore

Resta ora a vedere più da vicino quali possibilità abbiamo di sollevare le anime purganti dalle loro pene.

Sulla scorta della Teologia affermiamo che le nostre opere buone, finchè viviamo, possono essere merito­rie, impetratorie e soddisfattorie, secondo che ci dan­no diritto ad un nuovo grado di gloria in Paradiso, o muovono Iddio a concederci qualche grazia parti­colare, o valgono a rimetterci una parte più o meno grande della pena che ci rimarrebbe a scontare in que­sto mondo o nell'altro per le nostre colpe passate.

Che ogni opera buona fatta nelle debite condizioni sia meritoria pel cielo, è un punto di fede che il Con­cilio di Trento stabilì contro i protestanti, i quali so­stenevano che tutto il merito consiste nella fede, anche se accompagnata dalle opere. Le promesse evangeli­che sono chiare ed assolute a questo riguardo: sarà ricompensato il buon servo che fu fedele nelle piccole cose, quia super pauca fuisti fidelis (Matth. 25,-23) dice S. Matteo; e in altro luogo ci raccomanda di acca­parrarci per mezzo delle nostre buone opere tesori pel cielo (6, 2o), e ci avverte che nel dì del giudizio gli eletti entreranno in possesso della gloria eterna ap­punto per le loro opere di carità: Io ebbi fame, e voi mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere (Matth. 25, 35). Ed affinchè non avessimo a credere che solo le opere grandi saranno rimunerate, sog­giunge: In verità vi dico: se darete un solo bicchier d'acqua ad un povero in nome mio, ne riceverete ri­compensa (Matth. 10 42). Egli è chiaro quindi che ogni opera buona, per quanto piccola ed indifferente, merita un premio eterno.

Di più quest'opera può essere impetratoria, cioè può valere ad ottenere da Dio questa o quella grazia per noi o per gli altri. Così nella sacra Scrittura vediamo Giuditta e Davide digiunare e distribuire elemosine, la prima per ottenere la buona riuscita della sua ardita intrapresa, il secondo per impetrare la guarigione del figlio avuto da Bersabea. Lo stesso Signor nostro Ge­sù Cristo c'insegna a digiunare per iscacciare certi demoni che solo coll'astinenza si vincono. Questi esempi, ed altri molti che potremmo citare, chiara­mente ci mostrano che le nostre opere buone possono avere, se noi lo vogliamo, anche il valore di preghie­re, ed inclinare Dio, nostro Padre e Signore, ad usarci misericordia.

Finalmente che le nostre opere siano soddisfattorie, è un punto di fede basato pure sulla Scrittura. Le più consolanti opere di pietà, come la preghiera, la co­munione, le elemosine, portano impresso questo carattere soddisfattorio, poichè la corruzione e fiacchezza della nostra natura è tale, che non v'è opera buona per quanto felice e consolante, che non ci costi un poco di sacrificio e spesso anzi moltissimo, sicchè vi si rivela sempre un carattere penitenziale ed espiato­rio. Che se il fervore della carità toglie alle nostre opere il primo carattere e ce le rende facili, esse, non sono perciò meno soddisfattorie, dice S. Tommaso; che anzi, invece di diminuire, questa virtù soddisfat­toria s'aumenta a cagione della carità più perfetta col­la quale noi allora operiamo (In suppl. 3 p., q. 15, art. 2). Ciò posto, qual sarà nelle nostre opere buone la parte che possiamo applicare alle anime purganti?

1° Non possiamo ceder loro il nostro merito, il quale ha un carattere d'inalienabilità assoluta.

2° Quanto al valore impetratorio delle opere buo­ne, i teologi sono comunemente d'accordo nell'affer­mare che si possa applicare a vantaggio delle anime del Purgatorio. Infatti se possiamo coi nostri atti vir­tuosi ottenere grazie e favori celesti ai nostri fratelli viventi, perchè non lo potremo verso i defunti? Se possiamo digiunare per ottenere la guarigione di un malato, perchè non potremo fare altrettanto per otte­nere il sollievo e la liberazione d'un'anima che ci è cara?

3° Tutti convengono poi nell'affermare che noi possiamo cedere a profitto delle anime purganti la parte soddisfattoria delle nostre opere, e precisamente in questo consiste l'offerta di cui si tratta. Quest'of­ferta è un atto di carità purissima, in forza del quale ci priviamo di soddisfare per noi stessi, non potendo, come la ragione c'insegna, pagare colla stessa somma due debiti in una volta.

Nondimeno riteniamo che anche facendo questa ge­nerosa cessione, noi non perdiamo nulla; poichè que­st'atto eroico di carità, accrescendo considerevolmente il merito dell'opera nostra, accresce pure la ricompen­sa a questa riservata; e siccome il più piccolo grado di gloria nel cielo dura eternamente, perciò non avrà proporzione alcuna colle sofferenze del Purgatorio, che per quanto lunghe e dure possano essere, son sempre limitate ad un dato tempo. In secondo luogo, restano a nostro vantaggio le indulgenze della Chie­sa, destinate a pagare i nostri debiti verso la divina giustizia, e quella disposizione caritatevole in cui ci pone questo dono delle nostre opere ai defunti, la quale è attissima a farcene ottenere il merito nella sua integrità. Inoltre le anime che avremo in tal modo suffragate, diremo, quasi a nostre spese, ci assisteran­no e ci proteggeranno in vita ed in morte, e dovremo forse alle loro efficaci preghiere se sfuggiremo all'In­ferno meritato coi nostri peccati. Finalmente Iddio, che non si lascia mai vincere in generosità, ricom­penserà la nostra larghezza concedendoci grazie più abbondanti, che varranno a farci evitare molti peccati e risparmiarci così molti anni di Purgatorio.

Queste considerazioni sono confermate da un'appa­rizione di nostro Signore ad una pia vergine per no­me Geltrude, raccontata da Dionigi Certosino. Que­sta santa fanciulla, che aveva l'abitudine di offrire quotidianamente tutte le buone opere della giornata a vantaggio delle anime del Purgatorio, venuta a morte fu assalita fieramente dal demonio che, facendola di­sperare della sua salvezza, le andava dicendo: Stolta e presuntuosa che fosti nello spogliarti di tanti meriti a vantaggio altrui! Fra breve te ne pentirai quando sarai tormentata dai più orribili supplizi, men­tre io riderò dei tuoi tormenti. Che bisogno avevi tu di prodigare in tal modo i tuoi meriti a vantaggio di chi t'era straniero? Fu l'orgoglio che t'accieca, ma ben caro lo pagherai! - A tali insinuazioni quell'anima pia, gemendo e desolandosi, andava gridando: - Me infelice! me infelice! Fra pochi istanti andrò a ren­der conto a Dio di tutte le mie azioni, senza aver nulla di buono serbato per me! Ohi che tremendo purga­torio mi aspetta senza speranza di sollievo e di con­solazione! - Il Signore però non volendo lasciare in tanta angoscia la sua serva fedele, apparendole pieno di maestà e dolcezza, le disse: - Perché tanto ti af­fliggi, o mia figlia? Sappi che la tua carità mi riuscì così gradita, che io ti condono fin da questo momento tutte le pene che ti erano riservate, e siccome ho pro­messo il centuplo a coloro che obliano se stessi per amore dei loro fratelli, così col centuplo aumenterò la tua ricompensa nel cielo: Sappi poi che tutte le anime da te salvate verranno fra breve ad incontrarti per in­trodurti nella celeste Gerusalemme. - Alla quale con­solante assicurazione la pia vergine sentì dissiparsi ogni tristezza, e, raccontato l'accaduto alle persone che la circondavano, col sorriso de' predestinati sulle labbra andò a ricevere la ricompensa della sua eroica carità.

Le condizioni poi che si richiedono percbè le buo­ne, opere siano applicabili alle anime del Purgatorio, sono le seguenti

1° Bisogna che l'opera buona sia fatta in maniera sopranaturale e senza secondi fini, poichè allora sol­tanto Iddio la ricompensa;

2° Bisogna che sia fatta in istato di grazia, poichè col peccato mortale sull'anima non si può soddisfare nè per sè nè per altri;

3° Bisogna che nel farla abbiamo l'intenzione di applicarla alle anime purganti in generale, o a qual­che anima in particolare, o ad una data categoria di anime, come dicemmo alla fine del capitolo precedente. Rimane ora a dimostrare come i Santi ci abbiano dato il buon esempio, spogliandosi in vita dei meriti delle loro buone opere a favore dei defunti. I fatti che potremmo citare sarebbero innumerevoli, poichè tutti i Santi più o meno hanno praticato quest'atto eroico, ma per brevità ci limiteremo solo ad alcuni più rilevanti.

Cristina, sopranominata l'Ammirabile per la sua vita esemplarissima, offriva tutte le sue penitenze a suffragio dei defunti. Fa rabbrividire il racconto dei martirii quali si sottoponeva per sollevare quelle po­vere anime. Non bastando all'ardore del suo zelo i ci­lizi, e le discipline più sanguinose, passava intieri giorni senza mangiare nè bere, ravvolgevasi fra le spine, d'onde usciva coperta di sangue; e più volte, ispirata da Dio, si slanciava sui carboni ardenti, e quindi uscita appena dalle fiamme illesa per miraco­lo, correva a gettarsi in uno stagno ghiacciato, dove lungamente rimaneva in preghiera. Una volta si fece travolgere da una ruota di molino che le fratturò tutte le membra, sicchè se Dio non l'avesse miracolosa­mente salvata, sarebbe mille volte perita, Egli però che glie le ispirava, sostenevala nell'esercizio di sì aspre penitenze, e le anime del Purgatorio, che aveva così a migliaia liberato, le apparivano a torme per ringraziarla. Ma il punto più interessante della sua vita è certamente il seguente: Un giorno ella morì, e presentatasi al tribunale di Dio, il Signore le disse che essendo giunta nel soggiorno dei beati, lasciava a sua scelta o di rimanere per sempre fra questi, o di ritornare sulla terra ancora per molti anni per suffra­gare le anime del Purgatorio. - Signore, rispose quell'anima generosa, io vi chiedo in grazia di ritor­nare sulla terra per soffrire e sacrificarmi a vantaggio dei defunti. - Le concesse il Signore tal grazia, e ri­suscitata infatti in presenza di quelli che erano venuti già per seppellirla, aumentò per modo le sue mortifi­cazioni e penitenze, che se autori i piú seri e testimoni oculari non ne facessero fede, ci rifiuteremmo di cre­dervi, tanto sorpassano le forze umane (Vita di Cri­stina l'Ammirabile, Surio, 23 Giugno).

Quell'umile e mansueta vergine che fu Maria Vil­lani, senza praticar penitenze sì straordinarie liberò ella pure un numero non inferiore di anime, che Dio un giorno le fece vedere in una processione di personaggi riccamente vestiti e capitanati da lei. Ella pure offriva quotidianamente tutto il merito delle sue opere per la liberazione di quelle anime, e spingeva a tal punto la sua carità, da implorar dal Signore che le facesse soffrire nella propria carne i loro patimenti ciò che ottenne, come dicemmo altrove. Un giorno della Commemorazione dei morti essendo occupata nella copia di un manoscritto, e deplorando fra sè e sè che quel dovere impostole dall'obbedienza le impe­disse di consacrare tutta la giornata a vantaggio dei defunti, le apparve nostro Signore e le promise che ogni linea di quel giorno da lei trascritta avrebbe li­berato un'anima dal Purgatorio. Dal che si vede che davanti a Dio non v'è distinzione di opere piccole o grandi, quando sono ispirate dalla carità (Vita di Ma­ria Villani).

La beata Orsola Benincasa, religiosa teatina, mo­strò la stessa abnegazione, poiché stando in agonìa sua sorella Cristina, e paventando le atroci pene del Purgatorio, che credeva le fossero preparate, Orsola pregò il Signore di tribolare lei in questa vita con quei tormenti che nell'altra erano riservati a sua so­rella: e fu esaudita, poiché Cristina spirò tra la pace e la calma più perfetta, mentre Orsola subito dopo fu assalita dai più atroci dolori che la accompagnarono fino alla tomba (Bagata, Vita della beata Orsola Be­nincasa).

S. Filippo Neri aveva l'uso di offrire una parte del­le sue buone opere per le anime del Purgatorio e l'al­tra per la conversione dei peccatori. Specialmente verso i suoi antichi penitenti defunti era largo di suf­fragi, sicché essi molte volte gli apparivano o per rac­comandarsi alle sue preghiere, o per ringraziarlo della sua carità, e in punto di morte tutte le anime da lui liberate gli vennero incontro per fargli corteggio ed introdurlo nella gloria beata.

S. Ignazio pregava moltissimo per le anime del Purgatorio. Il P. Lainez, secondo Generale della Compagnia di Gesù, offriva ogni giorno a suffragio di quelle anime le sue preghiere, i suoi studi e le grandi opere che faceva per la Chiesa, ed esortava tutti i suoi confratelli a fare altrettanto. Se si voles­sero poi nominare tutti quelli che hanno zelato ed aiu­tato colle loro opere la liberazione delle anime del Purgatorio, bisognerebbe citare la vita di quasi tutti i Santi. Possano perciò questi esempi da noi riferiti non essere sterili per le anime pie, per maggior istruzione delle quali raggrupperemo nei seguenti capitoli le va­rie opere che, fatte nelle condizioni già accennate, val­gono efficacemente a liberare le anime del Purgatorio, e sono l'elemosina, la mortificazione, la preghiera, la Messa e l'applicazione delle indulgenze.

 

CAPITOLO XVII

ELEMOSINE E MORTIFICAZIONE

Un balsamo salutare

Fra tutte le opere di carità evangelica, poche ve n'ha che ci siano con tanta insistenza nella Scrittura raccomandate, quanto l'elemosina. Per mezzo di que­sta, diceva l'angelo a Tobia, l'uomo si salva dalla morte e trova grazia dinanzi a Dio (Tobia XII, 9). Il nuovo Testamento ne parla con tali espressioni, che par quasi sia promessa ricompensa a quelli soli che praticheranno questa virtù. L'Ecclesiastico dice che come l'acqua spegne il fuoco, così l'elemosina spegne il peccato (Eccli. III, 33). Quindi è che il far l'elemo­sina coll'intenzione di applicarne il merito alle anime del Purgatorio è lo stesso che versare balsamo salu­tare sulle piaghe che le divorano. Di più, quest'atto acquista allora doppio merito per chi lo fa quello della carità esercitata verso i poveri e quello del sol­lievo delle anime purganti; sicchè facendo l'elemosi­na in questo modo si viene ad acquistare con un atto solo il diritto a un doppio grado di gloria nel cielo. Quest'atto poi contribuisce in due maniere al sollievo dei defunti: primo, col valore soddisfattorio che ha di per sè; secondo, colle preghiere che i poveri cosa beneficati fanno pei loro benefattori, preghiere che Dio ha promesso di esaudire in modo tutto speciale: Desiderium pauperum exaucdivit Dominus (Ps. g, 37). Oltre a ciò l'elemosina è quasi la sola opera che possa essere fatta utilmente per le anime del Purgatorio an­che da coloro che per disgrazia vivono in peccato mortale, poichè sebbene non abbia per essi la sua vir­tù soddisfattoria, non cessa tuttavia dall'avere effica­cia, se si consideri che le preghiere del povero bene­ficato sono profittevoli e a colui che ha fatto l'elemo­sina per ottenergli la grazia della conversione, e al­l'anima penante in suffragio della quale l'elemosina è stata fatta, per mitigarne le sofferenze. Non deve quindi stupirci il vedere molte anime pie e molti Santi devoti delle anime del Purgatorio ricorrere a questo mezzo tanto efficace. Era questa l'opera prediletta di S. Gregorio Magno, il quale per sollevare più effica­cemente quelle meschine, l'accoppiava sempre all'o­blazione del divin Sacrificio, e le numerose apparizio­ni che ebbe gli rivelarono quanto fosse efficace questa duplice carità. Tale uso invalse poi e divenne legge presso i Benedettini ed in molte famiglie religiose, tanto che, come dicemmo altrove, la regola di S. Be­nedetto prescrive che quando uno dei monaci passa all'altra vita, venga offerto per trenta giorni in riposo dell'anima sua il santo Sacrificio, e durante questo tempo si distribuisca ai poveri la sua porzione di cibo.

Le esortazioni poi dei santi Padri a questo proposito sono incessanti ed assai istruttive. S. Ambrogio dice: Quando la morte v'abbia tolto un figlio o un parente amato, per la cui perdita il vostro dolore è inenarrabile, e vorreste ancora poterlo assistere, con­sigliare, difendere, senza che però possiate far ciò, pensate allora che nulla v'ha di più efficace e gradito a colui che rimpiangete e che forse avreste voluto la­sciar vostro erede, quanto l'assistere i suoi coeredi vi­venti cioè i poveri, a vantaggio dei quali potete fare quel che avreste voluto dare e fare a pro dell'estinto. Così assistendo nella persona dei poveri la persona da voi perduta, metterete questa più sollecitamente in possesso dei beni eterni, invece di qualche misero bene temporale che avreste potuto lasciargli (S. Am­brogio, Sermo de fide resurrectionis): - Dio volesse che i consigli di questo santo Vescovo fossero fedel­mente eseguiti! Le anime dei nostri defunti sarebbero efficacemente sollevate, e seguiterebbero a godere in­direttamente di quei beni che loro appartenevano, e cori quell'oro che spesso serve ad alimentare la vanità dei vivi persino in futili dimostrazioni di duolo, quelle povere infelici guadagnerebbero il cielo. O mio Dio, inserite voi nel cuore dei ricchi il sentimento sublime che il povero solo può formare la loro felicità.

Un dotto scrittore suggerisce il consiglio, che noi ri­teniamo molto utile, che quando un povero batte alla porta della nostra casa, o ci stende la mano per la via, noi fingiamo sia un'anima del Purgatorio, quella per esempio d'uno dei nostri parenti, che si rivolge alla nostra carità e ci prega di non dimenticarla: in tal modo non negheremo l'elemosina e faremo efficacissimo suffragio al defunto che ci è caro. Se questo bellissimo pensiero fosse profondamente scolpito nella nostra mente, i poveri vi guadagnerebbero molto in questo mondo, e le anime del Purgatorio ne trarreb­bero immensi vantaggi nell'altro.

I Santi, che sono veri modelli di ogni sorta di buo­ne opere, comprendevano tanto bene queste divine le­zioni, che la loro carità arrivava all'eroismo. - Il Pa­dre Magnanti, dell'Oratorio, scrupoloso seguace della povertà verso se stesso, era santamente prodigo quan­do trattavasi di sollevare con l'elemosina le anime del Purgatorio, alle quali aveva dedicato tutta la sua vi­ta; e ogni anno distribuiva a tal uopo somme immense che vari pii signori, conoscendo la sua carità, face­vano passare per le sue mani, e non contento di ciò si faceva mendicante egli stesso per sollecitare elemo­sine a favore dei defunti. Aveva nella sua stanza una borsa che soleva chiamare il tesoro delle anime, cru­mena animarum, e che quantunque si colmasse ogni giorno, era tuttavia sempre vuota, tanto che questo povero religioso, il quale al mondo non possedeva nulla, arrivò a distribuire in tal modo nel corso di sua vita elemosine da re, soccorrendo così le membra sof­ferenti del nostro Salvatore Gesù e in questo mondo e nell'altro (Hist. Congr. Orator., lib. a, cap. ag). - Questo fatto del P. Magnanti ci fa ricordare che fin dal quinto secolo S. Giovanni Crisostomo consigliava ai fedeli di Costantinopoli di tenere sempre una bor­setta appesa presso il capezzale, affinchè ogni sera pri­ma d'addormentarsi non dimenticassero di gettarvi una moneta, per darla indi ai poveri, affin di liberare con quell'elemosina qualche anima dalle fiamme del Purgatorio, accumulando in tal modo tesori pel cielo. Coloro poi che si trovassero in povertà e fossero quindi impotenti a soccorrere con elemosine le anime del Purgatorio, non debbono creder per questo di es­ser dispensati dal farle, ma diano in proporzione della loro povertà, poichè Colui che benedisse l'obolo della vedova, terrà conto della loro buona volontà e del­l'offerta, anche meschina, che faranno. Se poi non possono esser generosi di denaro, lo siano del loro tempo e delle loro cure, poichè con una parola di con­forto che diranno ad un affitto, con un servigio ma­teriale che a loro poco costerà e che forse gioverà molto al loro prossimo, con un'opera misericordiosa qualunque, potranno ottenere allo stesso modo l'in­tento; diano l'anima loro, il loro cuore, la loro buona volontà a vantaggio dei propri fratelli. Forse gioveranno meglio di ogni altro il loro simile; perché poveri ancor essi e formati alle dure lezioni della miseria, sapranno con più esperienza assistere e confortare nella sventura. E poi la carità è ingegnosa, più ingegnosa dell'avarizia e della sete di guadagno.

Un povero laico della Compagnia di Gesù, zelantis­simo delle anime del Purgatorio, deplorando di non esser sacerdote per poterle suffragare col santo Sacri­ficio della Messa, e trovandosi d'altro lato senza mezzi e relazioni di sorta che lo mettessero in grado di gio­varle in altro modo, ricorse ad una santa astuzia, poichè essendo egli portinaio del convento, ogni volta che vedeva entrare qualche personaggio ricco o po­tente, gli chiedeva elemosina per le povere anime del Purgatorio, e con una parte delle offerte che così ri­ceveva faceva da alcuni ecclesiastici celebrar Messe pei defunti, erogando l'altra parte a vantaggio dei poveri. Per meglio accrescere poi il tesoro dei suoi fratelli defunti, coltivava presso l'ingresso della casa un giardino pieno di bei fiori, che poi offriva ai visi­tatori, domandando loro in compenso un'offerta per le anime purganti. Non è a dire come quel buon reli­gioso gioisse nel vedere di giorno in giorno aumen­tare il suo piccolo tesoro. Giunto a morte fu però am­piamente compensato delle sue premure, poichè le anime da lui liberate e sollevate accorsero al suo letto per assisterlo nell'agonia, e lo condussero senza alcun dubbio in cielo a ricevere la ricompensa della sua in­gegnosa carità (Heroes et victimae Societatis Jesu, an. 1656)..

Volete, dice S. Agostino, imparare a trafficar bene e a trarre dal vostro denaro copiosi interessi? Date quel che non potete conservar sempre, affin di otte­nere quel che non potete perdere mai. Infatti l'elemo­sina, oltre ad essere utile per le anime penanti, ha una virtù preservativa tutta speciale per impedire che si cada in Purgatorio o per abbreviare la pena di colui che l'ha fatta, poichè Iddio non si lascia vincer giam­mai in generosità dalle sue creature, che si mostra­rono generose verso le altre. Date e vi sarà dato, è la regola evangelica, ed i fatti ci mostrano la verità di tale efficacia.

S. Pier Damiani narra di un'apparizione avuta da un sacerdote nella chiesa di S. Cecilia in Roma, nella quale vide che mentre in mezzo al tempio, sopra un trono magnifico stava la SS. Vergine circondata da S. Cecilia, da S. Agnese, da S. Agata e da uno stuolo di angeli e di beati, si presentò in mezzo a quel cele­ste consesso una povera vecchia ricoperta di sordide vesti, e con sulle spalle un ricchissimo mantello, la quale appressandosi al divin trono, e inginocchian­dosi e piangendo, scongiurò la Madre di misericordia ad aver pietà dell'anima di Giovanni Patrizi suo be­nefattore morto di recente, e che stava soffrendo in Purgatorio crudeli tormenti. E poichè la SS. Vergine non sembrava commuoversi a tali parole, la vecchie­rella ripetè per una seconda e poi per una terza volta la sua domanda, ma sempre invano. Allora invocando maggiormente pietà, con dirotto pianto espose alla Vergine come essendo ella in vita una povera mendi­cante, che nel cuor dell'inverno, coperta da misera­bili cenci, domandava l'elemosina sulla porta della basilica a lei consacrata in Roma, un giorno di gran­de intemperie essendo entrato in chiesa Giovanni Pa­trizi, ed avendogli essa in nome della Vergine chiesto la carità, egli toltosi dalle spalle il ricco mantello da cui era ricoperto, volle donarglielo. Supplicava quin­di che tanta carità, fatta in nome di lei, meritasse al­l'infelice Patrizio la sua compassione. A tali parole la Regina delle Vergini, rivolgendo alla supplice uno sguardo d'amore, rispose: - L'anima per la quale tu preghi sarebbe condannata per molto tempo a dure pene per le sue numerose colpe, ma poichè in vita praticò in modo speciale la virtù della carità verso i poveri e la devozione verso di me, voglio usarle mi­sericordia. - E ordinato che le fesse condotto dinanzi Giovanni, eccolo comparire fra una schiera di de­moni che lo tenevano incatenato, e, pallido e sfigu­rato come uomo straziato da acuti dolori, fermarsi da­vanti al trono della celeste Regina, la quale impose ai demoni di lasciare all'istante il loro prigioniero, affinchè andasse a congiungersi al coro dei beati che la circondavano. Ubbidirono essi, e la visione dispar­ve, insegnando così a quel buon sacerdote il gran me­rito dell'elemosina e la sua efficacia nel preservare e liberare le anime dal Purgatorio (S. Pier Damiani, opusc. XXXIX, capo 4).

E qui vorremmo fare una riflessione e una propo­sta che potrebbe essere abbracciata da tante anime generose e pie, le quali sempre pronte a venire in soc­corso di tutte le opere buone, non negano mai l'obolo della carità, e vorremmo dir loro: Volete voi ricavare doppio profitto spirituale nell'elargire le vostre ele­mosine a tanti nobili e svariati scopi? Ebbene, nel­l'erogare il vostro denaro a pro di questa o quell'o­pera, formate sempre l'intenzione di suffragare le anime del Purgatorio. Gioverete così alla Chiesa mi­litante e alla purgante, e oltre al conforto e al merito del bene che fate, guadagnerete protettrici nel cielo. Sul quale proposito vogliamo narrare qui un fatto molto commovente.

Un povero vecchio portinaio d'un seminario, du­rante la sua vita aveva accumulato soldo per soldo, coi suoi risparmi, la somma di 800 franchi; non aven­do famiglia a cui lasciarli, li aveva destinati a far celebrare tante Messe in suffragio dell'anima sua quan­do fosse morto. Un giovane chierico che stava per abbandonare quel seminario per recarsi nelle missioni straniere, ebbe occasione di parlare della sua partenza al povero vecchio, il quale, ispirato da Dio, si decise all'istante di erogare a vantaggio della propagazione della fede il suo piccolo peculio, e preso in disparte il giovane missionario, gli disse che quantunque aves­se destinato quella somma per far celebrar tante Messe in suffragio dell'anima propria, preferiva nondimeno di restar dopo morto un po' più di tempo in Purga­torio, purchè il nome di Dio fosse glorificato sulla terra e il Vangelo si dilatasse pel mondo. Il giovane sacerdote, commosso fino alle lacrime a tale offerta, volle rifiutarla, ma l'altro insistette tanto e tanto sup­plicò, che finalmente dovette cedere. Pochi mesi dopo quel buon vecchio morì, e sebbene nessuna rivelazio­ne sia venuta finora a svelarcelo, ci pare di poter af~ fermare che la sua sorte nell'altra vita sia più che as­sicurata in forza di quest'atto sì eroico. Il cuore di Gesù, nostro padre, è tanto amabile e generoso, che avrà certo data larga ricompensa a colui che si affidò alle fiamme del Purgatorio perchè il suo santo Nome fosse recato agl'infedeli, e l'avrà voluto in cielo senza indugi, dove contemplerà quel Dio che tanto aveva amato su questa terra.

La mortificazione

Il secondo mezzo per soccorrere le anime del Pur­gatorio è il digiuno, sotto il qual nome generico si comprendono tutti gli atti di mortificazione interiore ed esteriore, tutto ciò che contraddice la natura, e facendola soffrire, ne doma i malvagi istinti. Non insi­stiamo sull'efficacia di questa virtù per sollevare le anime purganti, diciamo solo che mentre la preghìera e l'elemosina hanno solo per accidens un carattere pe­nitenziale e soddisfattorio, la mortificazione è l'opera soddisfattoria per eccellenza, è il prezzo di riscatto dei peccati commessi. Questa virtù ci deve stare tanto più a cuore, in quanto che è indispensabile, in un certo grado, alla nostra salvazione. L'oracolo divino ha detto che se non faremo penitenza periremo: Nisi poenitentiam habuentis, omnes simititer peribitis (Lu­ca, 11 3). Mortificare quindi il proprio corpo coll'in­tenzione di suffragare le anime del Purgatorio è lo stesso che assicurare la propria santificazione e pro­curare nello stesso tempo efficacemente il sollievo dei poveri defunti. Non è poi questa una costumanza che si sia introdotta ai giorni nostri, ma risale fino agli antichissimi tempi; leggendosi infatti nel primo libro dei Re che gli abitanti di Jabes in Galaad appena eb­bero appreso la notizia della morte di Saul e dei suoi tre figli, sorsero tosto, e camminando tutta la notte, presero i corpi dei defunti, e seppellitili, digiunarono per sette giorni (Reg. XXX, 13). Sappiamo bene che la parola mortificazione ripugna agli orecchi delicati degli uomini del nostro secolo, i quali considerandola come un avanzo del medio evo, destinato a scomparire in­sieme colle altre anticaglie, cercano (e in gran parte vi sono pur troppo riusciti) di bandirla dal seno dei cristiani, fra i quali ormai rarissimi sono quelli che la praticano. Sappiamo che la quaresima è diventata una parola vuota di senso, che il digiuno del venerdì è andato in disuso, e che quei pochi obblighi che re­stano sono da molti derisi e criticati. Però, siccome di peccati se ne commettono come una volta e forse più, e siccome ogni peccato se non è scontato in que­sto mondo colla penitenza, dovrà essere poi più rigorosamente scontato nell'altro, se noi non c'inca­richeremo di pagare i nostri debiti in questa vita, troveremo grandi e spaventosi conti da saldare nel Purgatorio! Abbiamo, è vero, le indulgenze, ma an­che queste sono concesse dalla Chiesa soltanto ai veri penitenti, non potendo essa incoraggiare la tiepidezza dei fedeli, ma solo volendo venire in aiuto di quelli che fanno quanto possono per cancellare le loro col­pe. Quindi è necessario ritornare alcun poco alla pra­tica dell'antica mortificazione se non vogliamo che si accumuli tanto debito e ci si prepari un purgatorio dolorosissimo e lungo. Dirà taluno che dovendo pen­sare a pagar tanto del nostro, è assai strano esortarci a pagare i debiti altrui, mortificandoci per suffragare le anime del Purgatorio; ma, come dicemmo parlando dell'elemosina, dobbiamo pensare che se noi avremo carità verso i nostri fratelli defunti, pagando i loro debiti, inclineremo Dio, nostro gran creditore, ad usarci misericordia, e in ogni caso il merito delle no­stre opere, che è inalienabile, sarà sempre goduto da noi.. Ci siano poi sempre di guida i Santi che ci han­no dato ammirabili esempi di penitenza.

Il beato Francesco da Fabriano, francescano, era solito di offrire a sollievo delle anime purganti tutte le austerità che imponevagli la regola, e tutte le mag­giori penitenze che il suo fervore gli suggeriva, sicché nulla riserbando per sè, riposavasi interamente sulla misericordia di Dio pel soddisfacimento dei pro­pri debiti; per rendere poi più accette al Signore le sue penitenze, le univa sempre alle pene patite da Gesù Cristo sulla croce. La sua compassione verso i defunti era sì viva, che non poteva fermare il pen­siero sui loro tormenti senza tremare da capo a pie­di. Numerose apparizioni di anime da lui liberate gli dimostrarono però quanto la sua carità fosse accetta a Dio.

La beata Caterina da Racconigi, che ricevette da Dio stesso l'ordine di fare mortificazioni in suffragio delle anime del Purgatorio, in una delle sue estasi vide il Salvatore dal cui Cuore usciva abbondante sangue, del quale una parte scendeva sul capo dei peccatori e l'altra sulle anime del Purgatorio. Da ciò comprese di dover praticare la mortificazione per i due grandi scopi della conversione dei peccatori e della liberazione delle anime del Purgatorio. E Iddio benedisse le austerità da lei fatte per la salute dei primi; quanto alle seconde le molte visioni da lei avute la fecero certa che le sue mortificazioni avevano prodotto in Purgatorio frutto non minore che sulla terra.

S. Nicola da Tolentino digiunava spesso a pane ed acqua per le anime del Purgatorio, si martoriava con discipline, e per aver sempre vivo alla mente il pen­siero di quelle infelici, portava intorno ai reni una cintura di ferro strettamente serrata, le cui punte gli penetravano profondamente nella carne. Anche a lui apparivano spesso le anime del Purgatorio, come dicemmo altrove, per raccomandarsi ai suoi suffragi o per ringraziarnelo.

In tempi più recenti poi la vener. Maria Francesca del SS. Sacramento diè prova di non minor zelo, di­giunando quasi tutto l'anno a pane ed acqua in suf­fragio de' defunti, lacerando ogni giorno le sue carni con discipline, e non abbandonando mai un aspro ci­lizio che tormentavala giorno e notte, sicchè perfino quel po' di riposo che per le esigenze della natura concedeva al suo corpo, le si convertiva in una mor­tificazione. Anche di questa dicemmo altrove come fosse ricompensata della sua eroica carità con innu­merevoli apparizioni (Vita della Venerabile, lib. II).

Durus est hic serino. Dure sono queste parole, dirà taluno, e troppo straordinari questi esempi, perchè possano essere anche da lungi imitati. Si rassicurino però i deboli, poichè Iddio guarda più alla generosità del cuore che all'atto in se stesso, e senza disciplinarsi ed affievolire le proprie forze e la propria salute, pos­siamo con piccole astinenze e mortificazioni che ci si possono offrire ogni giorno ed ogni ora, scontare i nostri falli é suffragare quelle povere anime.

 

Obbedienza e suffragi

A consolazione poi di coloro che vivono sotto ob­bedienza religiosa, e che non sono liberi della loro volontà, aggiungeremo che facendo essi la volontà dei superiori, tornano a Dio più graditi e soccorrono le anime purganti più efficacemente che se facessero grandi mortificazioni. Su di che riesce molto istruttivo l'esempio di S. Margherita M. Alacoque, la cui generosità spingendola ad eccedere la misura delle sue forze, le superiore erano costrette a sorvegliare e reprimere i suoi passi nel cammino della penitenza. Nondimeno ella le pregava ogni giorno per ottenere il permesso d'infliggersi nuovi tormenti, e grande era la sua desolazione quando glielo negavano. Un giorno in cui aveva avuto licenza di disciplinarsi in suffragio delle anime del Purgatorio, lasciatasi tra­sportare da soverchio zelo, oltrepassò i limiti dall'ob­bedienza concessile; ed ecco le anime del Purgatorio circondarla, e gemendo lamentarsi con lei perchè le angosciava invece di sollevarle; in tal modo volle mostrarle il Signore che l'obbedienza è la più bella mortificazione per una persona religiosa, e ch'ei non accetta tutto ciò che vien fatto in contrarietà di essa.

Del resto chi voglia essere esatto nel praticare la regola, trova in comunità molte occasioni di mortifi­cazione. Diceva S. Giov. Berchmans che la sua peni­tenza maggiore era quella della vita comune, e un santo religioso paragonava la vita monastica, quando sia severamente praticata, ad un martirio più penoso del martirio di sangue, a cagione della sua durata, e però assai meritorio ed efficace a preservarci dal Pur­gatorio.

Nel convento delle Domenicane di Vercelli, dove era superiora la beata Emilia, v'era fra le altre una prescrizione della regola che vietava di bere fra un pasto e l'altro senza permesso della superiora, la qua­le però lo concedeva rarissimamente, eccitando le con­sorelle a questo piccolo sacrificio in memoria della sete che Gesù patì sul Calvario. Una monaca, Cecilia Avogadro, andata un giorno da lei per chiederle il permesso di bere, ne ebbe il solito divieto, al quale sebbene arsa dalla sete, non mancò di uniformarsi. Ne fu però ben ricompensata, poichè morta poche setti­mane dopo, in capo a tre giorni apparve tutta rag­giante di gloria alla superiora, ringraziandola di averla indotta a quella mortificazione, in forza della quale era stato di molto abbreviato il suo purgatorio, che avrebbe dovuto essere invece di lunga durata a motivo del troppo affetto da lei portato ai proprii parenti (Diario Dommicano, 3 Marzo).

Quelli poi che vivono nel secolo possono allo stesso modo preservare l'anima loro dalle pene del Purga­torio accettando con rassegnazione e senza lamenti le croci che a Dio piace mandare. Ma purtroppo son rari quelli che sanno profittare delle contrarietà della vita, spesso le tribolazioni che Dio ci manda per fornirci occasione di merito, non servono che ad aumentare i nostri debiti. Sottomettiamoci invece con piacere ed ilarità al peso della croce, e quando le afflizioni ci opprimono, e sentiamo lo spirito nostro triste fino alla morte, specchiamoci nel divino Modello, offriamo al Padre celeste la nostra angoscia, pensiamo che siamo predestinati, e sopportiamo tutto per le anime che ci son care e che gemono in Purgatorio; soffriamo pel nostro prossimo, pei nostri amici ed anche pei nemici, che in mezzo a quelle fiamme si raccomandano ai loro fratelli viventi.

 

CAPITOLO XVIII

PREGHIERA E MESSA PER I DEFUNTI

Rugiada di refrigerio

Un altro efficacissimo mezzo a nostra disposizione per sollevare le anime del Purgatorio è la preghiera, opera facile a praticarsi da tutti, dato che non richie­de gran sacrificio e può esser fatta anche durante le azioni giornaliere e con una semplice aspirazione di cuore.

Racconta il Rossignoli, nella sua opera sul Purga­torio più volte da noi citata, che un religioso aveva il pio costume di recitare un Requiem aeternam ogni volta che passava davanti ad un cimitero. Un giorno però, essendo immerso in gravi pensieri, omise que­sta preghiera; ebbe allora l'impressione di vedere i morti uscire dalle loro tombe e seguirlo cantando il ­versetto del Salmo: « Et non dixerunt qui praeteri­bant: Benedictio Domini super vos » (Salmo 128, 7). Alle quali parole, il religioso confuso e mortificato ri­spose. « Benedicimus vobis in nomine Domini » (Id.), e allora soltanto i morti ritornarono nelle loro tombe suffragati abbastanza da quella piccola preghiera.

Da questo fatto possiamo argomentare quale rugia­da di refrigerio sia per i morti anche una semplice invocazione a Dio in loro suffragio. Quando tuttavia intendiamo portare più notevole sollievo e contribuire maggiormente alla liberazione di un'anima, non dob­biamo lusingarci di poterlo fare con così poco, poi­chè, come dicemmo altrove parlando della durata del­le pene del Purgatorio, Iddio esige un più conside­revole riscatto, tanto che S. Roberto Bellarmino arriva a dire non doversi mai cessare di pregare per un defunto, anche dopo la sua apparizione.

La preghiera poi dev'essere perseverante e ferva­rosa, giacchè si tratta di far violenza con essa al cuore di Dio, e di ottenere ad un'anima la grazia della vi­sione beatifica, grazia di cui non v'ha la maggiore e che non si ottiene se non con una grande perseve­ranza. Diceva un giorno nostro Signore a S. Lut­garda: - Figliuola mia, hai fatto tanta violenza al mio cuore, che non posso resistere alle tue preghiere sii dunque tranquilla, poichè l'anima per la quale preghi sarà ben presto liberata dalle sue pene. - Inol­tre perchè la nostra preghiera sia esaudita è necessa­rio che noi ci troviamo in istato di grazia. Infatti colui che col peccato mortale è divenuto nemico di Dio, come potrebbe mai servire di intermediario fra la divina giustizia e le anime del Purgatorio? Scimus Quia peccatores Deus non audit (Io. 9, 31), dice la di­vina Sapienza, e se non si ha l'anima pura da colpa grave, è sterile ogni nostra orazione.

Quanto alle preghiere che utilmente si possono fare pei defunti, oltre al santo Sacrificio e alle orazioni privilegiate d'indulgenze, diremo col P. Faber che è in nostra facoltà di scegliere quelle che più si affanno al nostro spirito e per le quali ci sentiamo più incli­nati: tuttavia vogliamo enumerarne qui alcune che l'esperienza ci ha dimostrato più efficaci. In primo luogo va annoverata la preghiera canonica, ossia l'Uf­ficio dei defunti, preghiera salutare che la Chiesa in­nalza a Dio a favore dei suoi figli infelici, e che pre­sentata a lui in nome di essa, è da credere gli torni accetta a preferenza di molte altre. La Madre Fran­cesca del Sacramento, malgrado le sue molteplici oc­cupazioni, era solita di recitarlo ogni giorno, e santa Teresa racconta di se stessa che una volta nel giorno de' morti essendosi ritirata di sera nell'oratorio del monastero per recitare l'Ufficio dei defunti, vide com­parire un orribile mostro, che posatosi sul libro, le impediva di leggere e di pregare. Scacciatolo col se­gno della croce, per tre volte il maligno spirito si ri­trasse; ma appena la Santa ritornava a recitare i Sal­mi, egli nuovamente la disturbava, finchè per liberar­sene, asperso il libro d'acqua benedetta, ed essendone alcune goccie cadute sul mostro, questo fuggi a pre­cipizio. Terminata appena la preghiera, vide la Santa salire dal Purgatorio al cielo parecchie anime liberate appunto da quel suffragio, e per cagion delle quali il demonio invidioso voleva opporsi in quei odio alla preghiera ch'essa faceva. - Anche la recita del Sal­terio può considerarsi molto utile per le anime pur­ganti, quantunque oggi ben pochi siano i cattolici che la praticano. Nel medio evo l'imperatore Ottone IV, insigne benefattore degli Ordini religiosi in Germania, apparendo dopo morte ad una sua zia, le disse che malgrado le buone opere da lui fatte in vita e la fama di pietà lasciata nel mondo, soffriva atrocemente in Purgatorio; le chiese perciò in grazia di invitare tutti i monasteri da lui beneficati a recitare per molte volte il Salterio in suo suffragio. Soddisfatto il desi­derio del defunto, fu veduto pochi giorni dopo tutto sfolgorante di luce salire al cielo (Catimpré, Apum, lib. Il, cap. 51, num. 19). Che se il Salterio sembrasse a taluni troppo lungo, vi si può supplire colla recita dei sette Salmi penitenziali. Ad un santo Vescovo, ogni volta che li recitava ed arrivato alla fine di cia­scun Salmo ripeteva il Requiescant in pace, un coro di voci era solito rispondere Amen.

Un'altra pia pratica ancor più comoda e breve è quella di recitare il Salmo De profundis, che è pure efficacissimo per suffragare i defunti. Il P. Carneille della Compagnia di Gesù era solito farlo ogni volta che si fosse lavate le mani, e molte apparizioni lo as­sicurarono che in tal modo apparentemente ridicolo aveva liberato un gran numero di anime. - Bellis­simo uso è pur quello della Via Crucis, sia per le indulgenze che vi sono annesse, sia per l'eccellenza della preghiera in se stessa, la quale ricorda la grande immolazione del Calvario. Gesù Cristo appa­rendo alla venerabile Maria d'Antigna, e rimprove­randola d'aver per qualche tempo tralasciato questa divozione, le significò che essa era utilissima per la liberazione delle anime purganti, e la esortò a propa­garla tra i fedeli più che le fosse possibile. – E’ pure efficacissima la recita del santo Rosario. La venerabile Maria Francesca del Sacramento non mancava mai di recitarlo ogni giorno, inserendovi il Requiem invece del Gloria Patri, e chiamava la corona la sua elemosiniera, perchè per suo mezzo poteva esser generosa verso le anime del Purgatorio salvandone molte che poi per gratitudine venivano nella sua stanza a baciargliela ringraziandola. E quindi lodevolissimo l'uso introdotto in parecchi collegi e comunità reli­giose di recitare per turno ogni giorno il Rosario, o di aggiungere alle cinque decine di esso una sesta in suffragio delle anime del Purgatorio, terminandola poi col De profundis.

Quantunque davanti a Dio tutti i giorni siano uguali, e il suo Cuore sia sempre disposto ad acco­gliere la preghiera dei fedeli, la santa Chiesa ha riservato alcuni giorni particolari per suffragare i defunti, e cioè il terzo, il settimo, il trentesimo e l'an­niversario della morte, nei quali le sacre rubriche pre­scrivono orazioni speciali pei medesimi, prescrizioni che abbiamo visto seguite dai Benedettini e da altre famiglie religiose nei trenta giorni che seguono la morte, e che sono destinati ad offrire suffragi e distri­buire elemosine pei defunti, la qual tradizione risale al tempo di S. Gregorio Magno, e si basa sopra una rivelazione di cui parleremo più tardi. - Altra otti­ma costumanza è quella delle novene per le anime purganti. Il sinodo giansenista di Pistoia ripudiava queste pie usanze dei nostri padri, riponendole fra le superstizioni, dalle quali pretendeva di purgare la Chiesa: ma Pio VI di s. m. condannando formalmente questa proposizione ci ha incoraggiato a seguire quel pio uso. - Così pure in molti luoghi si suol consacrare in suffragio di quelle anime.un gior­no della settimana; che ordinariamente è il venerdì, e ai nostri tempi la divozione sempre crescente ha sug­gerito ai fedeli di dedicar loro un intero mese.

Queste sono in compendio le varie preghiere che più efficacemente possono offrirsi a Dio in favore di quelle anime penanti, e che ogni fedele dovrebbe es­sere generoso nello scegliere e nel praticare, affin di meritare la protezione di Dio e la riconoscenza eterna di quelle meschine.

 

La S. Messa

Prima di parlare dell'eccellenza del S. Sacrificio della Messa applicato per i defunti, accenniamo ad un altro eccellente mezzo di suffragio: la S. Comunione. Quando Gesù è tutto nostro entro il nostro petto, è mai possibile che non ci ascolti, se lo invochiamo per i nostri morti, se li raccomandiamo a lui, se imploria­mo, la sua divina misericordia su di loro? Ai dì nostri va molto estendendosi il pio costume di suffragare i morti per mezzo della S. Comunione, tuttavia non sarà mai raccomandata abbastanza questa pia ed ef­ficacissima pratica. Si diano perciò premura i sacer­doti di invitare i fedeli, specialmente i parenti dei defunti, ad accostarsi ai Santi Sacramenti, in occa­sione di Messe di suffragio, di Ufficiature funebri, di funerali. Si facciano Comunioni Generali nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti e si ripetano nell'Ottavario dei Morti, in altri giorni del mese di Novembre ed ogni volta che se ne presta la opportunità. Sarà un'opera di grande sollievo per i defunti e arrecherà enormi vantaggi spirituali a quelli che la praticheranno.

Ed ora passiamo a parlare del divin Sacrificio, della Oblazione santa, della preghiera che l'eterno Padre esaudisce sopra ogni altra, perchè innalzatagli dallo stesso suo Unigenito.

A S. Maria Maddalena de' Pazzi, che era solita di offrire all'eterno Padre il Sangue del suo divin Figlio con una commemorazione della Passione, che faceva ben cinquanta volte al giorno, in una delle sue estasi il divin Salvatore fece vedere molti peccatori con­vertiti, molte anime del Purgatorio liberate in forza di questa sua pratica, e disse che ogni volta che una creatura umana offre al Padre quel Sangue col quale è stata riscattata, offre un dono di prezzo infinito, che nessun tesoro al mondo potrebbe compen­sare. Se tanta adunque è l'efficacia di una semplice commemorazione della Passione, che dovrà mai dirsi della Messa che ne è la quotidiana rinnovazione vera e reale? E non è già un individuo particolare qua­lunque, sia pur santo, quello che la compie, ma la Chiesa stessa, la quale offre a Dio tutto il Sangue sparso dal suo Figlio sul Calvario in espiazione dei peccati del mondo.

O splendore e bontà dell'amor divino! Non bastava che il Cristo si fosse immolato una volta sull'altare della croce, ma ogni giorno, ad ogni ora dall'oriente all'occidente, in ogni angolo della terra il Sangue del Redentore viene sparso ed offerto di nuovo pel riscatto delle anime! Ecco perchè i Santi che comprende­vano questo mistero avevano in tanto pregio il tesoro del Sacrificio dell'altare. S. Nicola da Tolentino, dopo aver rifuggito per tanti anni dal sacerdozio ritenen­dosene indegno, s'indusse in fine ad abbracciarlo, pensando che colla celebrazione quotidiana della Mes­sa avrebbe potuto più efficacemente aiutare le anime del Purgatorio. S. Vincenzo de' Paoli spesso cele­brava e faceva celebrare ai suoi confratelli per le po­vere anime del Purgatorio abbandonate. Il P. Corneille della Compagnia di Gesù s'era imposto per voto di celebrare quattro volte la settimana in suffra­gio di esse. Che poi quelle anime sappiano apprez­zare assai meglio di noi il valore infinito di questo divin Sacrificio, lo provano moltissime apparizioni fatte ai loro devoti. Un monaco di Chiaravalle, che era stato liberato dal Purgatorio per le preghiere di S. Bernardo e de' suoi confratelli, apparso ad un re­ligioso della comunità che più ertisi interessato per lui, mostrandogli l'altare su cui in quel momento si celebrava la santa Messa, gli disse: - Ecco le armi che hanno contribuito più di tutto a liberarmi dalla mia cattività: ecco il prezzo del mio riscatto, che mi fa ora salire al cielo. -

Se però una sola Messa ha di per sè un valore in­fnito, non è altrettanto della sua applicazione, la quale viene limitata dalla volontà divina; poichè es­sendo infinito il valore del Sacrificio, basterebbe che l'offerta di esso fosse fatta una volta sola per ischiu­dere le porte del cielo a tutte le anime del Purgato­rio. I teologi dividono ordinariamente in tre parti il frutto della Messa, insegnando che una parte si ri­versa nel tesoro dela Chiesa, ed in forza della comu­nione dei Santi va a vantaggio di tutti i suoi membri; un'altra a benefizio del sacerdote, al quale spetta quasi per diritto d'anzianità; la terza a profitto di colui per l'intenzione del quale la Messa si celebra; e quest'ul­tima parte, in quella misura che Iddio solo conosce, è la sola che sia applicabile ai defunti. Ed è per ciò che non bisogna contentarsi di far celebrare una Messa per un defunto, ma, per quanto è possibile, bisogna ripetere più volte l'oblazione del Sacrificio di­vino, non potendosi mai sapere in qual misura ne sia applicato l'effetto all'anima che si vuol suffragare, e se la giustizia di Dio ne sia rimasta pienamente sod­disfatta. Così, per esempio, sappiamo che dopo venti anni S. Agostino raccomandava sull'altare l'anima della sua santa madre Monica, e nei tempi di gran fede, come il medio evo e i primi secoli della Chiesa, le famiglie cristiane largheggiavano di prodigalità nell'offrire spessissimo il divin Sacrificio per la libe­razione dei defunti. Quando morì in Ispagna Mar­gherita d'Austria moglie di Filippo III, nel solo giorno delle esequie furono celebrate in Madrid non meno di 1100 Messe, e quando, aperto il suo testa­mento il Re vide che la sua consorte aveva ordinato ne fossero celebrate in suo suffragio solo mille, volle che se ne aggiungessero venti mila. Alla morte del-. l'arciduca Alberto la vedova di lui Isabella fece celebrare in suo suffragio quaranta mila Messe, ascoltan­done essa per un mese intiero dieci al giorno. È vero che queste sono munificenze reali, ma non valgono forse assai più di tutti i mausolei e monumenti che sogliono innalzarsi ai defunti, e non ci dimostrano il sentimento dell'efficacía di tanto Sacrificio?

Quello poi che v'ha di singolare nell'oblazione del­la santa Messa si è che essa opera indipendentemente dalle disposizioni di colui che l'offre o la fa offrire, in modo che quantunque questi siano macchiati di colpe mortali, e il Sangue di Cristo gridi vendetta contro di loro, tuttavia questo Sangue implora espia­zione e scende ristoratore sulle anime del Purgatorio; che se il sacerdote che celebra è colpevole, la sua colpa non infirma il valore dell'atto, poichè non è egli che l'offre, ma Cristo stesso nella persona di lui. Però se il frutto del Sacrificio rimane essenzialmente lo stesso, qualunque possa essere l'indegnità del mini­stro, è certo anche che vi è un frutto accidentale di­pendente più o meno dalle disposizioni del celebran­te. Ed ecco il motivo perchè molti sacerdoti ottengono col santo Sacrificio grazie che altri sacerdoti non val­gono ad ottenere.

 

Messe gregoriane

Un uso molto divulgato in Italia e in vigore in molti monasteri benedettini e quello di cui vogliamo ora parlare. - S. Gregorio Magno racconta ne' suoi Dialoghi (lib. IV, c. 10) che un monaco del suo con­vento per nome Giusto, esercitava, con permesso dei superiori, la medicina. Avendo accettato una volta di nascosto all'Abate la moneta di tre scudi in oro con mancanza gravissima contro la povertà religiosa, mos­so dai rimproveri che glie ne aveva fatti il monaco Copioso, e umiliato dalla pena della scomunica nella quale era incorso, fu tanto afflitto dal dolore, che am­malatosi gravemente, se ne morì, pentito però e in pace con Dio. Nondimeno volendo S. Gregorio incu­tere nei suoi religiosi un salutare terrore contro quel fallo che lede uno dei voti più importanti della vita religiosa, non tolse al defunto la scomunica, e lo fece seppellire separatamente in luogo dove si deponevano le immondizie, e, gettati i tre scudi nella fossa, fece ripetere ai religiosi le parole di S. Pietro a Simon Mago: Pereat pecunia tua tecum; il tuo denaro peri­sca con te. Qualche tempo dopo il santo Abate sen­tendosi tocco da compassione, fece venire a sè l'eco­nomo del monastero, e gli disse: - Da molto tempo il nostro confratello defunto è tormentato dalle pene del Purgatorio, e la carità ci consiglia a liberarnelo. Va dunque, e incominciando da oggi offri per lui il santo Sacrificio per lo spazio di trenta giorni, senza tralasciar d'immolare neppure una volta l'Ostia pro­piziatoria per la sua liberazione. - L'economo ubbi­dì, ma non avendo pensato, per le troppe preoccupa­zioni, a contare i giorni, una notte il defunto apparve a Copioso, dicendogli che se ne saliva al cielo, libero dalle pene del Purgatorio. Furono allora contati i giorni dall'inizio delle celebrazioni e si trovò che quello era precisamente il trentesimo. D'allora in poi invalse l'uso di far celebrare le trenta Messe pei de­funti, uso che esiste ancora oggidì nei monasteri dei Benedettini e dei Trappisti, e che Dio con molte ri­velazioni ha dato a conoscere essere a lui molto ac­cetto.

Avendo quindi in nostre mani tanti tesori, saremmo veramente crudeli se lasciassimo languire in quel carcere tante povere anime. Pensiamo che nel giorno del rendiconto ci pentiremo, ma troppo tardi, di non aver saputo spendere sì preziosa moneta. Mettiamo dunque in pratica il consiglio di Tobia: Panem tuum super sepulturam fusti constitue: posa il tuo pane sul sepolcro del giusto: questo pane è la SS. Eucaristia, pane vivo sceso dal cielo e che solo può saziar la fame di quelle anime, le quali anelano di andare a godere svelatamente in Paradiso colui che nei giorni di lor vita mortale hanno adorato sotto i veli eucaristici.

 

CAPITOLO XIX

LE INDULGENZE

Dottrina delle indulgenze

Il primo meraviglioso effetto del sacramento della Penitenza è quello di rimettere i peccati gravi e leg­geri. Si tratta perciò di un ritorno alla vita della gra­zia o di un aumento di questa vita medesima, se illan­guidita da colpe non gravi. Si tratta di un ritorno dei figli al Padre o di un abbraccio più amoroso e più sincero.

Il secondo effetto del Sacramento della Penitenza è la commutazione della pena eterna, dovuta al peccato mortale, in pena temporale, la quale però, secondo il grado del dolore può essere anche rimessa completa­mente. Tolto il peccato e ritornata l'amicizia divina, è tolta la causa della eterna condanna: il Padre per­dona e al tempo stesso riapre al figlio pentito le porte della sua Casa.

La pena temporale può anche essere completamente rimessa dal sacramento della Penitenza, ma ciò è difficile che accada, perchè in genere il dolore che si ha dei peccati non è così grande da compensare la divina Giustizia, e quindi accade che rimane da compensare in parte con opere di espiazione in questa o nell'altra vita.

L'indulgenza è una remissione di pena temporanea dovuta per i peccati, che la Chiesa concede sotto certe condizioni a chi è in grazia, applicandogli i meriti e le soddisfazionì sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, le quali costituiscono il tesoro della Chiesa. Così la Chiesa a nostro conforto e con­sapevole della nostra deficienza viene in nostro aiuto prescrivendoci opere buone alle quali ha legato in no­stro favore l'applicazione dei meriti e delle soddisfa­zioni sovrabbondanti di Cristo, della Vergine e dei Santi. Essa, sapendo che molti dei suoi figli sono onerati di debiti spirituali, tanto che le loro risorse non varrebbero ad estinguerli, se non con grande dif­ficoltà e dopo lunghissimo tempo, li soccorre a questo scopo in tutto o in parte, mettendo a loro disposizione i guadagni esuberanti di altri suoi figli più vigilanti ed operosi. Questa benevola concessione oltre a corri­spondere allo spirito di carità comandato da Gesù Cri­sto ai suoi seguaci, suscita sempre nuova riconoscen­za, da cui nascono novelli propositi di bene e di amore verso Iddio » (Mariani, Lezioni catechistiche, vol. III, pag. 343)

Che la Chiesa abbia il potere di concedere le indul­genze non possiamo metterlo in dubbio dal momento che Cristo disse a Pietro e agli Apostoli: « In verità in verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo e tutto quello che scio­glierete sulla terra, sarà sciolta anche nel cielo... a chi rimetterete i peccati saranno rimessi... » (Matth. 18, 18; Giov. 20, 23). Altrove Gesù promise a Pietro di dargli le chiavi del Regno dei Cieli, quindi il potere di impedire agli indegni l'ingresso in Paradiso o di concederlo e di affrettarlo a coloro per i quali rite­nesse ciò opportuno. Nel corso dei secoli la Chiesa ha sempre esercitato questo potere sia a vantaggio dei vivi che dei fedeli defunti: ecco quindi la tradizione a convalidare la tesi. Ci risparmiamo di ricordare i Padri, i Dottori della Chiesa, i Pontefici e i Concili che stanno a testimoniare la verità delle indulgenze (Denzinger, Enchir. Symb. et Definit. Index system. XII l. - Rouèt De Journel, Enchir. Patristicum, Index theologicus 550-551, Edizioni 1932), limitandoci a ri­cordare che nessuno fino ai protestanti del secolo xvi ha mai negato alla Chiesa il potere delle indulgenze, e allora il Concilio di Trento, infallibilmente definì che sarebbe scomunicato chiunque negasse l'utilità delle indulgenze e il potere della Chiesa di conce­derle.

E' certo altresì che le indulgenze si possono acqui­stare anche per i defunti. Non avendo la Chiesa giu­risdizione sulle anime dei trapassati, le quali si tro­vano ormai sotto l'immediato governo di Dio, essa concede loro le indulgenze non per modo di assolu­zione, ma per modo di suffragio, « pregando cioè il Signore che, nella sua infinita misericordia, si degni accettare, a favore dei trapassati, quelle soddisfazioni che gli vengono presentate dai fedeli, mediante l'acquisto delle indulgenze ad esse applicabili.

«Che poi il Signore accetti incondizionatamente tutte le indulgenze applicate ai defunti, nel modo che intendiamo noi, ciò sfugge in tutto alla nostra cono­scenza. Sappiamo soltanto che le materne cure della Chiesa hanno un grandissimo valore presso Dio, che nulla va perduto e che tutto è in corrispondenza della giusta, sapiente e misericordiosa volontà divina, la quale ogni cosa dirige a bene dei suoi eletti » (Maria-ni, op. cit., pag. 351).

L'indulgenza può essere di due specie: plenaria e parziale, secondo che consiste nella remissione com­pleta di tutta la pena temporanea dovuta per i peccati o nella remissione di una parte soltanto di detta pena. Quando però parliamo di indulgenze di un anno, di cento giorni, di una quarantena, ecc., non si deve in­tendere nel senso che ci venga diminuita in Purga­torio la pena di un anno, di cento giorni, di una quarantena e via dicendo, ma si deve intendere nel senso che ci viene rimessa tanta pena temporale quan­ta ne avremmo scontata facendo una penitenza di un anno, di cento giorni, di quaranta giorni, che secondo l'antica disciplina ecclesiastica facevano i cristiani sot­tomessi alle pene canoniche in soddisfazione dei loro peccati.

 

Condizioni per l'acquisto delle indulgenze

Le condizioni generali che si richiedono per acqui­stare le indulgenze, sia plenarie che parziali, sono: lo stato di grazia l'intenzione e l'osservanza di tutte le opere ingiunte nel modo e nel tempo prescritto.

E' evidente che si richieda lo stato di grazia chi è in peccato mortale è nemico di Dio, è meritevole del­l'inferno, quindi indegno dei doni divini. Di più, come si potrebbe parlare a suo favore di remissione di pena temporale, quando ha addosso una condanna di pena eterna?

Quando poi per l'acquisto di una data indulgenza è prescritta la Confessione e la Comunione, la Chiesa permette di fare la Confessione tra gli otto giorni che precedono o seguono quello stabilito per l'indulgen­za, e di ricevere la santa Comunione o alla vigilia del detto giorno o fra l'ottava; fermo sempre restando l'obbligo di osservare tutte le altre prescrizioni nel modo e nel tempo stabilito. Chi è solito confessarsi almeno due volte al mese o fare la Comunione quo­tidiana, sebbene se ne astenga una o due volte la settimana, può lucrare le indulgenze anche senza l'at­tuale confessione, eccettuate quelle indulgenze conces­se sotto forma di giubileo sia ordinario che straordi­nario. Se si è tenuti ad un'opera, questa non giova per l'indulgenza senza concessione speciale; ma se fu imposta in confessione ed è indulgenziata, giova an­che per l'indulgenza. Lo stato di grazia si richiede almeno al termine delle opere prescritte (C. J. C., cc. 925-932).

L'intenzione per l'acquisto delle indulgenze è sem­pre richiesta. "Mancando l'intenzione, le opere buone alle quali le indulgenze sono annesse, non avrebbero altro merito che quello che hanno in se stesse, e secondo le disposizioni con le quali sono compiute. A­fine di acquistare il maggior numero possibile di in­dulgenze si può formare al mattino l'intenzione di voler acquistare tutte quelle indulgenze che saranno an­nesse alle opere buone fatte nella giornata.

In ultimo è necessaria l'osservanza di tutte le opere prescritte nel modo e nel tempo stabilito.

Se qualche condizione prescritta da chi ha concesso l'indulgenza venisse a mancare o in sè o nel modo di eseguirla, naturalmente l'indulgenza non si potrebbe lucrare.

Dobbiamo aggiungere che mentre in uno stesso giorno si possono lucrare più volte le stesse indul­genze parziali ripetendo le opere ingiunte, non si può lucrare più di una volta la stessa indulgenza plenaria, anche ripetendone le condizioni volute, a meno che non sia altrimenti disposto.

Nessuno può applicare ai viventi le indulgenze; ma si possono applicare alle anime del Purgatorio tutte le indulgenze concesse dal Sommo Pontefice, se non è stabilito diversamente.

Grande favore è dunque quello delle indulgenze, e si dimostrerebbe, ingrato verso il Signore, imprevi­dente verso se stesso e niente affatto caritatevole verso le anime del Purgatorio, chi non ne facesse il debito pregio. E' in nostra mano un gran mezzo per abbre­viare per noi e per i nostri cari trapassati le terribili pene del Purgatorio.

Moltissime sono le preghiere e i pii esercizi arric­chiti di indulgenze applicabili alle anime del Purga­torio. (…)

Il fatto seguente, riportato da Giov. Joergensen nella Vita di S. Francesco d'Assisi (Torino 1939, pagina 271), stia a dimostrare quale gratitudine nutrano le anime del Purgatorio per coloro che vollero acqui­stare indulgenze in loro suffragio.

«Fra Giovanni Rigaud O. F. M. nel libro che si intitola: Compendium Theologiae pauperis, alla que­stione: Utrum indulgentiae defunctis valeant, dopo aver dimostrato essere in arbitrio del Papa poter ap­plicare anche ai defunti le sacre Indulgenze, conferma la sua tesi con queste parole: - Io poi riferirò qui fedelmente ciò che a questo proposito mi fu raccon­tato nel luogo della Porziuncola, presso Assisi, nel qual luogo il beato Francesco fondò l'Ordine dei frati Minori, e santamente vi passò di questa vita. Ora è a sapere che per il medesimo luogo il beato Francesco ottenne dal Sommo Pontefice l'indulgenza plenaria di tutti i peccati a coloro che vi si fossero recati il primo giorno di agosto. Io vi andai l'anno del Signore 1301 E fu là che un frate molto intelligente e divoto, mi raccontò che in quello stesso anno due uomini di Milano erano venuti alla Porziuncola, e come ad uno di essi era morto di recente il figliuolo, che amava svi­sceratamente. Or mentre costoro tornavano in patria, quegli al quale era morto il figliuolo, si fece a pre­gare instantemente il compagno, perchè si degnasse concedergli il frutto dell'Indulgenza per l'anima del figliuol suo, che, a suo credere, doveva ancora trovarsi a penare tra le fiamme del Purgatorio. E quegli con grande liberalità gliela donò, con questa intenzione, che fosse applicata in suffragio dell'anima del Defunto. Ed ecco che nella medesima notte, il morto figliuolo apparve visibilmente al padre, il quale era già desto; e dopo di avergli rese vivissime grazie per l'Indulgenza ottenutagli, lo assicurò che in virtù di essa era stato incontanente liberato dalle pene del Purgatorio, e trasportato nel regno degli eletti, su in Cielo. Trascorso un anno, i sopraddetti uomini di Milano vennero nuovamente all'Indulgenza della Por­ziuncola, e con ordine esposero al Frate suddetto, tutto come le cose s'erano passate ».

 

CAPITOLO XX

L'ATTO EROICO

Eccellenza di questo atto

Abbiamo visto fino ad ora quali siano le diverse opere che possiamo offrire a Dio in sollievo delle ani­me purganti; resta quindi ad esporre l'atto virtuoso - per eccellenza, cioè, quello di offrire tutte queste opere insieme a vantaggio di quelle meschine e di applicarle loro senza alcuna riserva o restrizione, di fare insom ma quel che si chiama comunemente l'atto eroico di carità. Eroico è infatti questo dono generale che noi fedeli possiamo fare di tutti i nostri meriti soddisfat­torii, quest'atto di completa privazione che possiamo compiere a vantaggio dei defunti, poichè con esso noi veniamo a rinunziare generosamente a tutte le ric­chezze spirituali colle quali potremmo pagare i nostri debiti e risparmiarci tante pene del Purgatorio. Quan­tunque però l'eccellenza di questo atto sia così grande, non occorre per compierlo essere un eroe di santità, ma basta solo amar di tutto cuore Iddio e la salute dei fratelli, e di comprendere i proprii veri interessi.

L'atto eroico è una volontaria donazione che noi facciamo alle anime del Purgatorio della parte sod­disfattoria che in sè racchiude ciascun'opera buona. Questa donazione si usa fare ordinariamente nelle mani di Maria SS., onde ne disponga a completo van­taggio di quelle anime. Come abbiamo detto altrove, non si tratta con ciò di cedere il merito propriamente detto delle nostre opere, nè la parte impetratoria di esse, ma bensì la sola parte soddisfattoria, in modo che a vantaggio nostro non rimanga soddisfazione al­cuna in isconto dei peccati, ed è appunto in questo che consiste l'eroismo dell'atto: Quantunque da alcu­ni sia considerato e chiamato voto, esso nondimeno è revocabile a piacere del fedele, e non obbliga affatto sotto pena di peccato. Per farlo poi non è necessaria alcuna formala speciale, ma basta una ferma decisione della volontà. Trattandosi di opera si caritatevole ed eccellente, è naturale che molti Santi ce ne abbiano dato l'esempio, ed è perciò che la storia ecclesiastica di ricorda i nomi di S. Cristina l'Ammirabile, di santa Geltrude, di S. Caterina da Siena e di molti altri Santi del medio evo; e in tempi a noi più vicini santa Teresa, la beata M. Alacoque, la madre Francesca di Pamplona e il cardinal Ximenes, il quale ultimo fece tale donazione per consiglio stesso di Maria SS. Non si può dire quindi che questa sia una devozione nuova e recente, ma è bensì antica e praticata da molti fe­deli. Solo è da osservare con piacere che ai giorni nostri, per una misericordiosa provvidenza di Dio, la quale forse vorrà così supplire alla negligenza che tanti cristiani adoperano nel sollevare le anime del Purgatorio, quest'uso dell'atto eroico si è divulgato per tutte il mondo e si va sempre più estendendo. Il P. Olinden, religioso Teatino, fu il promotore più zelante di tal divozione, per la quale ottenne da Benedetto XIII indulgenze e privilegi straordinari. Da quell'epoca furono visti interi Ordini religiosi fare quest'atto, e la Compagnia di Gesù suggerirlo a tutti i suoi membri, e ai giorni nostri fondare a Parigi una congregazione religiosa chiamata delle Ausiliatrici del Purgatorio, le cui componenti, senza eccezione, fanno voto di offrire tutte le loro opere di soddisfazione e tutti i meriti della loro vita, di pregare, di lavorare, di soffrire a vantaggio delle anime del Purgatorio.

Esempi tanto mirabili, e le indulgenze concedute dai sommi Pontefici a questa divozione, mostrano a sufficienza come quest'atto di donazione possa legitti­mamente farsi dal cristiano; siccome però è stato op­pugnato da molti, esporremo qui, rispondendo breve­mente, le obbiezioni addotte e che si possono ridurre a tre. Dicono infatti: 1. Che quest'atto è contrario alla carità che dobbiamo avere verso noi stessi; 2. All'amore e alla compassione che dobbiamo avere verso i nostri parenti ed amici; 3. Agli obblighi spe­ciali di giustizia che ciascun di noi può avere verso qualche defunto.

Alla prima obbiezione, rispondiamo che quantun­que noi ci esponiamo a prolungare di qualche tempo il nostro soggiorno in Purgatorio, l'immenso accre­scimento però di gloria eterna che corrisponde al me­rito di quest'opera è tale, che anche se si trattasse di prolungare il nostro purgatorio fino alla fine del mondo, il cambio che si farebbe sarebbe sempre vantag­giosissimo. E poi chi non ammetterà che Dio, in considerazione di questo nostro disinteresse, sia più liberale verso di noi, concedendoci in ricompensa moltissime grazie, e non converrà che in forza di esso ci accaparriamo nel cielo altrettante protettrici in quel­le anime che avremo in tal modo salvate?

Alla seconda obbiezione rispondiamo, che siccome resta sempre intatta la parte impetratoria delle nostre opere, noi possiamo, ogni volta che lo vogliamo, pre­gare per le anime dei parenti od amici che ci son care, far celebrar Messe secondo i loro bisogni, e anche nel­l'offrire a Dio quest'atto eroico, raccomandargliele sempre colla quasi certezza che il Signore accolga favorevolmente la preghiera nostra.

Alla terza obbiezione, che sarebbe in apparenza la più seria se avesse un logico fondamento, rispondia­mo che nè i sommi Pontefici avrebbero approvato, ne i Santi messo in pratica quest'atto se l'avessero ri­conosciuto contrario alla giustizia. Inoltre i Papi nell'approvare questa divozione hanno formalmente escluso tutto ciò che potesse ledere i nostri obblighi di giustizia verso quelle anime. Nel Breve infatti di Benedetto XIII è dichiarato espressamente, fra le altre cose, che questa donazione non impedisce al sacer­dote di accettare onorari di Messe e di offrire il santo Sacrificio secondo le intenzioni che gli sono imposte; altrettanto quindi sarà di qualunque altro obbligo che a noi incombesse di pregare o di far pregare pei de­funti. D'altra parte il Signore che conosce i nostri doveri non mancherebbe di sollevare egli stesso quelle anime, sicchè apporteremo loro più utilità con questa offerta generale e completa, che non applicando indi­vidualmente le nostre preghiere od indulgenze. Fi­nalmente per tranquillizzare la coscienza di qualche anima timorosa, noi proporremmo di aggiungere al nostro atto una clausola restrittiva che togliamo dal­l'opera del P. cle Munford, e che è così concepita: Io cedo alle anime del Purgatorio tutti i miei meriti soddisfattorii in quanto ne possa aver diritto e torni di gradimento a Dio. - In tal modo non si offende nessun dovere di giustizia o di carità, e si esclude ogni obbiezione possibile.

 

È a nostro vantaggio

Stabilito così che quest'offerta di tutte le nostre opere non nuoce nè a noi nè agli altri, vogliamo ora mostrare che in quanto riguarda noi, non possiamo che guadagnarvi moltissimo, e per provarlo riassume­remo qui in poche parole quel che dice il De Munford già citato.

Dopo aver ricordato che in ciascuna azione virtuosa è da considerarsi la parte meritoria, impetratoria e soddisfattoria, tutte e tre le parti di essa azione ac­quistano un valore più considerevole, poichè in primo luogo il merito propriamente detto s'accresce conside­revolmente, insegnando i teologi che un'opera tanto più è meritoria quanto più è fatta con fine disinteres­sato e con carità, e nell'offrire ai defunti questa parte; soddisfattoria di tutte le nostre azioni, ci mettiamo di fatto nell'impossibilità di agire altrimenti che per motivi disinteressati, dal momento che queste opere non ci possono più servire pel pagamento dei nostri de­biiti spirituali. Di più, l'atto stesso col quale facciamo questa cessione universale è di un merito straordinario, perchè essendo revocabile, se ogni volta che ci venga in pensiero di rinunziarvi perseveriamo nella nostra generosa offerta, meritiamo un accrescimento sempre maggiore di gloria nel cielo, e quindi sotto questo rapporto il nostro guadagno è immenso.

In secondo luogo, quanto alla parte impetratoria che le nostre opere acquistano quando le indirizziamo a Dio come preghiera per ottenere una grazia qualunque, non minore è il guadagno che ne ricaviamo, poiché col disporre che di questa facciamo a vantag­gio dei defunti non si diminuisce affatto il merito dell'opera stessa, mentre resta sempre in nostra facoltà d'impetrare con essa da Dio, oltre alla liberazione delle anime, quelle grazie che più ci sono a cuore, e così oltre al merito dell'atto in sè e della carità che facciamo, avremo quello di aver salvate tante anime, che, unendo le loro alle preghiere nostre, ci renderan­no più facile l'esaudimeroto dei nostri voti. - Da ul­timo, quanto alla parte soddisfattoria, quantunque es­sendo l'unica che possiamo cedere interamente a van­taggio dei defunti, parrebbe che non potesse giovare a chi la offre, tuttavia, almeno in parte, ha questa prerogativa. E' detto nel libro dei Proverbi (Xl, 24) Vi sono taluni che danno quel che hanno, e diven­gon più ricchi, e partendo da quel principio che Dio è infinitamente liberale verso le sue creature e non si lasciamai vincere da esse in generosità, e pensando, alla promessa da lui fattaci nel Vangelo di ricambiar noi colla misura di cui ci saremo serviti verso gli al­tri, nonchè a quanto egli stesso disse a santa Geltru­de, che cioè avrebbe considerato come fatto a lui quel che facciamo per le anime purganti, possiamo ferma­mente sperare che in punto di morte userà molta mi­sericordia a coloro che per amor suo e per carità verso quelle anime si saranno privati della parte soddisfat­toria delle loro opere. Se è scritto nei libri santi che la carità ricopre molti peccati e che l'elemosina libera dalla morte, perché non dovrà esser così nel caso no­stro? Qual miglior elemosina di questa che non dà il solo superfluo, ma tutto offre a vantaggio del prossi­mo? E' vero che per noi non rimane nulla che valga a farci scontare le pene dovute ai nostri falli, ma dob­biamo considerare che Dio, in ricompensa della no­stra carità, ci concederà molte grazie straordinarie, fra le quali in punto di morte quella di una carità perfetta e di una viva contrizione che basti a ottenerci la remissione di tutti i peccati; e che ispirerà alle anime purganti che avremo liberate durante la nostra vita, di assisterci potentemente coi loro suffragi dopo la morte, e ai nostri superstiti e alle anime buone che lasciamo sulla terra, di pensare a noi come noi pen­siamo alle altre anime. Perciò, conclude il Munford, vi e molto a sperare che coloro i quali con purità e rettitudine d'intenzione avranno fatto questa cessione così generosa andranno esenti dal Purgatorio, o almeno vi dimoreranno tanto poco tempo che più non avrebbero ottenuto conservando per sè la parte soddisfattoria delle loro azioni.

 

CAPITOLO XXI

PRESERVIAMOCI DAL PURGATORIO

Mezzi generali e mezzi particolari

Avvicinandoci al termine di queste povere pagine è necessario dedurre da quanto si è detto fin qui una conseguenza pratica e salutare. Per ciò che riguarda i defunti questa conseguenza è chiara ed evidente, come abbiamo ormai abbastanza provato, ed è che dobbiamo pregare e pregar molto per essi, più assai di quello che abbiamo fatto finora. Quanto a noi stessi ed all'interesse che dobbiamo avere ad evitare le fiam­me del Purgatorio, due sono le specie di mezzi de' quali possiamo disporre: i mezzi generali cioè ed i particolari; gli uni e gli altri a noi già noti per le ri­velazioni citate finora e che in questo capitolo vedremo di riassumere brevemente nel modo più pratico pos­sibile.

I mezzi generali si possono ridurre ad uno solo fuga assidua e costante del peccato e specialmente del peccato veniale, il quale appunto per la sua minore gravità è lo scoglio su cui periscono moltissime anime. Non disprezziamo le cose piccole e quei debitucci che si vanno accumulando ogni giorno intorno a noi, perchè in fin di vita formeranno un totale che spa­venta l'immaginazione. Pensiamo che di tutto dovre­mo render conto a Dio, anche di una parola inutile: De omni ve bo otioso reddent rationem. E siccome malgrado tutti i nostri sforzi commetteremo sempre difetti, che dovremo necessariamente espiare in que­sto mondo o nell'altro, facciamo penitenza su questa terra, penitenza che ci si ridurrà molto più facile se a quella sacramentale aggiungeremo la rassegnazione alle tribolazioni della nostra vita, mediante la quale e mediante le indulgenze della Chiesa potremo esser sicuri di scontare in anticipazione il nostro purgatorio e di dimorar quindi in quel carcere il minor tempo che sia possibile.

Quanto ai mezzi particolari da usarsi sebbene tutte le virtù siano di per se stesse eccellenti, ve ne sono però alcune che per il cuore di Dio sembrano avere, diremo così, un incanto speciale che lo inclina ad usa­re gran misericordia a coloro che le praticano. - E innanzi tutto va annoverata la divozione a Maria san­tissima, a questa divina Madre che, come ci hanno mostrato tanti esempi citati nel corso di questo volu­me, non solo assiste i suoi devoti nell'ora suprema della morte disponendoli a contrizione perfetta spe­cialmente se peccatori, e nel momento del giudizio patrocinando la loro causa davanti al tribunale di Dio, ma ha promesso ancora di scendere a confortarli nel Purgatorio e di liberarli ben presto dalle loro pene. - Altro mezzo efficacissimo a sollevare nel Purgato­rio quelli che la praticarono in vita è la divozione alla SS. Eucaristia. Una religiosa di un monastero fon­dato da S. Geltrude, apparendo dopo morte a questa Santa, le diceva: - Quanto debbo rallegrarmi, mia buona Madre; di essere stata divota in vita della San­tissima Eucaristia, poichè in forza di questa devozio­ne ora raccolgo frutti si abbondanti e speciali dal­l'offerta che si fa per me dell'Ostia santa, che non tarderò molto ad essere introdotta nella celeste Geru­salemme! - Una terza pratica molto efficace è di es­sere in vita generosi verso le anime del Purgatorio, poichè Iddio ricompenserà con misericordia coloro che si mostrarono generosi con quelle infelici, mentre pu­nirà coll'oblio coloro che le trascurarono.

Altro mezzo eccellente per essere generosamente trattati dal Giudice divino, è quello di praticare in vita la elemosina, che a detta della Scrittura libera dalla morte. Beatus qui intelligit super egenum èt pauperem, in die vela liberabit eurn Dominus (Salmo 40, 1). Tutti abbiamo la possibilità di aiutare il prossimo: nessuno è tanto povero che non veda dietro a sè qualcuno più povero di lui. E' il cuore, è la buona volontà che manca! Come abbiamo accennato altro­ve, elemosina fatta a un povero, in suffragio dei morti, ottiene un effetto molteplice: solleva il povero, apporta refrigerio alle anime che soffrono in Purga­torio, placa Iddio adirato a causa dei nostri peccati. Ricchi o poveri, finche viviamo usiamo di quel molto o di quel poco che abbiamo con criteri e con fini soprannaturali e non avremo a pentircene nel dì dell­'ira. Ora possiamo e non vogliamo, allora vorremo, - ma non potremo.

Finalmente una virtù graditissima a Dio ed atta a farsi specialmente negli ultimi momenti della vita, è l'accettazione umile e sommessa della morte in espia­zione dei peccati, accettazione che inclina molto a nostro favore la divina misericordia.

Evitiamo adunque ogni specie di peccato e vegliamo con molta cura intorno ai veniali; domandiamo poi aiuto a Dio, senza il quale nulla possiamo, e alla preghiera accoppiamo la vigilanza, vigilanza continua e rigorosa su noi stessi; adempiamo con coscienza tutti i doveri generali della vita cristiana e quelli par­ticolari del nostro stato; abbiamo cara la divozione alla Vergine santissima, e ogni volta che la invochia­mo coll'Ave Maria meditiamo quelle ultime parole Sancta Maria, ora pro nobis nunc et in hora mortis nostrae: Santa Maria, prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte. Accostiamoci con amore, con frequenza, con rispetto al SS. Sacramento dell'altare nei rapporti col nostro prossimo siamo buoni, carita­tevoli, prudenti; amiamo i poveri, che sono i predi­letti di Dio; preghiamo molto per le anime purganti: e non ci limitiamo verso di esse ad una divozione egoistica; insomma pensiamo agli altri mentre vivia­mo, se vogliamo che poi gli altri pensino a noi. I religiosi che hanno la sorte di vivere in istato di maggior perfezione portino con amore il giogo dell'obbedienza e dei doveri inerenti al loro stato sublime. Niuno peri faccia con negligenza l'opera di Dio), e così quando verrà per noi l'ora suprema, ci addormenteremo con fiducia ed amore fra le braccia di Gesù e di Maria.

 

CAPITOLO XXII

IL PARADISO

« Hai spezzato te mie catene »

Dopo la descrizione di tanti dolori e di tante pene, eccoci giunti finalmente a parlare di quell'ora bene­detta nella quale l'anima purificata dall'espiazione se ne vola al cielo, pura come quando Iddio la ebbe creata e felice di sentirsi unita per sempre al suo be­ne. Chi potrà riferire le gioie di quel momento?... Il paragone dell'esule che ritorna in patria dopo i lunghi giorni dell'assenza e rivedendo le rive amene della terra natia, pazzo di gioia riabbraccia i parenti e gli amici che colle festose accoglienze gli fan di­menticare il pane amaro dell'esilio, e troppo debole, per confrontarsi a quell'ora, ora benedetta, in cui l'a­nima non rientra nella misera patria terrena, ma nella felice dimora celeste preparatale dal suo Dio. Niuna lingua può ridire, senza averlo prima provato, il giu­bilo di quell'ora. Unico mezzo che ci resta per for­marci una languida idea di quel momento fortunato, sono le rivelazioni dei Santi, sulla scorta delle quali esporremo brevemente in questo capitolo l'avvenire riserbato alle anime. Si tratta di una festa per tutto il Paradiso. Per la liberazione di un'anima dal Purga­torio, ne gode il Signore e la Vergine, gli Angeli e i Santi ne esultano; i beati comprensori si fanno in­contro alla nuova fortunata, ormai loro compagna per tutta l'eternità.

S. Teresa mentre stava un giorno ad ascoltare la S. Messa in suffragio di un Padre Gesuita virtuosis­simo e morto poco tempo prima, vide nostro Signore scendere in Purgatorio, col volto raggiante di bontà e di misericordia, a cercare quell'anima fortunata per condurla in cielo, e questo in ricompensa della grande umiltà professata in vita dal defunto, come ebbe a dire nostro Signore alla Santa (Vita della Santa, ca­pit. 38).

Chi potrà poi dirci lo splendore della gloria che irradierà quelle anime? Diceva santa Caterina da Siena, che l'anima santa nel possesso della sua felicità è spettacolo così meraviglioso e sublime, che se a noi fosse dato una volta sola contemplarlo, non potrem- mo sostenerne la vista e ne morremmo di felicità. Occhio umano non ha mai visto cose più belle, orec­chio umano non udì mai armonie più soavi di quelle che si godono in cielo! Speriamo di vedere un giorno anche noi, fra gli splendori dell'eternità, le maravi­glie di quel regno beato; ma fino a quel giorno noi poveri bambini balbettanti non potremo mai arrivare a parlare di cose tanto sublimi, e lasciando inesplorati i solenni decreti del cielo, ci sarà sol di conforto la speranza di possedere in un tempo non lontano la scienza divina di quelle perfezioni! - Quantunque a stretto rigore l'anima non venga mai liberata prima che sia giunto il momento preciso in cui finisce la sua espiazione, vi sono tuttavia alcuni giorni dell'anno che sembra siano stati particolarmente destinati da Dio alla liberazione di quegli spiriti eletti. Oltre al privilegio del sabato pei confratelli dello Scapolare, e oltre le feste della beata Vergine, di cui già parlam­mo, vi sono altri giorni di speciali favori. Caterina Emmérich, nelle sue rivelazioni tanto importanti sulla passione del Salvatore, ci dice che in ogni anniver­sario del sacrificio del Calvario Gesù Cristo scende nel Purgatorio a liberare l'anima di qualcuno di coloro che si trovarono presenti al grande spettacolo della sua passione. Altre rivelazioni ci fanno noto che ogni anno nel giorno dell'Ascensione, il divin Maestro rin­nova in certo qual modo il mistero del suo ingresso trionfale nel cielo, scendendo in Purgatorio a liberare molte anime che gli fanno corteggio nel rientrare nel soggiorno beato. Finalmente nel giorno della Comme­morazione di tutti i fedeli defunti, che è quello più specialmente consacrato ai suffragi, moltissime anime sono liberate da quelle pene. Una rivelazione citata dal P. Faber ci dice che Iddio fa uso, in codesta circo­stanza, della sua generosità, specialmente per quelle anime alle quali resta poco altro tempo per compiere fa loro espiazione.

E qui pure ci troviamo impotenti ad immaginare il divino spettacolo e le splendide feste che si faranno in cielo in quelle occasioni così solenni. Se nei giorni delle grandi solennità della Chiesa quando centinaia di fedeli dopo, essersi nel mattino accostati alla sacra Mensa, tornano a sera coll'anima pura e col sorriso sulle labbra nel tempio santo di Dio dov'egli; rifulge tra gli ori del tabernacolo, tra i profumi dei fiori e le nubi d'incenso, noi ci sentiamo commossi e rapiti quasi fuori di noi stessi dalla gioia, e quando la be­nedizione divina fra il silenzio religioso del santuario scende sui nostri capi sussultiamo di allegrezza, che cosa mai dovrà essere lassù nel cielo in quei giorni di tanta festa, nei quali la Trinità augusta circondata dalla sua gloria, e l'Umanità santissima del Salvatore raggiante amore dalle sue piaghe divine, e la Vergine Maria e gli Apostoli e i Martiri e le Vergini e i Cori degli angeli accoglieranno l'anima eletta nella santa città? Oh! sì, pensiamo, pensiamo a queste gioie se­rene, a queste allegrezze divine, e dopo aver finora parlato dei rigori della divina giustizia, solleviamo fi­ducioso lo sguardo al Paradiso e vediamo che cosa sia lassù preparato per ciascuno di noi.

Appena entrata in cielo, l'anima riceve il posto che le compete a seconda dell'ordine e della natura de' suoi meriti. Si crede comunemente che una gran parte delle creature umane che si salvano vada a riempire nei cori degli angeli il vuoto prodottovi da Satana e dai suoi compagni ribelli. Molte altre poi entrano in altre categorie di spiriti separatamente costituite, e così mentre il coro degli Apostoli partecipa del potere giudiziario di Cristo, quello dei Martiri e dei Dottori avrà il privilegio di un'aureola speciale di gloria, e le anime che sino alla fine della vita si saranno con­serviate pure da ogni macchia, godranno del singolar privilegio di seguire l'Agnello divino in qualunque luogo vada, e canteranno nel cielo il cantico sublime della verginità. Pensiamo adunque spesso agli splendori dell'eternità beata che ci attende. La vita è triste e dolorosa, è vero, specialmente in certe occasioni, ma non ci perdiamo di coraggio; passeran­no le pene, e avrà fine la prova. Senza dubbio avremo ancora da scontare in Purgatorio i fallì che la fralezza umana ci ha fatto commettere in vita, ma per quanto lunghe ed atroci potranno essere le nostre pene, final­mente verrà quel giorno, a Dio solo noto, in cui chia­mati dall'alto andremo ad occupare il posto che ci sarà riservato fra i beati del cielo. Questo posto che verrà assegnato a ciascuno di noi, sarà indipendente dal maggiore o minor tempo passato in Purgatorio, e cor­risponderà soltanto ai meriti da noi acquistati in vita. Maria Lataste riferisce nelle sue rivelazioni che una novizia del suo monastero, morta in odore di santità le apparve dopo solo nove giorni del suo passaggio di questa vita, e le disse che si trovava già liberata dal Purgatorio, e saliva al cielo. Di lì a pochi mesi es­sendo morta dopo una vita santissima un'altra mo­naca di età assai avanzata, la Lataste seppe per rive­lazione che sebbene per alcune colpe commesse durante il corso della sua lunga vita avesse dovuto re­stare in Purgatorio parecchi mesi, quando però entrò in cielo le fu assegnato un posto assai più glorioso ed elevato di quello della novizia. La spiegazione di questo fatto a prima vista strano, non è difficile a darsi, perchè i meriti che l'anima può avere acquistati sulla terra, sono assolutamente indipendenti dalle col­pe che si debbono espiare. Nel corso di una lunga, vita si possono guadagnare molti meriti, come contrarre molti debiti; ma i debiti si pagano con una espiazione temporanea, mentre il più lieve merito corrisponde ad un nuovo grado eternamente incancellabile di gloria, vale a dire ad una eterna ricompensa. Lavoriamo quindi con coraggio intorno al nostro perfezionamen­to morale, affin di servire con purità e zelo il nostro buon padrone Iddio, il quale è tanto generoso, che se esige dai suoi debitori fino all'ultimo centesimo, promette pure ai suoi fedeli una ricompensa infinitamente superiore ai loro meriti: Merces magna nimis.

E qui dopo aver parlato della giustizia e della misericordia di Dio sulle anime a lui fedeli, dopo aver mostrato come questa giustizia e misericordia si eser­citino ammirabilmente e sapientemente in quel carcere di dolore, poniamo fine a questo scritto, augurandoci che queste povere pagine producendo un po' di bene alle anime, possano meritarci la protezione della Ver­gine nel giorno estremo nel quale dovremo anche noi comparire al tribunale divino; che se saremo riusciti ad accendere nel cuore di qualche fedele l'amore e lo zelo verso i nostri fratelli defunti, speriamo che le anime del Purgatorio, alle quali avremo in tal guisa giovato, ci otterranno da Dio il perdono dei nostri peccati, unica ricompensa alla quale aneliamo.

 

APPENDICE

MANIFESTAZIONI DI UN'ANIMA PURGANTE AVVENUTE IN MONTEFALCO

Riportiamo in appendice la narrazione delle mani­festazioni di un'anima purgante, avvenute a Monte­falco, in archidiocesi di Spoleto, dal 2 sett. 1918 al 9 nov. 1919.

Secondo noi l'importanza di queste manifestazioni, per i particolari che le accompagnarono, per il loro numero, per la irreprensibilità delle persone che ne furono testimoni, per gli insegnamenti e i moniti che - offrono è tale da costringerci a credere che esse siano di primissima importanza, e per alcuni rispetti, come ebbe a scrivere Mons. Giov. Capobianco, tali che non - se ne rinvengano altre simili nella storia delle manife­stazioni d'oltre tomba e nelle rivelazioni fatte ai Santi. Di quanto siamo andati dicendo via via nel corso del nostro lavoro, nulla viene smentito da queste re­centissime manifestazioni, anzi molte cose rimangono confermate. Il fatto poi che esse siano avvenute al tempo nostro e che dal processo tenuto dal tribunale ecclesiastico, a ciò incaricato, risulti confermata la veridicità e la storicità della narrazione fatta dai te­stimoni, rappresenta per noi moderni, generalmente dubbiosi in materia, e abituati troppo poco a vivere nel clima del soprannaturale, un grande conforto, un monito e un invito a ricordarci dell'al di là e di coloro che già vi si trovano.

Le straordinarie manifestazioni - 28 in tutte ebbero luogo nel Monastero di S. Leonardo in Mon­tefalco, ove vive una numerosa comunità di suore Clarisse, negli anni 1918 e 1919; ed ecco come avven­nero.

Il 2 settembre 1918, sentito suonare il campanello della sacrestia, Suor Maria Teresa di Gesù, Abba­dessa del Monastero andò a rispondere, e una voce le disse: - Devo lasciare qui questa elemosina. - La ruota girò, e sopra v'erano dieci lire. Avendo l'Abbadessa domandato se dovevano farsi tridui o altre preghiere oppure far celebrare delle Messe, fu risposto: - Senza nessun obbligo.

- Se è lecito, chi lei? - chiese l'Abbadessa. Non occorre saperlo. - La voce era gentile, ma mesta, lontana e frettolosa, come fosse nascosta.

La cosa si ripetè il 5 ott. il 31 ott. il 29 nov. il 9 dicembre, il 1° gennaio 1919 e il 29 gennaio, nel me­desimo modo e sempre fu lasciata la somma di lire 10 sulla ruota. Domandando l'Abbadessa se si dovevano fare preghiere, le fu risposto: - La preghiera è sem­pre buona.

Il 14 marzo, in tempo dell'esame, circa le ore 20, il campanello suonò due volte, ed essendo andata l'Abbadessa a rispondere, trovò 10 lire sulla ruota, ma alle sue domande nessuno rispose. La chiesa ester­na era chiusa e le chiavi l'avevano le suore. Chiamata la fattora e fatto guardare in chiesa, non vi fu trovato nessuno. Da quella sera le suore incominciarono a pensare che colui che faceva l'elemosina non era per­sona di questo mondo.

L'11 aprile, nel modo come sopra, furono portate altre 10 lire e la voce, per la prima volta, chiese pre­ghiere per un defunto.

Il 2 maggio si ebbe la decima manifestazione. Poco prima del silenzio, circa le ore 21,30, inteso suonare il campanello, le suore andarono a rispondere in quat­tro: l'Abbadessa, Suor Maria Francesca delle Cinque Piaghe, Suor Amante Maria di S. Antonio e Suor Angelica Ruggeri. Furono trovate lire 20 sulla ruota (due carte messe a forma di croce). La chiesa esterna era chiusa.

Il 25 maggio, il 4 giugno e il 21 giugno furono trovate sulla ruota 10 lire ogni volta, senza sapere donde venissero.

Il 7 luglio, circa le ore 14, in tempo di ritiro, suonò due volte il campanello, ma l'Abbadessa, credendo che fossero bambini in chiesa, non volle rispondere. Essendosi appoggiata per riposare, una voce fuori della camera le disse: - Hanno suonato il campanello della sacrestia. Andata subito a rispondere, udì la solita voce dire: - Lascio qui lire 10 per preghiere.

Ella domandò: - Da parte di Dio, chi è? - Le fu risposto:

- Non è permesso - e non sentì altro. Domandò poi alle suore chi l'avesse chiamata, ma nessuna di loro era stata.

Il 18 luglio, dopo il silenzio della sera, circa le ore: 21,30, scesa la Badessa a chiudere la porta del forno rimasta aperta, mentre risaliva udì il suono del campanello; andata alla ruota, al saluto « Lodato Gesù e Maria »sentì rispondersi «Amen» e poi soggiungere

Lascio questa elemosina per le solite preghiere. La Badessa si fece animo e domandò:

- In nome di Dio e della SS. Trinità, chi è? - ­E la stessa voce rispose: - Non è permesso. - E non udí altro. La chiesa esterna era chiusa.

Il 27 luglio, andata l'Abbadessa alla ruota prima della Messa, trovò 10 lire senza sapere chi ce le avesse messe.

Il 12 agosto, circa le ore 20, suonato il salito campanello, andarono a vedere l'Abbadessa, Suor Maria Nazarena dell'Addolorata e Suor Chiara Benedetta Giuseppa del S. Cuore; trovarono sulla ruota 10 lire. Avendo scongiurato in nome di Dio, nessuna rispo­sta. La chiesa era chiusa. Essendo stata chiamata la servigiana per guardare se c'era nessuno in chiesa, vi andarono il Rev. D. Alessandro Clinati, priore di S. Bartolomeo e confessore delle suore, D. Agazio Tabarrini, parroco di Casale e cappellano del Mona­stero, e P. Angelo, Guardiano dei Cappuccini, ma in chiesa non trovarono nessuno.

Il 19 agosto, circa le ore 18,30 essendo suonato il campanello, l'Abbadessa andò a rispondere. Al saluto - «Lodato Gesù e Maria », la voce rispose « Amen », e - subito soggiunse: - Lascio quest'elemosina per preghiere. - L'Ab­badessa rispose:

- Noi pregheremo lo stesso, l'elemosina la dia a qualche altra persona più bisognosa. - Allora la vo­ce, fattasi compassionevole: - No, la prendano, è una misericordia. - E' permesso sapere chi è ?

- Sono sempre la medesima - rispose, e non si udì altro. Lasciò lire 10.

Altrettanto accadde il 28 agosto e il 4 settembre, ma alle domande dell'Abbadessa non rispose nessuno.

Il 16 settembre, circa le ore 2 l'Abbadessa chiuse il dormitorio e sentì suonare il campanello. An­data a rispondere con un'altra suora, nessuno parlò, ma sulla ruota v'erano 10 lire. Rifiutando l'Abbadessa di prendere il denaro, le fu risposto: - Le prenda, è per soddisfare la divina giustizia. -­ L'Abbadessa fece ripetere al suo misterioso interlo­cutore la giaculatoria: « Sia benedetta la santa, pu­rissima ed immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria» e la giaculatoria fu fedelmente ripe­tuta.

Il 21 settembre, si trovano sulla ruota altre 10 lire. Il 3 ottobre, circa le ore 21, dopo il silenzio, mentre l'Abbadessa era affacciata alla finestra della camera, le parve di sentir suonare. Andata a rispondere e ri­cusando le 20 lire che le venivano date in elemosina, col dire che il confessore non era contento dubitando di una manifestazione diabolica, fu risposto: - No, sono un'anima purgante: sono 40 anni che mi trovo in Purgatorio; per aver dissipato beni ecclesiastici. -

Il 6 ottobre fu fatta celebrare una Messa in suffragio di quell'anima. Dopo poco suonò il campanello; an­data la Badessa a sentire, la solita voce disse: - Lascio quest'elemosina, grazie tanto. - La Ba­dessa fece altre domande, ma non ebbe risposta. La sacrestia era chiusa, e sulla ruota furono lasciate le solite 10 lire.

Altrettanto accadde il 10 ottobre. Alle richieste del­l'Abbadessa circa la sua identità, l'anima rispose: - Il giudizio di Dio è giusto e retto.

- Ma come? Io le ho fatto dire delle Messe, e se una sola basta per liberare un'anima, come lei non è ancora libera?

- Io ne ricevo la minima parte. - Ad altre do­mande non rispose e anche questa volta lasciò 20 lire. Il 20 ottobre, alle ore 20,45, appena suonato il si­lenzio, mentre l'Abbadessa saliva con due altre mo­nache, Suor Maria Rosalia della Croce e Suor Chiara Giuseppa del S. Cuore, udirono suonare il campanel­lo, ed andata l'Abbadessa a rispondere, trovò le 10 lire sulla ruota, ma non rispose nessuno. Tornò l'Ab­badessa a chiudere la porta del dormitorio, quando sentì suonare di nuovo; tornò, e al saluto « Lodato Gesù e Maria » l'anima rispose: « Amen », con voce assai intelligibile, e siccome l'Abbadessa non aveva preso le 10 lire, così soggiunse: - Prenda quest'elemosina; è una misericordia. - Avendola presa, disse: - Grazie!

- Ma si potrebbe sapere chi è? - Preghi, preghi, preghi, preghi. -

Il 30 ottobre, alle ore 2,45, l'Abbadessa da una voce fuori della camera sentì dirsi: - È suonato il campanello della sacrestia. Andata a rispondere, al solito saluto, l'anima rispose. «A­men» e poi subito: - Lascio qui quest'elemosina. - Ma l'Abbadessa, senza far finire la parola, soggiunse: - Io per ordine del confessore non posso prender­la In nome di Dio e per ordine del confessore, mi dica chi è: è sacerdote? - Si.

- Erano di questo monastero i beni che ha dissi­pati? - No; ma ho il permesso di portarli qui. E dove li prende?

- Il giudizio di Dio è giusto.

- Ma io ci credo poco che sia un'anima, penso sempre che sia qualcuno che scherza.

- Vuole un segno?

No, che ho paura. Se chiamo qualcuna? Faccio subito...

- No, che non mi è permesso. - L'Abbadessa pre­se le dieci lire e lui disse: - Grazie, adesso entro a parte delle preghiere. L'Abbadessa soggiunse: - Lei pregherà per me, per la mia Comunità, per il Confessore?

Benedictus Deus qui... - E si allontanò mor­morando a bassa voce, e non si capì altro. La voce di quest'ultima volta era meno frettolosa e meno cupa, anzi prima sembrava che stesse fuori, adesso come parlasse all'orecchio destro, e quando si allontanava era udita meglio dal sinistro.

Il 9 novembre ebbe luogo l'ultima manifestazione. Alle ore 4,15 circa, l'Abbadessa dal dormitorio intese suonare il campanello della sacrestia. Andata a rispon­dere, al saluto « Lodato Gesù e Maria » la solita voce rispose: - Sia iodato in eterno. Io ringrazio lei e la religiosa Comunità: sono fuori di ogni pena. - E i sacerdoti che hanno detto più Messe, no? Il confessore, il P. Luigi Bianchi, D. Agazio?

- Io ringrazio tutti. - A me piacerebbe di andare in Purgatorio, dove si trovava lei, così starei sicura... - Faccia la volontà dell'Altissimo. - Pregherà per me, per la Comunità, per i miei genitori se sono in Purgatorio, per il confessore, per il P. Luigi Bianchi, per il Papa, per il Vescovo, per il Cardinale Ascalesi? - Si.

- Benedica me e le persone che ho nominate. Benedictio Domini super vos.

La mattina avanti fu fatta celebrare una Messa dal Luigi Bianchi S. J., alla chiesa del Gesù in Roma all'altare privilegiato. La voce del sacerdote defunto, che sul principio era mesta, poi man mano, sembrava più lieta e nell'ultima volta si capiva che era felicis­sima. Il suono del campanello era mesto e flebile e pareva che facesse scendere un senso di pace e di contento nel cuore di chi l'udiva, cosicchè ormai tutte le Suore lo conoscevano e pregavano, appena lo udi­vano, per il defunto. Furono portate lire 300 e furono applicate 38 Messe di suffragio.

Così la relazione delle suore del Monastero di San Leonardo in Montefalco.

Di queste manifestazioni furono subito messi al corrente l'Arcivescovo di Spoleto Mons. Pietro Paci­fici, l'E.mo Cardinale Pompili, Vicario di S. Santità in Roma, l'E.mo Cardinale Ascalesi di Napoli, il Di­rettore della Rivista « Il Purgatorio visitato dalla ca­rità dei fedeli », ed altre personalità.

Fu conservato un biglietto di banca da lire 10, che - portava i numeri di serie 041161 e 2694. Le Suore pre­garono sempre con fervore per quell'anima purgante e non risparmiarono mortificazioni e penitenze in suf­fragio di lei.

In data 8 febbraio 1920, l'Arcivescovo di Spoleto Mons, Pacifici, interpellato dal Direttore della Rivista « Il Purgatorio visitato dalla carità dei fedeli», rispondeva con la seguente lettera;

« Rev.mo P. Benedetti,

Dei fatti svoltisi recentemente nel monastero di S. Leonardo in Montefalco io n'ebbi cognizione fin da principio. Lasciai che le cose si chiarissero da sè e non parlai mai nè con l'Abbadessa nè con le monache, benchè tutte si mostrassero estremamente im­paurite, sospettando che si trattasse di un inganno diabolico.

Le cose sono terminate come la P. V. Rev.ma già sa: per me v'è la certezza morale che trattisi vera­mente di apparizioni di un'anima purgante. L'Abbadessa e monache danno pieno affidamento di serietà. Ho consigliato io medesimo la pubblicazione del fatto sul periodico diretto dalla P. V. Ad ogni modo, mi propongo, durante l'anno, di fare un processo canonico di quanto è avvenuto, facendo venire da Roma persona capace per la compilazione del medesimo. Per far questo richiederei anche la cooperazione della P. V. Rev.ma.

La ringrazio vivamente della memoria che lei conserva per me, e l'assicuro che non la dimentico.

Preghi per me, e si abbia distinti ossequi dal Suo in G. C.

+ Pino, Arcivescovo ».

Nel Luglio 1921 Mons. Arcivescovo costituì il tri­bunale pel processo ordinario, che fu tenuto dal 27 Luglio al giorno 8 Agosto. Gli atti originali, che comprendono più di duecento facciate in protocollo, si conservano nell'Archivio della Curia Arcivescovile di Spoleto. In essi sono raccolte le deposizioni di do­dici testi, indotti dal Postulatore, tra i quali sette mo­nache, il Rev. D. Agazio Tabarrini, Cappellano del Monastero, il P. Valentino da Giano, cappuccino, Millei Caterina, servigiana, il Rev. Tommaso Cascio­la, Vice Parroco di S. Bartolomeo, e il Sig. Ponziano Vergari.

Inoltre le deposizioni di tre testi indotti ex officio - l'E.mo Cardinale Ascalesi, Mons. Climati e il Dottor Alessandro Tassinari, Medico-chirurgo di Montefal­co. - In appendice ad essi, sono riportati, tra altri documenti, gli atti della prima Istruttoria e la rela­zione del P. Luigi Bianchi, Gesuita, autenticata dal suo Provinciale, non avendo potuto detto Padre, re­cassi a deporre in persona.

L'esito del processo fu positivo, ma non fu emanata sentenza per ragioni contingenti. Nella relazione fatta dal Rev.mo Mons. Giovanni Capobianco, Giudice del Tribunale che aveva condotto a termine il processo, al Clero di Spoleto in occasione di un'adunanza dei casi, si leggono queste parole: «Allo stato degli atti, risulta dunque Provato con sufficiente certezza storica il fatto della manifestazione di un'anima purgante nel Monastero delle Francescane di S. Leonardo in Mon­tefalco?

- A mio giudizio si deve rispondere di si; perché la certezza storica di un fatto é sopratutto certezza, ossia fondata sulla scienza e veracità dei testi e i numerosi testimoni addotti nel processo, godono tutti di tali dotti in grado eminente.

Quindi la manifestazione merita fede umana, e credo che in seguito potrà essere, dalla competente autorità, emanata analoga sentenza».

 

La sacrestia, dove accaddero le manifestazioni, venne trasfor­mata in Cappella dedicata al suffragio delle Anime del Purgatorio e specialmente di quelle dei sacerdoti defunti. Fu benedetta il 26 febbraio 1924, ed è centro ardentissimo di pietà per le povere penanti. Ivi è eretta una confraternita in suffragio delle Anime del Purgatorio, specie sacerdotali, aggregata nella Primaria esistente nella Chiesa del S. Cuore del Suffragio a Lungotevere Prati in Roma.

 

 

 

 

 

Home Santa Faustina Kowalska Il Diario Leggi il Diario on-line
Il culto della Divina Misericordia Le promesse di Gesù Download
La festa della Divina Misericordia Medjugorje Il Santo Rosario
Ringraziamenti


Per qualsiasi informazione o aiuto,
scrivici una e-mail

 


   
medaglia miracolosa santa caterina